È
ora di finirla, si sono detti, ripromettendosi di scatenare una
battaglia contro… se stessi! Con la decisione di Lima, in occasione
del meeting di Fmi e Banca Mondiale, infatti, i rappresentanti del
capitale mondiale hanno deciso di fare una battaglia per far pagare
le tasse alle multinazionali che eludono il fisco appunto per 7.600
miliardi e “tasse non pagate” per 250 miliardi... “spostando
il carico su chi non può fuggire: lavoro dipendente” come dice
l’interessante
articolo che riportiamo e dal quale si evince, insomma, come
risultato della lunghissima e acutissima crisi, che anche i borghesi,
“analisti”, intellettuali o gli stessi capitalisti si mettono
all’opera per “razionalizzare” i conti e '“armonizzare” i
rapporti tra i paesi imperialisti a livello internazionale
(attraverso anche gli accordi sul commercio mondiale TPP e TTIP) per
mettere in riga i membri della loro classe.
Certo
“riconoscere” apertamente di essere delinquenti “legalizzati”
non è facile (e questo è solo uno dei campi della loro delinquenza)
riconoscendo implicitamente che i “movimenti” hanno ragione in
questa critica, ma da un lato la crisi è tale che negli ultimi tempi
le critiche al loro modo di produzione, il capitalismo, si sono fatte
troppo forti, e dall'altro possono permettersi di parlare apertamente
perché per adesso la classe operaia non è così organizzata
da mettergli paura...
(Le sottolineature sono nostre)
Il
ministro Lou Jiwei: “Nel 2016 la riforma fiscale colpirà chi
trasferisce i profitti per pagare meno tasse”
la Repubblica • 12 ott 15
E’
arrivata perfino l’adesione della Cina. A sostegno di chi definisce
“storico” l’accordo di Lima: guerra
all’elusione fiscale delle multinazionali.
Anche il ministro delle Finanze cinese, Lou Jiwei, in occasione del
meeting di Fmi e Banca Mondiale in Perù ha dato la sua adesione
all’operazione- trasparenza.
«Molte multinazionali – ha detto
il ministro – non pagano le tasse nei paesi in cui le attività
commerciali generano profitti, ma trasferiscono quei profitti
all’estero per evitare la tassazione».
Dopo
anni in cui questa elusione –
legalizzata
– veniva denunciata da movimenti come Occupy Wall Street, dalle
indagini dei giornali, dagli economisti chiamati a testimoniare nelle
commissioni d’inchiesta parlamentari, qualcosa finalmente si è
mosso. I ministri economici dei paesi avanzati riuniti nell’Ocse –
a cui si è aggiunta la Cina, che non ne fa parte – hanno raggiunto
quest’intesa a Lima per contrastare un
fenomeno ormai massiccio, mondiale, dalle conseguenze disastrose sul
gettito fiscale di tutti gli Stati. Angel
Gurrìa, che dirige l’Ocse, stima che l’applicazione di questo
accordo potrà fruttare annualmente 250
miliardi di dollari di tasse in più.
E’
il valore di molte “manovre di austerity”.
Non è caccia all’evasione in senso stretto. Le
multinazionali non hanno bisogno di evadere: sono ben più raffinate.
I loro uffici legali
studiano le normative fiscali per trovarvi tutte le soluzioni
“lecite” che consentono di
minimizzare la pressione fiscale: creano
sedi societarie fittizie, “scatole vuote” domiciliate in paradisi
off-shore; spostano con esercizi di virtuosismo contabile i loro
profitti in quelle società. Alla
fine pagano poco o nulla. Il risultato è che la
spesa pubblica viene finanziata spostando il carico su chi non può
fuggire: lavoro dipendente, ceto
medio, piccola e media impresa. Il danno è enorme sotto ogni
profilo, ivi compresa «la fiducia dei cittadini nelle istituzioni»,
ha ricordato Gurrìa. Di qui l’importanza dell’intesa raggiunta
al vertice di Lima, cui deve seguire una ratificazione formale al
prossimo G-20 che si tiene tra poco
più di un mese in Turchia.
L’accordo riunisce 60 paesi e stabilisce nuove regole su Base
erosion and profits shifting (Beps) cioè erosione della base fiscale
e spostamento dei profitti. E’ il risultato di un lavoro che
prosegue da anni in seno all’Ocse, dietro la spinta dell’opinione
pubblica e di economisti autorevoli.
Al
Festival dell’Economia di Trento, per esempio, il premio Nobel
Joseph Stiglitz annunciò un manifesto firmato da molti suoi
colleghi, per la lotta all’elusione legalizzata delle
multinazionali. A diffondere consapevolezza sulla dimensione di
questo fenomeno – e quindi della ricchezza sottratta alle comunità
nazionali – ha contribuito più di recente lo studio di un
economista della University of California- Berkeley, Gabriel Zucman,
intitolato “The Hidden Wealth of Nations”, cioè la ricchezza
nascosta delle nazioni. E’ considerato per certi aspetti il
“successore” dello studio di Thomas Piketty su capitalismo e
diseguaglianze. Zucman ha stimato che le
grandi imprese nascondono al fisco un imponibile pari a 7.600
miliardi di dollari. Ma quanto sarà
efficace l’accordo di Lima? I dubbi restano, quando si passano in
rassegna i nomi dei firmatari. C’è George Osborne, Cancelliere
dello Scacchiere inglese: governa le finanze di Londra, paradiso
fiscale per eccellenza, non a caso una piazza finanziaria scelta come
sede da molte multinazionali. C’è Jack Lew, segretario al Tesoro
Usa, che avrà difficoltà a far passare nuove norme in un Congresso
repubblicano. Il cinese non ha precisato se la “trasparenza” si
estenderà a Hong Kong, formalmente autonoma. Sul banco degli
imputati va messa tutta l’Unione europea: ha consentito che i
paradisi off-shore fiorissero al proprio interno. The Economist ha
battezzato “Doppio irlandese con sandwich olandese” – come
un’ordinazione al bar – il sistema usato da molte multinazionali
che creano finte sedi in Irlanda e Paesi Bassi. La Commissione Ue
indaga su Apple, Amazon, Fiat-Chrysler, Starbucks, per le
agevolazioni fiscali ottenute in Lussemburgo, Irlanda, Olanda. Dopo
Lima, dopo il G-20 in Turchia, è a Bruxelles, Londra e Washington,
nei rispettivi esecutivi o parlamenti nazionali, che vedremo l’esito
della battaglia.
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