Roma, la denuncia del Baobab: «Gli agenti hanno minacciato le attiviste che aiutano i migranti»
30 MAGGIO 2019
«Sono scoppiata a piangere. Ho pianto per un’ora». Giovanna è un’attivista del Baobab Experience, associazione che da anni si occupa di migranti transitanti a Roma. «Fino a quel momento avevo sopportato tutto: i documenti trattenuti per due ore senza ragione, i 12 tra agenti di polizia, personale dell’esercito e vigilanti delle ferrovie che ci circondavano. La pressione, le domande, le provocazioni. Ma quando quell’agente ha cominciato a fare quello che ha fatto, non ce l’ho fatta più».
Da sei mesi il loro team legale, insieme alle associazioni della rete legale migranti in transito, svolge attività di assistenza e orientamento per le decine di migranti presenti nella zona vicino alla stazione Tiburtina nella Capitale. Una presenza tollerata (manca l’autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico per il piccolo banchetto che gli attivisti usano, due volte alla settimana per un paio d’ore, con pettorina d’ordinanza e un furgoncino acquistato regolarmente grazie ai fondi della Regione
Lazio): nelle ultime due settimane, però, «l’atmosfera è cambiata», racconta a Open Giovanna Cavallo.
«Siamo stati presi di mira dal personale di ferrovie, che puntualmente chiama la polizia per vietare qualsiasi attività sotto la pensilina», si legge sul post pubblicato oggi, mercoledì 29 maggio, su Facebook dall’associazione. «Le forze dell’ordine hanno tollerato la nostra presenza fino a ieri, quando sono arrivate in forze, identificando le volontarie e alcuni migranti lì presenti per ricevere assistenza, con la minaccia di multe, denunce e fermi».
La situazione alla stazione Tiburtina
Il fatto è, spiega Giovanna, che «causa maltempo, col banchetto ci appoggiamo da alcuni giorni sotto alle pensiline, proprietà di Ferrovie. Per cui no, non c’è autorizzazione. Ma sono due anni che chiediamo un incontro a FS. Non abbiamo mai ricevuto risposta, nonostante le 70mila firme raccolte con una petizione». Ma «c’erano controlli, ogni tanto venivano gli agenti. Mostravamo loro i documenti, parlavamo e finiva lì», dice l’attivista del team legale. Fino all’escalation di ieri.
Gli agenti, dice ancora Giovanna, «ci hanno circondato, hanno intimidito i ragazzi in fila, che si sono in larga parte allontanati, ci hanno scattato foto e provocato». Per circa due ore «i funzionari hanno trattenuto i nostri documenti e tentato di portare in commissariato uno dei migranti che ci difendeva. Volevano portarsi via il suo telefono, convinti che avesse fatto foto e riprese. Ma anche fosse, in base a quale legge? A quale ordinanza di un giudice?», dice l’attivista.
L’epilogo? «Un nulla di fatto», prosegue il Baobab Experience su Facebook. «Non erano stati commessi né reati né violazioni tali da giustificare quella ingente presenza di polizia, che alla fine ha restituito i documenti andando via». Per tutto quel tempo uno degli agenti, racconta Giovanna, «ha provocato. Era noto alle mie colleghe per comportamenti non esattamente ortodossi in altre occasioni». Durante quelle due ore «ripeteva ‘Non avete capito, qui non è che potete fare come vi pare’. A me si è avvicinato mettendo la mano e mostrando il calcio della pistola».
‘Zecche anarchiche’, avrebbe detto a un’altra attivista. «Andandosene, ha preso il pene mimando un gesto sessuale». E qui che Giovanna scoppia a piangere. «Non so come altro descrivere la scena. Sono stata picchiata una volta in commissariato da due poliziotti e il gesto di quell’agente me lo ha fatto ritornare in mente».
«Si colpiscono le organizzazioni che dal basso proseguono ostinatamente a tutelare e difendere i migranti e rifugiati, in mare e in terra, dalle politiche sovraniste e disumane che hanno contraddistinto anche le ultime elezioni, giocate sui corpi dei migranti morti nel mediterraneo», conclude l’associazione su Facebook. «Ciò nonostante non facciamo un passo indietro e ci prepariamo dunque a continuare a resistere».
Era il 13 novembre scorso quando polizia e ruspe avevano sgomberato il “campo informale” del Baobab vicino alla seconda principale stazione della Capitale. Un presidio umanitario che ospitava in quel momento oltre 150 persone: migranti transitanti, in attesa di permesso, che arrivano e non sanno da dove cominciare. Quelli che un posto, nella Capitale, non ce l’hanno e forse sono destinati a non averlo.
I volontari del Baobab, agli sgomberi, ci sono abituati: quello di novembre è stato il 22esimo per loro. Ma si sono sempre riorganizzati. «Perché le persone non scompaiono», e i migranti, a Tiburtina, anche se il piazzale è stato chiuso e sbarrato, hanno ricominciato a dormire già da quella notte. E continuano a farlo.
120 persone sgomberate, all’epoca, «erano state accolte dai circuiti temporanei di accoglienza di Roma Capitale con l’emergenza freddo, ora terminata», dice Giovanna Cavallo. «Il resto, in parte sono tornati da noi, in parte ne abbiamo perso le tracce». Dal 13 novembre a oggi il Baobab Experience ha accolto 450 persone. Tra i transitanti “fisici”, il 40% eritreo, il 7 % proveniente dal Sudan.
Tra i transitanti giuridici – cioè persone non accolte ma bisognose di sanare la situazione di soggiorno in Italia (rinnovi, prime richieste di asilo, ecc.): il 17% viene dal Mali, l’8 % dal Gambia e poi ci sono altre 21 nazionalità tra 1 e 2% del totale. «Le persone, qui, in media si fermano per una settimana – se si tratta di transitanti fisici». Tra i 30 giorni e i 4 mesi con picchi a 8 mesi per i transitanti giuridici. Del totale, 361 hanno lasciato il presidio. «Delle restanti 90 persone, una cinquantina sono ancora in accoglienza».
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