mercoledì 9 marzo 2011

pc quotidiano 9 marzo - Salento !..un operaio denuncia 'Trentaquattro anni in fabbrica senza mai vedere una mascherina»

Trentaquattro anni in fabbrica senza mai vedere una mascherina»

CORSANO - «Ho lavorato 34 anni in quell’azienda senza mai vedere uno straccio di mascherina, poi sono arrivate le ridicole cassette “controlla-polvere”». Luigi Riso, oggi quasi 82enne, è stato uno degli storici operai che hanno lavorato nella Eternit di Niederurnen. Si trovava in Svizzera già dal 1955 come lavorante in una cava e due anni dopo, convinto dal suo compaesano Biagio Marzo, entrò in fabbrica dove rimase ininterrottamente fino al 1991. Luigi ha respirato sempre e solo amianto, alternandosi nei tre turni giornalieri.

«Le visite mediche nella Eternit?», spiega l’anziano, «un miraggio, come lo erano tutte le misure di prevenzione. Il contratto di lavoro era regolare, ma quello che c’era scritto non era mai rispettato sino in fondo dal punto di vista sanitario. Negli anni ’50 gli operai venivano sottoposti a visite mediche a campione solo ogni cinque o sei anni. Solo nell’ultimo periodo, alla fine degli Anni ’80, il lasso di tempo si è ridotto a tre o quattro anni. Su un controllo però erano costanti», ironizza Riso, «quello dell’udito, anche se i macchinari non erano eccessivamente rumorosi. Ci facevano un controllo otorino quasi annuale. Negli ultimi due anni in cui ho lavorato hanno piazzato su alcuni miei colleghi una specie di cassetta dietro le spalle, per conoscere la quantità di polvere che si accumulava durante il giorno».

Le morti tra colleghi avvenivano con frequenza, ma nessuno all’epoca si preoccupava di approfondirne le cause. «Certo che morivano», conferma Riso, «ogni tanto tra i colleghi del turno si diffondeva la notizia che qualcuno stava male o che era morto. Ma tutti credevamo fosse il ciclo naturale della vita. All’epoca pensare che la materia che si stava lavorando era la causa delle morti per tumore era inimmaginabile». Riso si sottopone periodicamente ai controlli gratuiti della Asl di Lecce, che sta effettuando lo screening tra gli ex lavoratori. L’ultima visita pneumologia del 22 febbraio scorso ha rivelato un ispessimento delle pleure parietali bilateralmente. «Vivo quotidianamente con l’incubo che possa insorgere la malattia», confida Riso, «ho visto troppi familiari che hanno lavorato con me distrutti dal mesotelioma pleurico. Mi resta il ricordo di un forte spirito di gruppo tra colleghi».

La stessa grave preoccupazione che assilla la moglie di Luigi, Cosima Branca, di 77 anni. Lei non ha mai lavorato nella Eternit ma ha vissuto in Svizzera con il marito e in una casa piena di operai, vedendo morire uno dopo l’altro tre fratelli colpiti dal male dell’amianto. «In quella casa rincasavano ogni giorno dieci operai, tra fratelli e cognati», ricorda l’anziana, «io mi occupavo di lavare i loro vestiti e non dimentico che bisognava spazzolare con forza, prima a secco e poi in acqua calda, le incrostazioni di cemento. Dal 1974 un dirigente decise che le tute andavano lavate all’interno della fabbrica e a pensarci oggi forse cominciavano a sorgere i primi dubbi anche tra i vertici. Non ho lavorato in azienda», aggiunge, «ma ho respirato le stesse polveri per anni e così anche i miei figli».

La figlia di Luigi e Cosima, Rossana che oggi ha 49 anni, all’età di due ebbe una dermatite acuta che nessuno seppe spiegare. «Giocavo tra i vestiti e la polvere», conferma la signora, «e ho sempre vissuto con il dubbio che a provocarmi quella malattia fosse stato l’amianto. Abbiamo tutti paura», conclude insieme ai genitori, «troppe persone sono morte e molte altre moriranno forse senza avere giustizia».



