by JNU Forum against War on People
Come è oggi evidente, l’accoppiata
Modi-Rajnath ha fretta di portare avanti lo stesso modello di
“sviluppo” targato Manmohan-Chidambaram, ma con più furia e
determinazione. In quanto nuovo “uomo forte”, da Modi ci si
aspettano le soluzioni che multinazionali e grandi imprese attendono,
che spianino ogni possibile dissenso e tutto ciò che “blocca la
strada” dello ‘sviluppo’. Questo, naturalmente, significa
morte, distruzione, deportazione per le persone e devastazione
irreversibile per l’ambiente. Ripartendo da dove l’UPA si era
fermato, l’attuale governo ha già avviato i suoi foschi piani per
aggirare, gabbare, diluire o abrogare tutte le garanzie relative alle
concessioni su foreste / ambiente / tutela della fauna selvatica e
all’acquisizione di terreni per uso di estrazione / industriale /
progetti di Zone Economiche Speciali (SEZ). E, per assicurarsi che
sia sedata con la forza ogni possibile resistenza a questo modello di
‘sviluppo’ antipopolare e non sostenibile ecologicamente che
favorisce profitto e razzia, l’attuale governo non solo è pronto
ad aggiungere ancora più risorse alla Operazione Green Hunt in corso
nella parte centrali e orientale del paese, ma sta anche estendo a
nuove aree questa guerra al popolo fascista spalleggiata dai padroni.
Una di queste nuove aree su cui le
grandi compagnie e lo Stato indiano hanno messo gli occhi sono i Ghat
occidentali.
Poco prima delle elezioni del
parlamento del Maharashtra, Modi “assicurava” agli investitori
che il suo governo avrebbe rimosso tutti gli ostacoli fiscali
esistenti alla politica della Zona Economica Speciale. Va considerato
che in Maharashtra c’è il più alto numero di proposte di SEZ -
molte insistono nei Ghat occidentali, regioni ecologicamente
sensibili. “Ho chiesto al mio ministro di individuare tutti i
problemi per l’attuazione di questa politica e li risolveremo in
pochi giorni” proclamava Modi alla cerimonia di posa della prima
pietra di una SEZ basata su investimenti per 60 miliardi di rupie. E
ancora assicurava alla India Inc. che il suo governo è impegnato a
facilitare il processo di concessione delle varie licenze nei Ghat
occidentali. All’allora primo ministro del Maharashtra che chiedeva
chiarimenti dal governo centrale circa l’attuazione del rapporto
del Dr. Madhav Gadgil della Commissione sui Ghat occidentali, Modi ha
risposto: “Certe vecchie malattie sono guarite solo da dottori
nuovi”. C’è da capire ciò che cosa intende per “malattie” e
quale “guarigione” portano i “dottori nuovi”. Per farlo,
diamo uno sguardo alla situazione dei Ghat occidentali e alle
avvertenze contenute nella relazione della commissione Gadgil a
proposito delle minacce che il “modello di sviluppo” dello Stato
indiano rappresenta per questa regione ecologicamente fragile.
I Ghat occidentali: qual è la posta
in gioco?
Lungo la costa sud-occidentale
dell’India si distendono 1.600 chilometri di catena montuosa, con
foreste più antiche dell’Himalaya: i Ghat occidentali. Queste
montagne sono uno dieci siti “più ricchi di biodiversità” al
mondo, e l’UNESCO ha recentemente riconosciuto la regione come
Patrimonio dell’Umanità. Queste colline coprono 160.000 kmq e
formano il bacino di raccolta di complessi sistemi di canali fluviali
che raggiungono quasi il 40% dell’India. Il rapporto Gadgil la
definisce come la “torre d’acquedotto della penisola Indiana”.
Nell’area sono presenti oltre 7.400 specie di piante fiorite, 139
specie di mammiferi, 508 specie di uccelli, 179 specie di anfibi e
288 specie di pesci d’acqua dolce; è probabile che molte specie
ancora sconosciute vivano nell’area dei Ghat occidentali. Se c’è
una ragione per proteggere i Ghat occidentali, è il fenomeno
dell’endemismo. Pur se questa area copre appena il 5% del
territorio dell’India, in essa si trovano il 27% di tutte le specie
di piante superiori dell’India. La regione è dimora di almeno 84
specie di anfibi, 16 specie di uccelli, 7 mammiferi, e 1.600 piante
da fiore che non si trovano in nessun’altra parte del mondo!
