Omicidio Willy, «il dramma di mio cugino e l’intolleranza crescente nell’Italia che ci ha accolti»
Il delitto di Colleferro. Il dolore della cugina Maria de Lourdes Jesus, giornalista e volto di «Nonsolonero»
Inoltre la nostra
presenza passava quasi inosservata perché l’uscita pubblica
delle «colf» era relegata al giovedì pomeriggio e alla
domenica, e si rimaneva molto tra di noi. Ma anche perché
l’Italia era molto indaffarata a portare avanti grandi
battaglie per i diritti sindacali e per i diritti civili,
come il divorzio e l’interruzione della gravidanza. Anche la
nostra comunità era impegnata sul suo campo di battaglia,
ma essenzialmente per sconfiggere la povertà da cui
venivamo, salvare la propria famiglia garantendo un
futuro ai figli rimasti nel nostro amatissimo paese di
origine, l’arcipelago di Capo Verde.
È proprio da una di
queste isole dell’arcipelago, São Nicolau, che arrivava la
maggior parte delle donne capoverdiane. Un flusso ideato e
gestito all’inizio da padre Gesualdo Fiorini, un cappuccino
di Fiuggi, che cominciò ad inviare le prime ragazze di sua
fiducia, (quelle che erano nel coro della chiesa) presso le
famiglie che frequentavano le parrocchie di Roma. Da lì, São
Nicolau, arrivai anch’io, e arrivarono anche Lucia e
Armando, i genitori di Willy, l’amato figlio che pochi
giorni fa è stato massacrato e ucciso a Colleferro.
Lucia è mia cugina, figlia di zio João Duarte. Sia zio João
che la moglie, zia Realeza, erano molto cattolici, nel più
profondo senso della parola. Il rispetto verso gli altri, il
sacrificio, l’onestà, la cura di se stessi: erano questi i
valori che facevano parte dell’educazione che Lucia e suo
marito Armando hanno sempre trasmesso ai figli, Willy e la
sorella Milena. Valori cheavevano
fatto di Willy un giovane educato, impegnato nello sport,
grande lavoratore, con un progetto per il futuro e un forte
senso di responsabilità. Un ragazzo rispettoso delle leggi e
ben integrato, al contrario dei suoi assassini violenti,
disadattati, incivili, malamente integrati nella società.
L’assassinio di Willy ci dà la dimensione di quanto sia
cambiata questa società rispetto ai primi anni 80,
quando noi donne immigrate cominciavamo a percepire che
l’idea del rientro nel paese d’origine si stava sempre di
più allontanando. Fu questa la ragione principale del nostro
cambiamento di prospettiva.Da qui iniziarono i primi passi
verso l’ipotesi di inserimento nella società italiana. Anche
l’opinione pubblica si stava accorgendo di questo
cambiamento ma la reazione, per una parte di questa società,
non era molto positiva. Ci sentivamo però abbastanza
rassicurate grazie alla maggioranza della gente che
all’epoca si schierava dalla parte dei più deboli, noi
immigrati, con il permesso di soggiorno subordinato al
contratto di lavoro.
Era un’Italia molto
diversa da quella di oggi. Un’Italia con una presenza già
significativa di immigrati (la mia generazione). Un’Italia con
una Chiesa che dava il primo grosso sostegno, una forza
sindacale potentissima scesa in campo in difesa dei nostri
diritti, una forza politica di sinistra compattamente
schierata a favore di tutti i lavoratori, una
popolazione antirazzista che all’epoca riusciva ad
esercitare un forte controllo sociale. Tutte le forze
politiche e buona parte dell’opinione pubblica vedevano
nell’integrazione la soluzione dei problemi.
Eppure, quella minoranza
di italiani (ai quali nessuno dava importanza, all’epoca)
che non vedeva di buon occhio la presenza degli immigrati, è
via via cresciuta negli anni, mentre cresceva insieme il rifiuto
drastico verso gli immigrati, accusati senza
vergogna di rubare il lavoro agli italiani. Persone che
vedevano nell’immigrato il capro espiatorio per tutti i loro
problemi.
Fu in questo periodo,
nel novembre 1988, che nacque la trasmissione «Nonsolonero»,
la prima rubrica della RAI (TG2) dedicata all’immigrazione,
ideata e curata da Massimo Ghirelli. Era la prima
trasmissione che apriva una finestra sul mondo
dell’immigrazione, e lo faceva attraverso il volto di una
donna africana, con un nome molto cattolico: Maria de
Lourdes Jesus. Ero io. Ghirelli aveva convinto il direttore,
Alberto La Volpe, del salto di qualità che la rubrica
avrebbe potuto realizzare rompendo con gli schemi
tradizionali e dando spazio ad una trasmissione di grande
successo. E così fu.
Erano gli anni
dell’assassinio di stampo razzista di Jerry Masslo, un
giovane sudafricano rifugiato in Italia: la goccia che farà
traboccare il vaso, accelerando i tempi per la più grande e
imponente manifestazione antirazzista mai realizzata in
Italia, e che porterà poi all’elaborazione della prima legge
sull’immigrazione: la legge Martelli. L’esperienza di
«Nonsolonero» durerà sei anni, fino al 1994, nell’era di
Berlusconi. Essendo una rubrica del TG2, decise il direttore
di turno. Fu la nostra morte mediatica. Tutto il lavoro
svolto in quegli anni per contrastare l’immagine negativa
dell’immigrazione, venne cancellato con un semplice no. Gli immigrati
ritornarono come prima solo nelle pagine di cronaca
scandalistica e di cronaca nera. Senza nessun mezzo
in grado di opporsi alle dilaganti informazioni distorte,
spesso false, sulla società interculturale che si stava
formando in Italia e in tutta Europa. Da allora stiamo
ancora parlando dei diritti di cittadinanza, e per di più
sotto il peso del Decreto Sicurezza.
Oggi mi
chiedo, e la domanda la rivolgo al primo Ministro Conte: Cosa
succederà dopo il funerale di Willy? Dopo che
le luci dei media si saranno spente sul caso? Ci aspettiamo
una pena esemplare affinché un crimine simile non possa mai
più accadere. Ci aspettiamo che il governo investa nelle
politiche dell’integrazione, coinvolgendo nella
programmazione i soggetti interessati e prima di tutti i
figli degli immigrati.
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