CORSANO - «Ho lavorato 34 anni in quell’azienda senza mai vedere uno straccio di mascherina, poi sono arrivate le ridicole cassette “controlla-polvere”». Luigi Riso, oggi quasi 82enne, è stato uno degli storici operai che hanno lavorato nella Eternit di Niederurnen. Si trovava in Svizzera già dal 1955 come lavorante in una cava e due anni dopo, convinto dal suo compaesano Biagio Marzo, entrò in fabbrica dove rimase ininterrottamente fino al 1991. Luigi ha respirato sempre e solo amianto, alternandosi nei tre turni giornalieri.

«Le visite mediche nella Eternit?», spiega l’anziano, «un miraggio, come lo erano tutte le misure di prevenzione. Il contratto di lavoro era regolare, ma quello che c’era scritto non era mai rispettato sino in fondo dal punto di vista sanitario. Negli anni ’50 gli operai venivano sottoposti a visite mediche a campione solo ogni cinque o sei anni. Solo nell’ultimo periodo, alla fine degli Anni ’80, il lasso di tempo si è ridotto a tre o quattro anni. Su un controllo però erano costanti», ironizza Riso, «quello dell’udito, anche se i macchinari non erano eccessivamente rumorosi. Ci facevano un controllo otorino quasi annuale. Negli ultimi due anni in cui ho lavorato hanno piazzato su alcuni miei colleghi una specie di cassetta dietro le spalle, per conoscere la quantità di polvere che si accumulava durante il giorno».

Le morti tra colleghi avvenivano con frequenza, ma nessuno all’epoca si preoccupava di approfondirne le cause. «Certo che morivano», conferma Riso, «ogni tanto tra i colleghi del turno si diffondeva la notizia che qualcuno stava male o che era morto. Ma tutti credevamo fosse il ciclo naturale della vita. All’epoca pensare che la materia che si stava lavorando era la causa delle morti per tumore era inimmaginabile». Riso si sottopone periodicamente ai controlli gratuiti della Asl di Lecce, che sta effettuando lo screening tra gli ex lavoratori. L’ultima visita pneumologia del 22 febbraio scorso ha rivelato un ispessimento delle pleure parietali bilateralmente. «Vivo quotidianamente con l’incubo che possa insorgere la malattia», confida Riso, «ho visto troppi familiari che hanno lavorato con me distrutti dal mesotelioma pleurico. Mi resta il ricordo di un forte spirito di gruppo tra colleghi».

La stessa grave preoccupazione che assilla la moglie di Luigi, Cosima Branca, di 77 anni. Lei non ha mai lavorato nella Eternit ma ha vissuto in Svizzera con il marito e in una casa piena di operai, vedendo morire uno dopo l’altro tre fratelli colpiti dal male dell’amianto. «In quella casa rincasavano ogni giorno dieci operai, tra fratelli e cognati», ricorda l’anziana, «io mi occupavo di lavare i loro vestiti e non dimentico che bisognava spazzolare con forza, prima a secco e poi in acqua calda, le incrostazioni di cemento. Dal 1974 un dirigente decise che le tute andavano lavate all’interno della fabbrica e a pensarci oggi forse cominciavano a sorgere i primi dubbi anche tra i vertici. Non ho lavorato in azienda», aggiunge, «ma ho respirato le stesse polveri per anni e così anche i miei figli».

La figlia di Luigi e Cosima, Rossana che oggi ha 49 anni, all’età di due ebbe una dermatite acuta che nessuno seppe spiegare. «Giocavo tra i vestiti e la polvere», conferma la signora, «e ho sempre vissuto con il dubbio che a provocarmi quella malattia fosse stato l’amianto. Abbiamo tutti paura», conclude insieme ai genitori, «troppe persone sono morte e molte altre moriranno forse senza avere giustizia».

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