Storicamente, i Ghat occidentali erano in gran parte inaccessibili e
ricoperti di fitte foreste che fornivano cibo e habitat naturale a
centinaia di migliaia di indigeni adivasi. Tra questi: i Kotas,
Badagas, Kurumbas e Todas in Nilgiris; i Soligas, Halakki Vokkals e
Siddis in Karnataka; i Paniyas, Adiyas, Kuruchiyas, Kathinayakas e
Kurumas in Wayanad; i Gaudes, Velips, Dhangars e Kunbis in Goa; e i
Bhils e Warlis nelle propaggini centro-settentrionali dei Ghat
occidentali. Popolazioni che per secoli hanno convissuto in serena
armonia con l’ambiente naturale di queste pendici, ricche di saperi
tradizionali e di vita culturale. In realtà, ciò è sorprendente
dei Ghat è che rappresentano una straordinaria scheggia di diversità
biologica, sopravvissuta grazie alla vita delle comunità.
Il rapporto della Commissione
Gadgil: uno sforzo vano
Le minacce contro l’ambiente e i
popoli dei Ghat occidentali risalgono alla colonizzazione britannica,
che portò un massiccio disboscamento delle foreste per farne
piantagioni e ricavare legname. Se questo processo è continuato
senza sosta, anche dopo il 1947, con l’attuale “sviluppo” fatto
di razzia indiscriminata rivestita dalla retorica della “crescita
economica”, le minacce si sono moltiplicate. Preoccupati da queste,
il gruppo di esperti dell’ecologia dei Ghat occidentali guidato dal
noto ecologista Madhav Gadgil, ha presentato un’analisi
approfondita dell’impatto della miriade di “progetti di sviluppo”
per l’area che proliferano come funghi.
Il rapporto Gadgil analizza gli effetti
negativi dei vari progetti di centrali idroelettriche, ad esempio il
progetto in Athirappilly e Gundia, di miniere, centrali nucleari e
industrie inquinanti, ad esempio nei distretti di Ratnagiri ed
Sindhudurg in Maharashtra, nonché la famigerata mafia delle miniere
di Goa. La produzione di minerale di ferro in Goa è aumentata dai
12,1 milioni di tonnellate del 1992 ai 41 milioni di tonnellate del
2009, con un aumento di 20 milioni di tonnellate solo negli ultimi 5
anni! Circa 10 milioni di tonnellate di minerale provengono da
miniere illegali. Il rapporto denuncia inoltre la natura di questo
modello di “sviluppo”, dimostrando che il 100% del minerale
estratto a Goa viene esportato, circa l’89% in Cina e circa l’8%
in Giappone.
La commissione Gadgil si è presa la
briga di dimostrare come “le attività dei progetti, attuati e
proposti, di miniere, centrali energetiche e insediamenti industriali
sono in grave conflitto con i settori economici tradizionali
dell’agricoltura, dell’orticoltura e della pesca”. Il rapporto
esplora nei minimi dettagli i danni causati all’ecologia, alle
acque potabili, all’agricoltura, alla popolazione adivasi, alla
biodiversità da questo uso del suolo, sollevando dubbi anche sulla
stessa fattibilità tecnica di questi progetti. Facendo solo alcuni
esempi, denuncia la violenza e l’inganno usati, nel completo
disprezzo per le popolazioni, per acquisire i terreni dei progetti in
questione. Nella zona Jaitapur le terre sono state tolte ai contadini
applicando norme di emergenza che hanno provocato il terrore di
massa. Nel distretto di Ratnagiri, il progetto della PTIANA prevede
la costruzione una centrale elettrica a carbone su terreni venduti
con l’accordo che erano acquistati per costruirvi un resort di
ecoturismo. La Finolex sta chiudendo con la forza l’accesso dei
pescatori alle loro tradizionali zone di pesca. I residenti del
villaggio Tamboli nel distretto di Sindhudurg raccontano di aver
improvvisamente scoperto che nel 2006 sui documenti catastali delle
loro terre tra gli “altri diritti” è stata inserita anche
l’estrazione mineraria, senza nemmeno informarli. Esprimono anche
la loro angoscia perché “mentre non si prende alcun provvedimento
contro l’inquinamento illegale di Lote, il Governo ricorre alle
forze di polizia per reprimere le manifestazioni del tutto legittime
e pacifiche contro l’inquinamento”. Il rapporto Gadgil contiene
anche indicazioni concrete per un approccio dal basso, per la
conservazione e lo sviluppo sostenibile, in cui è fondamentale la
partecipazione e il consenso delle popolazioni al disegno del loro
sviluppo. Infine, gran dispetto per la lobby dello “sviluppo”, il
rapporto richiede di dichiarare tutti i Ghat occidentali “zona
ecologicamente sensibile”. Raccomanda la divisione dei Ghat
occidentali in zone ecologicamente sensibili (ESZ) di I, II, e III
categoria. Nelle ESZ di I categoria, raccomanda di non impiantare
nuove miniere, centrali energetiche, dighe, industrie, ferrovie /
strade né insediamenti di eco-turismo e la graduale chiusura delle
miniere esistenti entro il 2016. Lo stesso vale per i nuovi progetti
minerari, industrie inquinanti e dighe nelle ESZ di II categoria, con
rigorosa regolamentazione delle altre attività. Si raccomanda di non
consentire monocoltura o piantagioni né l’uso di pesticidi, ecc.
