La rabbia di una vedova: «Sapevano e tacevano»
CORSANO - Nella Eternit di Niederurnen il lavoro non era affidato solo agli uomini. C’era anche una consistente schiera femminile, e in questa c’era un gruppo di donne salentine. Giuseppa Florio è una di quelle, oggi ha 74 anni ed è vedova di un altro operaio Eternit, Marino Riso, entrato in azienda nel 1956 e morto d’infarto nel 1993 a soli 61 anni con pleurite cronica conclamata. È vicina di casa dei coniugi Riso e anche lei si è sottoposta al controllo pneumologico della Asl eseguito nel presidio ospedaliero «Daniele-Romasi» di Gagliano del Capo dal dottor Walter Castellano.
«Ho lavorato in quella fabbrica dal 1958 al 1962», racconta Giuseppa Florio, «ero addetta allo stampaggio delle forme. Dal mio reparto uscivano vasi e tubi di piccole dimensioni e grazie alla collaborazione dei colleghi maschi a noi veniva affidato il lavoro sui pesi minori». Non è stato facile per lei lavorare in un ambiente senza diritti e quasi senza regole, con tante punizioni che si ripercuotevano anche sullo stipendio. «La nostra più grande paura nella fabbrica erano le visite degli ispettori addetti al controllo del materiale», spiega l’ex operaia, «se i manufatti erano difettosi venivano segnati e la punizione era la trasformazione del contratto da cottimo a giornata. In questo modo non venivano tenuti in considerazione gli sforzi di produzione e l’azienda pagava di meno».
Lei, come tutti gli ex lavoratori dell’amianto in Svizzera, è informatissima sulle vicende processuali torinesi e aspetta l’apertura di uno spiraglio per costituirsi parte civile in un altro filone penale. «Negli anni in cui io e mio marito abbiamo lavorato nella fabbrica di Niederurnen », racconta, «non abbiamo mai visto il barone De Marchienne, titolare della multinazionale. Una volta l’anno passavano per u n’ispezione i vertici degli stabilimenti svizzeri. Chissà», dice Giuseppa ormai senza più sorriso sulle labbra, «se qualcuno pagherà per aver tenuto nascosto tutto questo ai lavoratori». [m.c.]
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