2. TRASMISSIONE DI VALORE DALLE
MACCHINE AL PRODOTTO
Nella prima parte di questo capitolo Marx
ritorna su come il capitale si appropria gratuitamente
delle forze produttive “derivanti dalla cooperazione e dalla divisione del
lavoro.” che “Sono forze naturali del
lavoro sociale.” E, appunto, sono gratis per il capitale che si appropria,
incorporandole nel processo produttivo, anche delle “forze naturali,” acqua
ecc. “… e così anche la scienza”.
Per sfruttare queste forze servono però strumenti
e macchine, e a proposito di strumento, Marx precisa che lo “strumento non viene
soppiantato dalla macchina” ma attraverso il tempo e con modifiche diventa
gigantesco: “Ora il capitale fa lavorare l’operaio non più con uno strumento
artigiano, ma con una macchina che
maneggia essa stessa i suoi strumenti. Se quindi è evidente a prima vista
che la grande industria deve aumentare
straordinariamente la produttività del lavoro incorporando nel processo
produttivo enormi forze naturali e le scienze fisiche, non è affatto
altrettanto evidente che la produttività così accresciuta non viene acquistata
con un aumentato dispendio di lavoro dall’altro lato.”
Le macchine così sviluppate sono, come
sappiamo, “lavoro passato”, “capitale costante” e Marx
ribadisce che “Come ogni altra parte costitutiva del capitale costante, le macchine non creano valore, ma cedono il loro proprio valore al prodotto, alla produzione del quale esse servono”. E in questo senso “Invece di ridurlo più buon a mercato, lo rincarano in proporzione del proprio valore. Ed è un fatto tangibile che la macchina e il macchinario sistematicamente sviluppato, che sono il mezzo di lavoro caratteristico della grande industria, si gonfiano sproporzionatamente di valore in confronto ai mezzi di lavoro dell’industria artigiana e manifatturiera.”
ribadisce che “Come ogni altra parte costitutiva del capitale costante, le macchine non creano valore, ma cedono il loro proprio valore al prodotto, alla produzione del quale esse servono”. E in questo senso “Invece di ridurlo più buon a mercato, lo rincarano in proporzione del proprio valore. Ed è un fatto tangibile che la macchina e il macchinario sistematicamente sviluppato, che sono il mezzo di lavoro caratteristico della grande industria, si gonfiano sproporzionatamente di valore in confronto ai mezzi di lavoro dell’industria artigiana e manifatturiera.”
Come cedono questo valore le macchine? Marx
innanzi tutto ricorda che “le macchine entrano sempre interamente nel processo
di lavoro ed entrano sempre solo parzialmente nel processo di valorizzazione. Non aggiungono mai più valore di quanto non
perdano in media per il loro logorio. Si verifica quindi una grande differenza fra il valore della
macchina e la parte di valore da
essa periodicamente trasferita nel prodotto: si verifica una gran
differenza fra la macchina come elemento
costitutivo del valore e la macchina
come elemento costitutivo del prodotto.”
E questa differenza, fra valore della macchina e la parte trasferita al prodotto, è
tanto più grande quanto più durano le
macchine, quanto più grande il tempo “durante il quale le stesse macchine
tornano a servire ripetutamente nello stesso processo lavorativo.”
Marx afferma che questa produttività gratuita
dipende anche dalla grandezza delle macchine, e quanto queste siano fondamentali,
facendo la differenza con lo strumento: “Quanto maggiore è il volume
dell’effetto produttivo delle macchine di fronte a quello dello strumento, tanto maggiore è il volume del loro
servizio gratuito.” E ribadisce quanto sia importante la grande industria
perché “Solo nella grande industria
l’uomo impara a fare operare su larga scala, come una forza naturale,
gratuitamente, il prodotto del suo lavoro passato e già oggettivato.”
