sabato 2 ottobre 2021

Analisi politica - Ancora sul "PARTITO UNICO DEI PADRONI" - Rispondiamo con lo sciopero generale e il fronte unico di classe


 Una analisi appropriata di Marco Revelli
Ne pubblichiamo stralci - dall'articolo apparso il 29/9 su Il Manifesto 

"...il 23 settembre, al Palazzetto dello sport di Roma, è nato il «partito unico dei padroni» intorno al suo leader massimo e indiscutibile, l’ex banchiere di Stato Mario Draghi. E nello stesso momento, con la proclamazione del medesimo a suo capo carismatico e titolare naturale di un Esecutivo sintetizzato nella sua persona, è stata preannunciata la nuova forma di governo definibile come «Premierato Assoluto» (nulla di più lontano dal dettato costituzionale).

L’evento è stato accolto dal coro bulgaro dei media – tutti quelli mainstream, TG di stato in testa -, ormai senza pudore nell’ostentare un culto della personalità degno di altri tempi. E accanto a loro la politica, anche qui senza quasi eccezioni, a invocare lunga vita al premierato dorato, se fosse possibile vita eterna, come nelle monarchie…

Se valessero ancora le «regole auree» fissate dalla politologia novecentesca – mica quella

marxista o socialdemocratica, ma la politologia liberaldemocratica, di orientamento comportamentista, egemone nell’area anglosassone – si dovrebbe dire che siamo fuori dal quadro democratico.

In quel paradigma, infatti, la cifra di una democrazia sana, o comunque accettabile, stava nella netta separazione (in una effettiva «divisione del lavoro», si diceva) tra i sottosistemi fondamentali: quello Politico, quello Economico e quello Culturale (ovvero Parlamento e Governo, Imprese e Banche, Informazione e Media)...

Il 23 settembre abbiamo avuto l’immagine plastica di questo cortocircuito malsano, che stava nell’aria, si percepiva da tempo, ma che mai era stato così materialmente visibile ed evidente, nemmeno nel ciclo berlusconiano.

Non stupiscono in questo i 1200 imprenditori che facevano la Ola nel parterre del Palazzetto dello Sport (anche il genius loci qui conta): erano lì a incassare le cedole del loro investimento, fatto già nel 2018, immediatamente dopo i risultati delle elezioni politiche in teoria più destabilizzanti del secolo (nuovo), quando appunto la bandiera di Mario Draghi fu alzata contro l’esito delle urne.

Il rito ricordava i Te Deum cantati nelle cattedrali di mezza Europa dopo il congresso di Vienna, con i vecchi sovrani e le loro aristocrazie di corte a celebrare l’avvenuta Restaurazione. E nemmeno (anche se avremmo dovuto esserci preparati) il ruere in servitium quasi unanime del coro mediatico: si tratta appunto di organi di stampa quasi tutti proprietà di gruppi industriali e finanziari.

Forse colpisce un po’ di più la velocità con cui i partiti, nella stragrande maggioranza, si sono affrettati a consumare la propria (terminale) cessione di sovranità, e a certificare così la propria crisi strutturale. Perché è fin troppo evidente – anche un bambino lo capirebbe – che all’ombra di questo Premierato Assoluto, con un Capo onnidecidente e il resto che, come l’intendenza napoleonica, deve seguire, tutto ciò che sta al piano terra della cuspide del potere, in primo luogo il “sistema dei partiti”, avvizzisce e marcisce.

Il fenomeno è evidente nelle traversie dei 5 Stelle, movimento sempre più evidentemente privo di radicamento territoriale. O nelle recenti convulsioni della Lega, dilaniata dalla sua Bestia. Ma se ne può cogliere un segno, di questo avvizzimento, anche nella prima esternazione del Segretario del PD dopo l’assemblea confindustriale romana, quando ha detto che il suo vuol essere il partito degli imprenditori e dei lavoratori (proprio così, letteralmente: «il partito dell’Impresa e del Lavoro»)... base del corporativismo d’infausta memoria... che getta una luce inquietante sull’altro nodo gordiano emerso da quell’Assemblea. La questione del Patto Sociale...

E infatti è stato il secondo coniglio tirato fuori dal cilindro da Draghi, sia per tracciare un percorso oltre l’emergenza sanitaria, sia anche, forse, per attenuare l’immagine di un suo eccessivo schiacciamento sulla parte confindustriale...

quello a cui si mira è un «patto leonino» in cui un movimento sindacale timido verrebbe chiamato a far da palo a una «politica dei redditi» punitiva per il lavoro..."

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