- Andrea Spotti
Gli studenti di Ayotzinapa sono nuovamente vittime di
un’aggressione poliziesca. È successo nel pomeriggio di ieri, attorno
alle 17, quando una carovana di otto autobus su cui viaggiavano circa
250 alunni della Normale Isidro Burgos è stata violentemente assaltata
da diverse forze di polizia. Il bilancio provvisorio è di 13 studenti
arrestati, 20 feriti e una ventina di giovani di cui si sono perse le tracce.
Secondo le prime ricostruzioni, gli studenti sono stati aggrediti in tre occasioni lungo la statale Chilpancingo-Tixla. Il tutto è iniziato nella zona chiamata Tierra Prieta, dove diverse camionette della polizia statale e di quella federale hanno iniziato a inseguire gli studenti sparando lacrimogeni all’interno degli autobus e distruggendo i vetri a manganellate.Un secondo assalto si è avuto a circa metà del cammino. Infine, nei pressi del casello di Tixla, città in cui ha sede la Normale, circa seicento poliziotti in tenuta antisommossa che aspettavano la carovana hanno dato il via alla repressione cercando di fermare quanti più normalisti fosse possibile. Una volta scesi dagli autobus, questi ultimi hanno cercato di difendersi con bastoni e pietre. Molti di loro sono riusciti a fuggire cercando rifugio nei boschi circostanti. I due autobus colpiti dalla furia poliziesca, letteralmente vandalizzati dagli agenti, sono stati abbandonati lungo la strada.
I testimoni che sono riusciti a rientrare ad Ayotzinapa sarebbero circa 80 secondo quanto dichiarato da una attivista dell’ Assemblea Popolare Municipale di Tixla all’emittente antagonista Regeneración Radio. Alcuni di loro parlano di una repressione brutale da parte delle forze dell’ordine e di come queste abbiano cercato di impedire alle ambulanze di raggiungere i feriti dopo l’aggressione. Inoltre, dichiarano di aver visto sul campo elementi dell’esercito, i quali però non avrebbero partecipato direttamente alle violenze.
In serata, abitanti della zona, membri del comitato dei genitori di Ayotzinapa, maestri e persone solidali hanno organizzato delle brigate per andare alla ricerca dei giovani fuggiti sul monte Tepoltzin, molti dei quali, stando alle parole dei testimoni, potrebbero essere seriamente feriti.
Per quanto riguarda il motivo dell’aggressione, non si hanno, al momento, prese di posizione ufficiali da parte delle autorità. Le ipotesi che si stanno facendo in queste ore fanno riferimento al tentativo della polizia di recuperare i bus occupati dagli studenti, nonché un’autocisterna di benzina presa in prestito dai normalisti per riempire i serbatoi dei loro mezzi di trasporto in vista della manifestazione del prossimo 14 novembre nella capitale dello stato per ricordare la violenta repressione ai danni degli studenti del 2007.
Tuttavia, le ragioni più profonde vanno cercate, da una parte, nel tentativo di zittire il movimento di Ayotzinapa in vista delle elezioni straordinarie che si terranno a Tixla il prossimo 29 novembre (quelle ordinarie erano state annullate a causa del boicottaggio delle stesse organizzato dai genitori dei 43 desaparecidos lo scorso 9 luglio); e, dall’altra, dalla volontà delle autorità di mettere fine ad un movimento che, a partire dal 26 settembre del 2014, giorno della strage di Iguala, ha saputo più volte mettere in seria difficoltà il governo, e che ha recentemente ottenuto importanti risultati anche sul piano giuridico-processuale.
Stiamo parlando dei risultati raggiunti grazie al lavoro del gruppo di esperti indipendenti della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH). I quali non solo hanno letteralmente sbugiardato la versione ufficiale dando forza alle critiche che da subito genitori e compagni dei desaparecidos avevano fatto alla versione ufficiale, ma hanno determinato un importante risultato dal punto di vista delle indagini.
