Di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa
Proletaria “Tagarelli” via Magenta 88, Sesto San Giovanni (MI)
01/08/17
I FATTI
Il 18 giugno 2013
Khaled Farouk Abd Elhamid, un giovane operaio di 34 anni, moriva mentre smontava
il palco del concerto appena dato dai Kiss al Forum di Assago (Milano). Khaled
era rimasto schiacciato tra la parete del montacarichi e uno dei 6 pesanti
carrelli con ruote che vi stava caricando.
Quasi 4 anni dopo il
Tribunale di Milano (sempre “celere” quando si tratta di morti sul o di lavoro)
ha emesso la sua sentenza, su cui torneremo tra poco.
Per emettere la
sentenza, il Tribunale ha dovuto ripercorrere una lunga catena, quella degli
appalti. Facciamolo anche noi. Prima di tutto abbiamo: (1) la società americana
dei Kiss, la Gapp 2002, partecipe all’organizzazione, che però per
l’allestimento del palco aveva stipulato un contratto con (2) la Barley Arts
Promotion la quale, per l’allestimento del palco, aveva firmato un contratto con
la (3) Cooperativa Working Crew che, a sua volta, per la “somministrazione” di
altri operai aveva fatto un contratto con (4) la Cooperativa Work in Progress. Tranquilli... l’elenco è finito.
altri operai aveva fatto un contratto con (4) la Cooperativa Work in Progress. Tranquilli... l’elenco è finito.
Le condizioni in cui
dovevano lavorare quella sera Khaled e gli altri tre suoi compagni erano le
seguenti: “gli era stato consegnato un braccialetto giallo ed erano state
impartite direttive da un uomo alto e tatuato. Nessuna formazione e informazione
relativa ai rischi”. Uno dei suoi compagni di lavoro le ha poi descritte così
durante il dibattimento: “Non conosco la sede della cooperativa, non ci sono mai
stato, non ho mai parlato con nessuno. Un amico mi telefona quando c’è qualche
lavoro da fare, mi dice dove andare e dopo un po’ di tempo che ho lavorato mi fa
avere i soldi”.
LE COLPE
Attribuire
responsabilità alla (1) Gapp 2002 è impossibile per il tribunale:
“l’inquadramento della società, (di diritto straniero) si rivela in concreto
molto problematica all’interno della normativa di riferimento” Quindi...
assolti.
Per quello che
riguarda la (2) Barley Arts Promotion: poiché si sono rivolti a imprese e
professionisti in teoria adeguati e dato che nel 2014 il Ministero del Lavoro ha
modificato una norma del 2008 emanando il cosiddetto “Decreto palchi” che “ha
inciso sui contenuti minimi del Piano operativo di sicurezza e ne ha ridotto
l’estensione” traducendosi in una “parziale depenalizzazione di fatto” della
mancata valutazione del rischio tipico nell’utilizzo del montacarichi, la
società va... assolta.
La (4) Work in
Progress forniva personale che operava “sotto l’esclusiva responsabilità,
controllo e direzione di Working Crew”. Di conseguenza... assolta.
Gli unici a pagare
saranno quelli della (3) Working Crew, i cui amministratori (uno patteggia 22
mesi e l’altra condannata a 9 mesi) vengono inoltre condannati per “illecito
amministrativo” alla sanzione di 90.300 euro per “aver usufruito di una
somministrazione irregolare di lavoro”.
Pensiero: la vita di
un operaio vale 22 mesi (virtuali??) di galera ma un illecito amministrativo è
ben più importante.
Non manca, infine,
perché il tribunale è al di sopra delle parti (come ben sappiamo) una critica
alla condotta di Khaled, che purtroppo, però, non può più replicare: “la sua
condotta è stata certamente imprudente proprio per l’esiguità dello spazio
libero nel montacarichi”, anche se questa “condotta imprudente rappresenta la
conseguenza diretta della mancata formazione”. Ma va’, avevamo proprio bisogno
di questa precisazione!!!
Abbiamo scelto di
ricordare, nonostante il tempo passato, la storia di Khaled perché è un “esempio
perfetto” di quello che è oggi il lavoro salariato. Bene, la vicenda di Khaled
non è solo sua, è quella di migliaia e migliaia di altri lavoratori. Lo chiamano
“lavoro nero” e ogni volta che scoppia un caso eclatante si tornano a spandere
fiumi di inchiostro. Ma quando questi casi arrivano in un Tribunale dello Stato,
scopriamo che ci sono una miriade di leggi che concedono la totale impunità ai
capitalisti che fanno le loro fortune su questo “lavoro nero”(oltre che su
quello regolare): tanto per cominciare non si può processare una società a
capitale straniero... con buona pace di quelle frattaglie ideologiche come
l’italianità, lo Stato, la Patria, ecc..
Qualcuno pensa ancora
che cose come quella successa a Khaled riguardino “solo” una categoria
debolissima (super sfruttata e super ricattata) come gli immigrati. Ma ogni
volta che si è scardinato un diritto si è sempre partiti dalle categorie
“deboli” per arrivare a quelle cosiddette più “forti”. Pensiamo all’allungamento
dell’età pensionabile, inflitto per primo ai lavoratori statali (secondo
l’opinione pubblica noti fannulloni): adesso tutti andiamo in pensione (se ce la
facciamo) a 67 anni. E questo è solo un esempio.
E’ vero che in Italia
ci sono ancora leggi e contratti collettivi, ma questi valgono però poco più
della carta su cui sono scritti. Il Job Act ha messo definitivamente fine al
lavoro “dipendente” per trasformare ogni lavoratore in un precario. Il nostro
futuro è il presente di Khaled: qualcuno ci telefonerà e ci dirà dove dobbiamo
andare a lavorare poche ore dopo.
Qualcuno dirà che se
manca il lavoro non si può fare altro che sottostare alle condizioni più infami.
Non è vero, quello che manca è un forte e organizzato movimento operaio, l’unica
condizione che può contrastare non la mancanza del lavoro (che non manca), ma
l’avidità cieca e senza più alcun freno dei capitalisti. Nessun altro miracoloso
marchingegno economico può farlo. Un movimento che, nella storia, ha permesso
alle classi sfruttate e oppresse di “strappare” condizioni di vita e di lavoro
più umane. Ora dovrebbe essere chiaro a tutti che non è più sufficiente
“strappare”, perché appena il movimento si indebolisce le conquiste di anni e
anni di lotte vengono, più o meno immediatamente, cancellate per essere
sostituite da un’unica disumana regola, quella del massimo profitto per i
capitalisti.
E questo presuppone
l’esistenza di un partito di classe, di un sindacato di classe e la prospettiva
di un mondo completamente diverso, che noi continuiamo a chiamare socialismo e
per cui continuiamo a lavorare e a batterci.
Ad ognuno di noi è
capitato di sentire, o di ripetere, la famosa frase di Rosa Luxemburg
“Socialismo o barbarie”. La morte di Khaled, e delle migliaia di lavoratori che
come lui muoiono ogni anno, ci dice che alla barbarie ci siamo già. Ma non siamo
ancora al punto di non ritorno, possiamo ancora invertire la rotta. Che ognuno
di noi lavori per questo.
Nessun commento:
Posta un commento