domenica 26 maggio 2019

pc 26 maggio - Venti di guerra: Trump invia altri 1500 soldati in Medio Oriente e prepara sanzioni contro la Turchia

L’attenzione sulle elezioni europee potrebbe aver distolto l’attenzione dall’aumento delle tensioni militari mondiali di cui Trump è uno degli attori principali.
Nel mondo attualmente ci sono tanti “focolai di guerra” ben accesi e in queste ore la tensione si è alzata ulteriormente per il controllo strategico del Medio Oriente con l’invio di truppe contro l’Iran (accusato di sostenere chi resiste nella guerra dello Yemen contro l’Arabia Saudita finanziata apertamente dagli Usa che si sono rifiutati di cessare la vendita di armi a questo paese fascista) e le minacciate sanzioni contro la Turchia che ha acquistato dalla Russia missili S-400 per 2,5 miliardi di dollari.
L’imperialismo è guerra e l’attuale crisi mondiale non fa che accentuarne tutte le caratteristiche assassine.
Un articolo della Repubblica di ieri riporta la notizia in questo modo.

“Trump manda in Medio Oriente 1.500 soldati
Donald Trump ha autorizzato ieri l’invio in Medio Oriente di droni, batterie di missili Patriot e oltre 1.500 truppe scelte del Pentagono. Dovrebbero arrivare nella base aerea saudita di Prince Sultan. Sempre in Arabia Saudita finiranno sofisticati sistemi d’arma americani, che la Casa Bianca ha deciso di vendere a Riad aggirando un divieto imposto dal Congresso (e irritando i democratici). Lo scopo di
questa escalation militare in chiara funzione anti-iraniana? Sono solo “misure di protezione”, minimizza Trump, che ha annunciato il build up (l’aumento della presenza, ndr) poco prima di partire per Tokyo, dove andrà a salutare il nuovo imperatore, e poi per Seul. La realtà è che le tensioni tra Washington e Teheran sono cresciute a tal punto da fare temere incidenti potenzialmente pericolosi. Trump, dopo essersi ritirato dall’accordo nucleare con l’Iran del 2015, che era stato avallato anche dell’Onu, ha imposto un embargo e nuove sanzioni che danneggiano l’economia iraniana e fomentano il malcontento interno. L’obiettivo? Convincere gli ayatollah ad accettare condizioni meno favorevoli del vecchio accordo firmato ai tempi di Barack Obama. Gli Usa hanno anche già spedito nella regione una portaerei con le sue unità navali e rafforzato la presenza dell’Air Force.
Teheran risponde con parole minacciose. Lo stretto di Ormuz è sempre sotto tiro da parte delle unità navali della guardia rivoluzionaria. E secondo l’intelligence militare americana, l’Iran sarebbe responsabile del recente attacco a quattro petroliere in un porto degli Emirati Arabi Uniti. “Ma non penso che l’Iran voglia andare in guerra, tanto meno contro di noi”, ha osservato ieri Trump, mostrandosi meno guerrafondaio di lunedì, quando aveva addirittura previsto “la fine ufficiale dell’Iran” in caso di scontro armato.

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