Poi Marx accenna ad una contraddizione tipica
del capitale, che svilupperà in seguito, tra l’economizzazione che deriva dall’uso
e consumo in comune di edifici,
ecc., “in confronto con la dispersione delle condizioni della produzione di
operai isolati, e che quindi rincarano
meno il prodotto” con il rincaro del prodotto causato dal valore
accresciuto delle macchine.
“Data la differenza fra il valore delle
macchine e la parte di valore trasmessa nel loro prodotto giornaliero, il grado del rincaro apportato al prodotto da
questa parte di valore, dipende in primo luogo dal volume del prodotto...”
E la massa dei prodotti a sua volta “dipenderà dalla velocità con la quale opera,
dunque, per esempio dalla velocità con la quale gira il fuso, o dal numero di
colpi che il martello distribuisce in un minuto…” E in quanto a velocità
imposta dalle macchine del capitale gli operai fanno esperienza quotidiana…
“Data la proporzione nella quale le
macchine trasferiscono valore nel prodotto, la grandezza di questa parte del
valore dipende dalla grandezza di valore
delle macchine stesse. Tanto meno lavoro
esse contengono, tanto minor valore
aggiungono al prodotto; tanto meno
valore esse cedono, tanto più sono produttive e tanto più il servizio che
fanno s’avvicina a quello delle forze naturali. Ma la produzione di
macchine per mezzo di macchine ne diminuisce il valore
proporzionalmente alla loro estensione ed efficacia. (Mentre diventano sempre
più efficienti nelle macchine c’è incorporato sempre meno lavoro vivo!)
“Una analisi
comparativa dei prezzi di alcune
merci prodotte artigianalmente o con lavoro di tipo manifatturiero coi prezzi delle stesse merci come prodotto
delle macchine dà in generale il risultato che nel prodotto delle macchine la
parte costitutiva del valore dovuta al mezzo
di lavoro cresce relativamente, ma diminuisce in assoluto. Vale
a dire: la sua grandezza assoluta diminuisce, ma cresce la sua grandezza in
rapporto al valore complessivo del prodotto...”
A questo punto conviene, e quando conviene,
al capitale sostituire lavoratori con macchine?
Innanzi tutto “È evidente che quando la
produzione di una macchina costa tanto
lavoro, quanto il suo uso ne risparmia, ha luogo un semplice spostamento del lavoro, e che dunque la somma complessiva
del lavoro richiesto per la produzione d’una merce non è diminuita, ossia è
evidente che la forza produttiva del
lavoro non è aumentata.” Perché la macchina venga considerata “produttiva”
deve quindi essere in grado di sostituire forza-lavoro umana.
E qui Marx fa alcuni esempi di sostituzione
di uomini con macchine: “Dove il vecchio metodo del blockprinting ossia
della stampatura a mano delle cotonine è stato sostituito con la stampatura a
macchina, una sola macchina
assistita da un uomo o da un ragazzo
dà in un’ora tanta cotonina stampata a vari colori quanta prima ne davano duecento uomini…”
“Considerata la macchina esclusivamente mezzo per ridurre più a buon mercato il
prodotto, il limite dell’uso
delle macchine è dato dal fatto che la
loro produzione costi meno lavoro di quanto il loro uso ne sostituisca. Ma per il capitale questo limite trova
un’espressione ancora più ristretta.
Poiché il capitale non paga il lavoro adoperato, ma il valore della
forza-lavoro usata, per esso l’uso delle
macchine è limitato dalla differenza fra il valore della macchina e il valore
della forza-lavoro da essa sostituita. Poiché la suddivisione della
giornata lavorativa in lavoro necessario e in pluslavoro è differente a seconda
dei paesi, ed è anche differente nello stesso paese in periodi differenti o
durante lo stesso periodo in differenti rami d’industria, poiché inoltre il
salario reale dell’operaio ora scende al di sotto ora sale al di sopra del
valore della sua forza-lavoro, la
differenza fra il prezzo delle macchine e il prezzo della forza-lavoro che da
esse deve essere sostituita può variare molto, anche identica rimanendo la
differenza fra la quantità di lavoro necessaria per la produzione della
macchina, e la quantità complessiva del lavoro da essa sostituito.”