Queste infatti, come stabilito da un accordo tra il governo messicano e la CIDH, non saranno più portate avanti dalla Subprocura Specializzata in Delinquenza Organizzata (SIEDO), ma da una nuovo gruppo di lavoro gestito della Subprocura dei diritti umani della Procura Generale della Repubblica. Il che, per quanto non rappresenti una vittoria definitiva, é stato enz’altro un duro colpo per un governo che puntava a chiudere velocemente il caso sugli studenti fermati e fatti sparire, l’anno scorso, da agenti di polizia e pistoleros con il supporto dell’esercito.
L’accordo, comunicato lo scorso 21 ottobre, comporta una collaborazione più attiva da parte degli esperti indipendenti, ed implica l’allargamento degli orizzonti investigativi seguiti fino ad ora dagli inquirenti, i quali hanno mirato più a ridurre i danni e a limitare le responsabilità politico-istituzionali a livello locale che a fare davvero luce sui fatti. Il nuovo gruppo di lavoro, inoltre, dovrebbe iniziare ad investigare anche sulle forze di polizia statali e federali, oltre che sull’esercito che fino ad ora non è mai stato oggetto di indagini serie ed è sempre stato protetto dal governo. Tra gli altri, elementi importanti dell’accordo sono la volontà di riprendere la ricerca dei normalisti utilizzando le tecnologie piú avanzate e quella di coinvolgere nelle perizie gli esperti della CIDH.
La sbandierata volontà di cercare la verità “costi quel che costi” dichiarata dai rappresentanti delle autorità messicane a Washington di fronte ad una sessione plenaria della CIDH meno di un mese fa, viene tuttavia smentita quotidianamente dalle dichiarazioni di membri del governo e da azioni repressive come quella di oggi, la quale va inserita nel contesto di quella che Omar García, portavoce degli studenti di Ayotzinapa, ha definito la guerra mediatica contro il movimento. Una guerra mediatica che prepara, accompagna, sostiene e giustifica la brutale repressione governativa.
Nata per cercare di mettere un argine al danno all’immagine del governo causato dalla relazione del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Internazionali della CIDH (GIEI) del 6 settembre scorso, la campagna mediatica contro i normalisti è andata crescendo nel mese di ottobre in risposta alle grandi mobilitazioni organizzate ad un anno dai tragici fatti.
Il primo tassello della campagna è stato il tentativo costante da parte dei principali opinionisti radio e tv nei giorni successivi la relazione di rappresentare i periti del GIEI come una parte in causa politicizzata e quindi animata da uno spirito antigovernativo. Successivamente, anche in risposta ai diversi documentari indipendenti usciti negli ultimi mesi, è seguito il lancio di un docufilm pompatissimo dal mainstream che al contrario difende acriticamente la versione ufficiale. Infine, negli ultimi giorni, i media più reazionari hanno ricominciato a diffondere la tesi di una possibile presenza di elementi legati ai clan criminali della zona all’interno della Normale. Tesi questa - va sottolineato - che era stata iniziamente utilizzata dalle autorità per liquidare la strage di Iguala come uno scontro tra bande rivali.
La campagna per associare nuovamente i normalisti alla criminalità organizzata è iniziata qualche giorno fa con la pubblicazione da parte del quotidiano di centrodestra El Milenio di frammenti di un’intercettazione telefonica di Omar García dove si parla di una tentata irruzione da parte del gruppo criminale degli Ardillos all’interno della scuola Isidro Burgos. Secondo l’autore dell’articolo Mario Marin, gli aggressori, fermati dall’intervento della polizia comunitaria, avrebbero avuto intenzione di sequestrare alcuni normalisti in quanto membri dell’organizzazione rivale dei Rojos.
Un paio di giorni dopo l’articolo, il ministro degli interni Osorio Chong ha dichiarato che gli inquirenti stanno indagando su possibili relazioni tra narcos e studenti, notizia poi smentita dalla Procura della Repubblica. Insomma, a oltre 14 mesi dalla strage, quando la mobilitazione, la pressione internazionale ed il lavoro degli esperti iniziano a dare i primi risultati forzando le autorità ad un importante cambiamento nella conduzione delle indagini, governo e mass media paiono aver scelto nuovamente la via della repressione. Per questo, come sostengono i normalisti immediatamente dopo l’ennesimo attacco che smaschera le reali intenzioni delle autorità, oggi piú che mai, è necessario mantenere alta l’attenzione e continuare a sostenere la loro lotta anche a livello internazionale.