Solo nelle ESZ di III categoria queste attività / progetti
potrebbero essere consentiti, sempre sotto rigorosa regolamentazione.
Respinto Rapporto Gadgil, si adotta
il Rapporto Kasturirangan: “crescita” e “sviluppo” vincono su
vita e sostenibilità
Tutte queste preoccupazioni circa il
benessere della biodiversità di questa regione e della sua gente
sono virulentemente osteggiate dalle grandi compagnie, affamate di
profitti, e dalle mafie delle miniere. E sono proprio queste
preoccupazioni, che osano pretendere di escludere il 70% dei Ghat
occidentali dai “progetti di sviluppo”, che Modi chiama “vecchie
malattie”. Tutti i governi di Kerala, TN, Karnataka, Goa,
Maharashtra e Gujarat hanno chiesto all’unisono di respingere il
Rapporto Gadgil. Il parlamento del Kerala ha perfino approvato
all'unanimità una risoluzione per censurarlo. Quanto al governo
centrale UPA., tanto per cominciare, per lungo tempo ha perfino
rifiutato di renderlo pubblico. Per aggirarlo, poi, il Governo UPA ha
infine incaricato un cosiddetto “Gruppo di lavoro di alto profilo”
guidato da uno scienziato spaziale (l’ex presidente ISRO K.
Kasturirangan) di “revisionare” il rapporto Gadgil! Come
previsto, Kasturirangan respinto le raccomandazioni di Gadgil per un
decentramento democratico dei poteri decisionali, osservando che le
comunità locali non possono avere alcun ruolo nelle decisioni
economiche! Ha respinto anche le altre raccomandazioni e ha
qualificato solo il 37% dei Ghat area ecologicamente sensibile,
aprendo la parte restante agli squali delle grandi compagnie. Il
Tribunale Verde nazionale ha poi decretato che, in seguito
all’accettazione da parte del Ministero dell'Ambiente e delle
Foreste (MoEF) delle raccomandazioni di K. Kasturirangan, il parere
del rapporto Gadgil non era più vincolante sulle decisioni di
concessione dei progetti. Oggi, ovviamente, Modi e i suoi “nuovi
dottori” invocano come via per la “guarigione” ulteriori
concessioni e di una regolamentazione ancora più ridotta.
