Abbiamo denunciato già
altre volte come l'industria bellica sia diventata il core-business
del sistema industriale dell'imperialismo italiano e che gli affari
di questo settore procedono, per così dire, come un “carrarmato”,
a riparo del parlamento e di ogni tipo di controllo.
Nel 2014 l'Italia ha
venduto armi all'estero per 2,31 miliardi di euro. Ma si tratta solo
di una parte, dato che sono esclusi da questo calcolo i materiali
esportati nei programmi governativi di “cooperazione
internazionale”, come i pezzi per produrre i caccia eurofighter, il
caccia bombardiere F35, le fregate Fromm.
Il cuore dell'industria
bellica sono le imprese del gruppo Finmeccanica, in testa Augusta,
Alenia, Avio, elettronica, Piaggio e Beretta.
A chi vanno le armi
italiane? A tutti. Ad altri paesi imperialisti, come Stati Uniti,
Gran Bretagna, alle potenze emergenti del Terzo Mondo, come India,
agli eserciti delle borghesie compradore, come Perù e Filippine, e
infine, massicciamente, nei paesi teatro di guerra del Medio Oriente
e Nord Africa.
L'imperialismo italiano,
quindi, è parte integrante del sistema che produce guerre in ogni
angolo del mondo e nella gerarchia internazionale dei paesi
imperialisti è costantemente nelle prime posizioni. Il governo, in
particolare i Ministri della Difesa, sono agli ordini, e spesso sul
'Libro paga' delle industrie belliche; il parlamento e il sistema dei
partiti ne sono il contorno complice.
Ma il ruolo centrale in
questo lo giocano i sindacati confederali, i loro dirigenti nazionali
e di settore, che condividono e spingono questa parte del sistema
industriale verso sempre più alti profitti.
La lotta di classe contro
tutto questo ha e deve avere caratteristiche specifiche, lontane dal
pacifismo di maniera, sindacalismo complice, ecc.
Essa necessita
dell'azione, della mobilitazione che metta in luce il carattere
guerrafondaio dell'imperialismo e dei suoi governi e la necessità di
sabotare la sua industria bellica.
proletari comunisti - PCm Italia
14 ottobre 2015
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