Nel sistema capitalista dunque l’uso delle macchine
è limitato dalla necessità di estrazione di plusvalore; è per questo che qui Marx
aggiunge in nota: “Quindi in una società comunistica le macchine avrebbero
ben più largo campo d’azione che non nella società borghese”.
Infatti, continua Marx: “… per il capitalista stesso, è solo la
prima differenza quella che determina i costi di produzione della merce, e che influisce su di lui mediante le leggi
coercitive della concorrenza.” E allora anche se si inventano macchine (e
oggi, di “limitazioni” di questo tipo ne abbiamo a bizzeffe) dice Marx, non si
usano: “Quindi si inventano oggi in Inghilterra macchine che vengono adoperate
solo nell’America del Nord, come la Germania inventava nei secoli XVI e XVII
macchine che solo l’Olanda adoperava…”, ma non solo, un altro grande fenomeno
appare: “Nei paesi di più antico sviluppo la macchina stessa produce, per il
suo uso in alcune branche d’industria, tale sovrabbondanza di lavoro (redundancy of labour, dice il
Ricardo) in altre branche che la caduta del salario al disotto del valore della
forza-lavoro impedisce l’uso delle macchine, e lo rende superfluo e spesso impossibile dal punto di vista del capitale,
il guadagno del quale proviene di per sé dalla diminuzione non del lavoro
adoprato ma da quella del lavoro pagato.”
Fenomeno che oggi si chiama licenziamenti e
disoccupazione di massa. Un altro esempio è quello riportato rispetto all’Inghilterra
“Durante gli ultimi anni il lavoro dei fanciulli è molto diminuito in alcune
branche della manifattura laniera inglese, e qua e là è stato quasi
soppiantato. Perché?” La Legge sulle fabbriche “rendeva necessarie due squadre
di fanciulli una delle quali doveva lavorare sei ore, l’altra quattro, oppure
ognuna solo cinque. Ma i genitori non volevano vendere gli half-timers
(lavoratori a mezza giornata) più a buon mercato dei full-timers
(lavoratori a piena giornata) di prima. Quindi si ebbe la sostituzione degli half-timers con le macchine. Prima del divieto del lavoro delle donne e
dei fanciulli (al di sotto dei dieci anni) nelle miniere, il capitale trovava che il metodo di utilizzare
donne e ragazze nude, spesso legate con uomini, nelle miniere di carbone ed
altre miniere, concordava così bene con il suo codice morale e in specie col
suo libro mastro, che si rifece alle macchine soltanto dopo quel divieto. Gli yankees [americani] hanno inventato
macchine spaccapietre. Gli inglesi
non le adoperano, perché al miserabile (“wretch” è termine
tecnico dell’economia politica inglese per il lavoratore agricolo) che compie
questo lavoro vien pagata una parte così piccola del suo lavoro, che le
macchine rincarerebbero la produzione per il capitalista.” Un ultimo esempio,
che sarà trattato più estesamente in seguito, riguarda le donne per le quali il
capitale ha avuto sempre, diciamo coì, un’attenzione particolare. Dice, infatti
Marx: “In qualche occasione in Inghilterra vengono ancora impiegate donne invece di cavalli per rimorchiare
ecc. le barche dei canali, perché il lavoro richiesto per la produzione dei
cavalli e delle macchine è una quantità matematica data, e invece quello per il
mantenimento delle donne della sovrappopolazione è al disotto di ogni calcolo.
Quindi in nessun’altra parte del mondo si trova una prodigalità di forza umana
per bagattelle, più svergognata di quella che si trova per l’appunto in
Inghilterra, il paese delle macchine.”
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