* da Città del Messico
Secondo le prime ricostruzioni, gli studenti sono stati aggrediti in tre occasioni lungo la statale Chilpancingo-Tixla. Il tutto è iniziato nella zona chiamata Tierra Prieta, dove diverse camionette della polizia statale e di quella federale hanno iniziato a inseguire gli studenti sparando lacrimogeni all’interno degli autobus e distruggendo i vetri a manganellate.Un secondo assalto si è avuto a circa metà del cammino. Infine, nei pressi del casello di Tixla, città in cui ha sede la Normale, circa seicento poliziotti in tenuta antisommossa che aspettavano la carovana hanno dato il via alla repressione cercando di fermare quanti più normalisti fosse possibile. Una volta scesi dagli autobus, questi ultimi hanno cercato di difendersi con bastoni e pietre. Molti di loro sono riusciti a fuggire cercando rifugio nei boschi circostanti. I due autobus colpiti dalla furia poliziesca, letteralmente vandalizzati dagli agenti, sono stati abbandonati lungo la strada.
I testimoni che sono riusciti a rientrare ad Ayotzinapa sarebbero circa 80 secondo quanto dichiarato da una attivista dell’ Assemblea Popolare Municipale di Tixla all’emittente antagonista Regeneración Radio. Alcuni di loro parlano di una repressione brutale da parte delle forze dell’ordine e di come queste abbiano cercato di impedire alle ambulanze di raggiungere i feriti dopo l’aggressione. Inoltre, dichiarano di aver visto sul campo elementi dell’esercito, i quali però non avrebbero partecipato direttamente alle violenze.
In serata, abitanti della zona, membri del comitato dei genitori di Ayotzinapa, maestri e persone solidali hanno organizzato delle brigate per andare alla ricerca dei giovani fuggiti sul monte Tepoltzin, molti dei quali, stando alle parole dei testimoni, potrebbero essere seriamente feriti.
Per quanto riguarda il motivo dell’aggressione, non si hanno, al momento, prese di posizione ufficiali da parte delle autorità. Le ipotesi che si stanno facendo in queste ore fanno riferimento al tentativo della polizia di recuperare i bus occupati dagli studenti, nonché un’autocisterna di benzina presa in prestito dai normalisti per riempire i serbatoi dei loro mezzi di trasporto in vista della manifestazione del prossimo 14 novembre nella capitale dello stato per ricordare la violenta repressione ai danni degli studenti del 2007.
Tuttavia, le ragioni più profonde vanno cercate, da una parte, nel tentativo di zittire il movimento di Ayotzinapa in vista delle elezioni straordinarie che si terranno a Tixla il prossimo 29 novembre (quelle ordinarie erano state annullate a causa del boicottaggio delle stesse organizzato dai genitori dei 43 desaparecidos lo scorso 9 luglio); e, dall’altra, dalla volontà delle autorità di mettere fine ad un movimento che, a partire dal 26 settembre del 2014, giorno della strage di Iguala, ha saputo più volte mettere in seria difficoltà il governo, e che ha recentemente ottenuto importanti risultati anche sul piano giuridico-processuale.
Stiamo parlando dei risultati raggiunti grazie al lavoro del gruppo di esperti indipendenti della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH). I quali non solo hanno letteralmente sbugiardato la versione ufficiale dando forza alle critiche che da subito genitori e compagni dei desaparecidos avevano fatto alla versione ufficiale, ma hanno determinato un importante risultato dal punto di vista delle indagini.
Queste infatti, come stabilito da un accordo tra il governo messicano e la CIDH, non saranno più portate avanti dalla Subprocura Specializzata in Delinquenza Organizzata (SIEDO), ma da una nuovo gruppo di lavoro gestito della Subprocura dei diritti umani della Procura Generale della Repubblica. Il che, per quanto non rappresenti una vittoria definitiva, é stato enz’altro un duro colpo per un governo che puntava a chiudere velocemente il caso sugli studenti fermati e fatti sparire, l’anno scorso, da agenti di polizia e pistoleros con il supporto dell’esercito.