Green Hunt arriva nei Ghat
Da quando le grandi aziende e lo Stato
indiano hanno messo gli occhi su questa regione, sono iniziati i
preparativi per espropriare tutti quegli adivasi che si trovano lungo
la strada del loro modello di “sviluppo”. E, dato che questi
provvedimenti incontrano l’inevitabile e giusta resistenza degli
adivasi, che combattono a difesa della loro vita, sussistenza e
dignità, lo Stato sta estendendo a queste regioni la sua guerra al
popolo. La soluzione del dibattito sopra descritto tra fautori di uno
sviluppo sostenibile e della razzia indiscriminata a favore di questi
ultimi ha ulteriormente accelerato il processo. Negli ultimi cinque
anni (2009-2014), la Operazione Green Hunt era stata per lo più
confinata entro il cuore adivasi dell'India centrale e orientale, per
facilitare il bottino delle grandi compagnie negli stati di
Jharkhand, Chattisgarh, Odisha, Bengala, Maharashtra e Telangana. Ma
oggi si va estendendo e intensificando anche negli stati di Kerala e
Karnataka, per reprimere la resistenza che si sta sollevando contro
il “terrorismo dello sviluppo” che lo Stato impone nei Ghat
occidentali. Da un lato, nelle foreste dei distretti di Wayanad,
Kannur, Malappuram e Kasargod, in Kerala, lo scorso anno la polizia
ha lanciato massicce operazioni combinate di rastrellamento
“Anti-Naxaliti”. A questo scopo è stata allestita forza speciale
di commandos chiamata “Kerala Thunder Bolt”, che si aggiunge ai
micidiali corpi speciali Cobra, Jaguar, Greyhound, C60 impiegati nel
corso di Green Hunt nei diversi stati. Negli ultimi due anni simili
movimenti di truppe si sono intensificati anche nello stato del
Karnataka, nei fitti tratti foresta dei Ghat occidentali. Dall’altro
lato, il governo del Kerala ha dichiarato la sua intenzione di metter
su una sua forza stile Salwa Judum, reclutando adivasi per
“operazioni anti-sovversive” nelle foreste del nord del Kerala,
portando così allo scoperto il suo piano di utilizzare gli adivasi
come Guardia Civile e “informatori” assoldati a 500 rupie al
giorno. L’obiettivo dichiarato dal ministro degli Interni sarebbe
“assicurarsi che i maoisti non li strumentalizzino”. In nome
della “politica di comunità”, la polizia e il Ministero per la
Fauna e Foreste hanno presentato un piano congiunto di “comitati di
vigilanza forestale”, o Jagritha Samitis. Questi applicano lo
stesso modello del Salwa Judum che, con la connivenza dei colossi
minerari, ha provocato disastri in Chattisgarh, provocando centinaia
di migliaia di profughi e scatenando il terrore più brutale, con
saccheggi, incendi, massacri, torture e stupri sugli abitanti dei
villaggi adivasi.
Aggiungendo ulteriore impulso alle
misure prese da Chidambaram, Modi oggi si affanna per soddisfare le
lobby delle grandi aziende e questo scopo estende e intensifica la
Operazione Green Hunt. Si può avere il senso della sua fretta se
si pensa che, da quando è in carica, il MoEF ha autorizzato 175
progetti nel tempo record di appena un mese. O che il Consiglio
Nazionale per la Fauna Selvatica, reso più “agile” e “aperto
agli investimenti”, in soli due giorni ha approvato 133 dei 160
progetti in attesa di autorizzazione. Allo stesso tempo, per mettere
in pratica questi drastico cambio di passo, si rafforzano anche gli
squadroni della morte, per schiacciare violentemente la resistenza
del popolo. Ad esempio, nel solo distretto di Bastar sono stati
aggiunti altri 10 battaglioni di CRPF a cui si sommano, solo in
questo distretto, altri circa 30000 paramilitari, facendone una delle
terre più militarizzate del subcontinente. Con l’estendersi a
nuove aree, come i Ghat occidentali, di questo modello di “terrorismo
dello sviluppo” cresce anche la forza la lotta del popolo che si
batte per il suo Jal-Jangal-Jameen. Quelli che tra noi, tra i settori
democratici e progressisti, hanno ancora a cuore la conservazione
della nostra ecologia contro il rapace assalto dell’alleanza
stato-padroni, quelli che tra noi che credono in un forma
partecipativa e sostenibile di sviluppo dalla parte del popolo,
devono unirsi. Dobbiamo stare dalle parte delle lotte del popolo ed
esigere che si metta fine alla guerra al popolo chiamata Operazione
Green Hunt che da cinque anni devasta questo paese.
“A quanto pare, siamo
oggi più inglesi degli inglesi quando affermiamo che un
approccio amico della natura del mondo della cultura
è il solo rimedio per impedire che i ricchi
e potenti di questo paese e
del mondo globalizzato si
approprino di tutte le terre e le acque
per sfruttarle e inquinarle
a loro piacimento nella corsa a una crescita economica
che non rispetta legge né dà lavoro!” – dalla
lettera aperta di Madhav Gadgil’s a K. Kasturirangan.
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