sabato 19 settembre 2020

pc 19 settembre - Al referendum il NO del Fronte della Gioventù Comunista

Il 20 e il 21 settembre si terranno le votazioni per il referendum confermativo per la riforma costituzionale che prevede il taglio del numero dei parlamentari. Il Fronte della Gioventù Comunista invita tutti i giovani proletari, i lavoratori, gli studenti, i propri simpatizzanti a votare NO.

Per i reali obiettivi che la animano, questa riforma si pone in totale continuità con quella promossa dal governo Renzi nel 2016, che allora fu bocciata da un referendum. Entrambe sono figlie di una tendenza osservabile in tutti i paesi d’Europa, in base a cui si sostiene la necessità di riformare le istituzioni democratiche borghesi e le forme della rappresentanza politica in base all’obiettivo della cosiddetta “governabilità”, cioè della maggior facilità per i grandi monopoli di esprimere i propri interessi

riducendo al minimo la dialettica tra le forze politiche ed eventuali ostacoli ai processi decisionali. Al netto del peculiare sviluppo del Movimento Cinque Stelle e della sua retorica politica “anti-casta”, che oggi accompagna il tentativo dei grillini di recuperare il consenso elettorale con questa riforma, il dato fondamentale resta questo.

In un contesto di forte accelerazione delle contraddizioni inter-imperialistiche, anche a fronte di una debolezza oggettiva del movimento operaio a livello internazionale, i vari settori del grande capitale monopolistico necessitano di governi che possano sostenere i loro interessi con la maggiore efficacia e tempestività possibile. Abbiamo visto quale livello di pressione politica possano generare queste esigenze dei padroni sui governi, specialmente nel quadro della crisi accelerata dalla pandemia. Il governo PD-M5S-LEU ha dovuto conquistare giorno per giorno la conferma della propria esistenza, garantendo continuamente le misure e gli interventi in sostegno ai grandi monopoli italiani, a livello nazionale ed internazionale, operando sotto la costante “minaccia” di essere rimpiazzati con un governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi. Nei momenti di crisi lo spazio per la dialettica tra le forze politiche borghesi si riduce, per fare largo a risposte rapide e consistenti sul terreno concreto del sostegno ai capitalisti. Quello che conta per i padroni è portare a casa i risultati.

Per anni, in Italia, l’obiettivo di massimizzare la “governabilità” è stato inseguito negli anni soprattutto attraverso le innumerevoli riforme del meccanismo elettorale. Dal 1993 ad oggi l’Italia ha cambiato 4 volte la propria legge elettorale, e già oggi si discute di una nuova legge. Tutte le leggi elettorali hanno tentato, senza mai riuscirci, di ridurre al minimo il numero dei partiti presenti nel Parlamento e promuovere un sostanziale bipolarismo, attraverso formule maggioritarie o l’inserimento di forti premi di maggioranza e soglie di sbarramento. Questo obiettivo non è mai stato raggiunto, anche perché quelle stesse leggi elettorali venivano approvate grazie al voto di partiti minori che ottenevano in cambio delle formule adatte a garantire la loro “sopravvivenza”, intesa come capacità di ottenere seggi e non come presenza reale nel paese. Anche per questo oggi si opta per il taglio del numero dei parlamentari, che non solo non è un colpo assestato alla “casta” e non porterà un risparmio rilevante per i conti pubblici, ma al contrario è una misura che, alzando la soglia di sbarramento reale per accedere alla distribuzione dei seggi, renderà di fatto molto più difficile l’ingresso in Parlamento.

Questo è il significato della “governabilità” su cui modellare gli assetti istituzionali: limitare i ritardi e le contraddizioni che si generano sul piano prettamente politico-istituzionale con la presenza in parlamento di piccoli partiti, anche se borghesi, che per spirito di autoconservazione possono influenzare fin troppo le dinamiche di governo, o almeno, quel tanto che i grandi monopoli in competizione non possono permettersi in tempo di crisi.

In questo contesto, in condizioni di rapporti di forza ben più arretrati per la classe operaia rispetto a quelli in campo al momento della ratifica della Costituzione, ogni riforma costituzionale promossa dalla stragrande maggioranza dei partiti borghesi non può che avere un carattere reazionario e vedere pragmaticamente la nostra opposizione.

Il nostro non è un NO motivato da illusioni. Nel contesto della crisi sanitaria e nelle misure di questi mesi è emersa con forza la reale natura dello Stato e della democrazia borghesi, espressione e strumento del dominio politico di classe dei capitalisti. È nostra convinzione che i comunisti non debbano compiere l’errore di trasformarsi in difensori dello stato di cose presente. In un contesto che vede fasce sempre più ampie dei lavoratori che dimostrano una sfiducia, seppur passiva, nella politica borghese attraverso un’astensione elettorale in costante crescita, ergere noi stessi a strenui difensori della “democrazia” e delle istituzioni in quanto tali sarebbe un errore.

Il nostro è un NO per non arretrare, dettato umilmente dallo stato in cui versa il movimento comunista in Italia. Ma deve essere altrettanto chiaro che il NO non ci farà avanzare, e che se viene presentato in quel modo diventerà solo l’ennesimo veicolo per diffondere illusioni e categorie opportuniste nei settori di classe più politicamente sensibili al richiamo ideologico di appartenenza al campo della sinistra.

Deve essere ugualmente chiaro che è un NO che non ha niente a che fare con illusioni elettoralistiche, né con l’illusione che la ricostruzione comunista in Italia possa passare per l’ingresso in Parlamento come momento centrale. Sia chiaro, riteniamo e continueremo a ritenere che la lotta sul piano parlamentare e i passaggi elettorali sono strumenti che devono essere impiegati dai comunisti, e ovviamente condizioni di accesso più favorevoli possono essere un elemento positivo. Ma siamo altrettanto consapevoli che nel contesto attuale, in cui anche nell’area comunista è predominante la concezione opportunista che vede la partecipazione elettorale come unico terreno di presenza “reale” di piccole forze residuali incapaci di giocare un ruolo più completo nel piano reale della lotta di classe, l’illusione che possa esistere la “scorciatoia” di un più facile accesso al Parlamento come tappa fondamentale della costruzione del Partito va combattuta innanzitutto a livello ideologico. La ricostruzione comunista in Italia passa soprattutto da questa consapevolezza, della necessità di far avanzare il ruolo dei comunisti nella realtà effettiva della lotta di classe.

Nessun commento:

Posta un commento