Chiude il Coordinamento dei Collettivi Comunisti
Dopo poco più di un anno e mezzo di attività il Coordinamento del Collettivi Comunisti chiude i battenti.
I fatti che ci hanno portato a dover dichiarare chiusa l’esperienza, apparentemente hanno ben poco di politico: una serie di contrasti di natura personale tra pochi compagni sono state trasformate dagli stessi in divisioni politiche, in divergenze ritenute dagli stessi autori incompatibili con il proseguimento del lavoro politico comune.
Nonostante i diversi tentativi fatti da una parte dei compagni dirigenti, non siamo riusciti a dirimere lo scontro e a riportare i compagni coinvolti sulla via dell’unità. Oggi quindi i collettivi dichiarano di proseguire il loro lavoro separatamente, a livello locale, non più coordinati tra loro.
Con la fondazione del Coordinamento avevamo creduto possibile raccogliere e mettere in moto alcune forze che erano state espulse o che si erano dimesse dai CARC a seguito della cosiddetta “terza lotta ideologica” e altre che lungo il percorso avevamo raccolto: in tutto poco meno di una trentina di compagni. Certo una piccola goccia nel mare, ma comunque un punto di partenza.
L’intento rientrava tra i vari simili che diverse componenti del movimento comunista e singoli compagni da anni cercano di mettere in campo per la rinascita dello stesso movimento comunista, per dare alla classe operaia quella guida ideologica e organizzativa che ancora non ha ricostruito.
Con la costituzione del Coordinamento volevamo inoltre contrastare la sfiducia, l’avvilimento, la disaffezione dall’attività politica di quei compagni che erano rimasti delusi dal percorso intrapreso in precedenza, ma soprattutto dalle sue conclusioni.
Il nostro errore, nel tentativo di non lasciar disperdere le forze che i CARC avevano espulso, è stato quello di esserci dedicati immediatamente alle soluzioni organizzative trascurando di approfondire ulteriormente il bilancio dell’esperienza appena trascorsa: abbiamo dato per scontato che le nostre forze e le nostre capacità, provenendo dal una lunga militanza, fossero sufficienti a mettere in piedi in breve tempo un’organizzazione che avesse maggiore tenuta e maggiore unità al suo interno.
I tempi erano stretti e le condizioni difficili anche per la necessità di sistemare i cambiamenti di vita intercorsi. Ma sappiamo bene (e avremmo dovuto tenerlo più in conto) che la costruzione di un’organizzazione comunista relativamente stabile non si improvvisa e richiede grandi sforzi e un lungo periodo di lavoro, soprattutto richiede una formazione capillare su un buon numero di compagni; formazione che non siamo riusciti ad avviare, sebbene avessimo in campo un progetto a tal proposito.
Oggi i collettivi fanno un passo indietro e anzi possono contribuire, nostro malgrado, ad alimentare ulteriormente lo scoraggiamento già molto diffuso tra gli operai e le masse popolari in merito alla frammentazione dei comunisti.
Sicuramente la chiusura del coordinamento è quindi per noi una sconfitta.
Dall’esperienza vissuta eravamo arrivati a concludere che al centro della rinascita del movimento comunista deve essere posto con forza il problema dell’unità dei comunisti, o per meglio dire, l’importanza dell’unità del partito non come semplice affermazione di principio ma scoprendo il percorso pratico e reale che conduca a ciò.
Noi riteniamo ancora oggi che l’obiettivo del Coordinamento era giusto e necessario. In questa prospettiva rimane infatti per noi interessante il lavoro avviato con Proletari Comunisti, organizzazione che nel confronto con noi ha sempre posto la necessità dell’unità al primo posto anche rispetto (e pur nel rispetto) delle divergenze comunque esistenti. Questa è una delle ragioni che porta noi compagni del Collettivo Modenese a considerare ancora valido il progetto comune avviato con Proletari Comunisti, pur nella ridimensionata e diversa situazione organizzativa.
Che cosa farà in futuro ogni collettivo dell’ex Coordinamento è cosa che dipende dallo sviluppo delle contraddizioni che oggi stiamo affrontando. Noi siamo convinti che se i comunisti in generale sapranno superare lo scoglio della loro divisione, ci troveremo a lavorare fianco a fianco anche con i “vecchi” compagni da cui ieri e oggi ci siamo separati.
Il movimento comunista è sempre anche il riflesso delle condizioni della classe operaia, perché in buona sostanza esso esiste come espressione della spinta della classe operaia ad emanciparsi dallo sfruttamento capitalista, dalla schiavitù del lavoro salariato. Le divisioni del movimento comunista sono il riflesso delle divisioni della stessa classe operaia e lo sviluppo della crisi del sistema capitalista, anche nei paesi imperialisti, trasforma velocemente questa classe in un’unica grande massa sempre più uniforme di sfruttati: il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro rende ogni individuo e ogni gruppo sempre meno diverso dagli altri. Queste sono le basi oggettive su cui il movimento comunista può ritrovare la sua unità perduta.
Soggettivamente la spinta a ritrovare questa unità esiste ma è ancora debole. L’esperienza passata del movimento comunista è ricca di insegnamenti illuminanti a proposito della capacità dei comunisti di risolvere le contraddizioni in seno al popolo vincendo le lotte interne con un’unità a livello superiore. Impareranno da questi insegnamenti tutti quei compagni e quelle organizzazioni che sapranno vedere il loro ruolo oltre il meschino spirito di sopravvivenza e autocelebrazione che oggi ancora esprimono.
Questa unità a livello superiore, raggiunta attraverso la verifica delle idee nella pratica della lotta di classe, è l’obiettivo generale che ci ha spinto a mettere il piedi il progetto del Coordinamento dei Collettivi Comunisti più di un anno fa. Lo stesso obiettivo continuiamo a perseguire oggi, convinti che esso è quanto migliaia di compagni del nostro paese auspicano di raggiungere.
Enrico e Lia
membri del disciolto Comitato di Gestione Provvisoria
del Coordinamento dei Collettivi Comunisti
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