L’accordo, comunicato lo scorso 21 ottobre, comporta una collaborazione più attiva da parte degli esperti indipendenti, ed implica l’allargamento degli orizzonti investigativi seguiti fino ad ora dagli inquirenti, i quali hanno mirato più a ridurre i danni e a limitare le responsabilità politico-istituzionali a livello locale che a fare davvero luce sui fatti. Il nuovo gruppo di lavoro, inoltre, dovrebbe iniziare ad investigare anche sulle forze di polizia statali e federali, oltre che sull’esercito che fino ad ora non è mai stato oggetto di indagini serie ed è sempre stato protetto dal governo. Tra gli altri, elementi importanti dell’accordo sono la volontà di riprendere la ricerca dei normalisti utilizzando le tecnologie piú avanzate e quella di coinvolgere nelle perizie gli esperti della CIDH.
La sbandierata volontà di cercare la verità “costi quel che costi” dichiarata dai rappresentanti delle autorità messicane a Washington di fronte ad una sessione plenaria della CIDH meno di un mese fa, viene tuttavia smentita quotidianamente dalle dichiarazioni di membri del governo e da azioni repressive come quella di oggi, la quale va inserita nel contesto di quella che Omar García, portavoce degli studenti di Ayotzinapa, ha definito la guerra mediatica contro il movimento. Una guerra mediatica che prepara, accompagna, sostiene e giustifica la brutale repressione governativa.
Nata per cercare di mettere un argine al danno all’immagine del governo causato dalla relazione del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Internazionali della CIDH (GIEI) del 6 settembre scorso, la campagna mediatica contro i normalisti è andata crescendo nel mese di ottobre in risposta alle grandi mobilitazioni organizzate ad un anno dai tragici fatti.
Il primo tassello della campagna è stato il tentativo costante da parte dei principali opinionisti radio e tv nei giorni successivi la relazione di rappresentare i periti del GIEI come una parte in causa politicizzata e quindi animata da uno spirito antigovernativo. Successivamente, anche in risposta ai diversi documentari indipendenti usciti negli ultimi mesi, è seguito il lancio di un docufilm pompatissimo dal mainstream che al contrario difende acriticamente la versione ufficiale. Infine, negli ultimi giorni, i media più reazionari hanno ricominciato a diffondere la tesi di una possibile presenza di elementi legati ai clan criminali della zona all’interno della Normale. Tesi questa - va sottolineato - che era stata iniziamente utilizzata dalle autorità per liquidare la strage di Iguala come uno scontro tra bande rivali.
La campagna per associare nuovamente i normalisti alla criminalità organizzata è iniziata qualche giorno fa con la pubblicazione da parte del quotidiano di centrodestra El Milenio di frammenti di un’intercettazione telefonica di Omar García dove si parla di una tentata irruzione da parte del gruppo criminale degli Ardillos all’interno della scuola Isidro Burgos. Secondo l’autore dell’articolo Mario Marin, gli aggressori, fermati dall’intervento della polizia comunitaria, avrebbero avuto intenzione di sequestrare alcuni normalisti in quanto membri dell’organizzazione rivale dei Rojos.
Un paio di giorni dopo l’articolo, il ministro degli interni Osorio Chong ha dichiarato che gli inquirenti stanno indagando su possibili relazioni tra narcos e studenti, notizia poi smentita dalla Procura della Repubblica. Insomma, a oltre 14 mesi dalla strage, quando la mobilitazione, la pressione internazionale ed il lavoro degli esperti iniziano a dare i primi risultati forzando le autorità ad un importante cambiamento nella conduzione delle indagini, governo e mass media paiono aver scelto nuovamente la via della repressione. Per questo, come sostengono i normalisti immediatamente dopo l’ennesimo attacco che smaschera le reali intenzioni delle autorità, oggi piú che mai, è necessario mantenere alta l’attenzione e continuare a sostenere la loro lotta anche a livello internazionale.
* da Città del Messico
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