Motivazioni condanne
Crack Alitalia, buco senza fondo
“I vertici ed i dirigenti di Alitalia hanno agito a costo di
diminuire il patrimonio della compagnia per interessi del tutto estranei a
quelli dell’azienda, piegandosi ad interessi politici del tutto avulsi da
quelli imprenditoriali, contribuendo ad aprire una voragine senza fondo che ha inghiottito lavoratori, famiglie,
l’economica nazionale”. È l’analisi dei giudici che il 28 settembre hanno
condannato quattro ex manager per il crack Alitalia fino al 2007, tra i quali
l’ex presidente Gianfranco Cimoli.
Il sole 24 ore 14 ottobre 15
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Cimoli, (nominato nel 2003 cavaliere del lavoro), presidente e amministratore delegato dal 2004 al
2007, è stato condannato a 8 anni e 8 mesi per bancarotta fraudolenta e
aggiotaggio mentre al suo predecessore Francesco Mengozzi sono stati inflitti 5
anni e i due manager Pierluigi Ceschia e Gabriele Spazzadeschi dovranno
scontare rispettivamente 6 anni e 6 mesi e 6 anni…
L’amministrazione di Alitalia «fu concepita da Giancarlo
Cimoli come quella di un pozzo senza fondo cui attingere impunemente». Durante
la sua gestione furono effettuate «operazioni
prive di ragioni economiche congrue, pericolose e dissennate attività di
sperpero di risorse aziendali, dunque mere distruzioni di risorse».
È durissima la motivazione che ha convinto i giudici del
tribunale di Roma a condannare lo stesso Cimoli, presidente e amministratore
delegato dal 2004 al 2007, a 8 anni e 8 mesi per bancarotta fraudolenta e
aggiotaggio mentre al suo predecessore Francesco Mengozzi sono stati inflitti 5
anni e i due manager Pierluigi Ceschia e Gabriele Spazzadeschi dovranno
scontare rispettivamente 6 anni e 6 mesi e 6 anni.
Anche perché evidenzia la necessità di «non dimenticare come
le difficoltà economiche-strutturali di Alitalia si collochino in un contesto di difficoltà economiche
strutturali dello Stato Italiano, connotate dalle note commistioni tra poteri
economici-politici-sindacali (e mafiosi), contesto nel quale anche Alitalia
gioca un ruolo importante».
Nel documento depositato ieri il collegio sposa le tesi
dell’accusa rappresentata dai pubblici ministeri Stefano Pesci e Francesca Loy.
E sottolinea come i vertici ed i dirigenti Alitalia imputati abbiano «agito a
costo di diminuire il patrimonio di Alitalia per interessi del tutto estranei a
quelli della compagnia, piegandosi ad
interessi politici del tutto avulsi da quelli imprenditoriali, contribuendo ad
aprire una voragine senza fondo che ha inghiottito lavoratori, famiglie,
l’economia nazionale».
Le operazioni contestate riguardano la divisione di Alitalia
Fly e Alitalia Servizi, la vendita di Eurofly al prezzo «incongruo e
irragionevole» di 14 milioni circa, l’affidamento di una consulenza da 50 milioni
alla McKinsey per ripianare i conti. E proprio su questo la critica del
collegio è feroce: «Altro che risanamento. Bisognava far finta di predisporre
un piano di risanamento senza il quale nessun prestito Ponte sarebbe elargito.
Questo per consentire a Cimoli di restare al vertice di
un’azienda per la quale avrebbe dovuto portare immediatamente i libri in
Tribunale, consapevole che la situazione era ormai irreversibile. Perché non
chiudere subito? Perché Cimoli non avrebbe percepito i propri compensi (né gli
amici McKinsey)».
Significativo anche il giudizio espresso riguardo a Eurofly:
«Appare evidente che l’operazione di vendita posta in essere da Alitalia più
che avvantaggiare la Compagnia abbia avvantaggiato Eurofly e gli investitori
del lucroso affare e che si sia trattata di una vendita - anzi di una svendita
- nella quale, come giustamente ha osservato il pubblico ministero, era già
stabilito chi doveva vincere». I componenti del collegio parlano di «vera e propria mala gestio, di sostanziale
condotta dissipativa, consapevolmente posta in essere dai manager».
dalla stampa online
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