EGITTO. Dolore e rabbia tra gli attivisti, mentre i
vertici dello Stato imperialista italiano festeggiano per il ritorno dell’ambasciatore italiano:
«Siamo sempre più convinti dello slogan lanciato nel febbraio 2016: Giulio è
uno di noi»
d
«Il caso è chiuso», ha titolato il quotidiano liberale Al-Wafd parlando
del caso Regeni e del ritorno dell’ambasciatore italiano. È in sostanza il tono
di molta della stampa egiziana in questi giorni. Anche se resta ancora
sconosciuto il contenuto dei documenti inviati a Roma dalla procura egiziana e
le indagini devono accertare tutto o quasi sulla dinamica, il movente e i
responsabili dell’uccisione di Giulio, in Egitto le autorità hanno accolto la
notizia in modo trionfale. «Una grande vittoria diplomatica dell’Egitto»,
esultano molti partiti dell’arco parlamentare (praticamente tutti
pro-Sisi). Secondo il Partito dei Liberi Egiziani, fondato dal magnate
dell’economia Naguib Sawiris, il ritorno dell’ambasciatore avrà una
«ricaduta positiva sulle relazioni Italia-Egitto e per l’immagine dell’Egitto
nel mondo».
Di sicuro l’Egitto incassa un grande successo, in un momento in cui
il suo ruolo internazionale rende sempre più importante la stabilità del regime
in carica. Ma sono molte le voci critiche che si sollevano, soprattutto dai
tanti egiziani che hanno fatto propria la causa di Giulio. È duro il commento
di Mohammad Saad Abdel Hafiz, che sul giornale di opposizione al-Badeel
osserva come alla fine «quando la necessità ha imposto la cooperazione sul
dossier libico, la questione dell’omicidio di Giulio è stata chiusa in un cassetto».
Senza dimenticare il ruolo del gas e degli investimenti italiani nei
giacimenti offshore. È lo stesso quotidiano al-Wafd a citare esplicitamente
il ruolo attivo di Eni nel riavvicinamento. Amara la riflessione di Taher
Mokhtar, attivista dei Socialisti Rivoluzionari, sentito da il manifesto:
«I comuni interessi del regime egiziano e del governo italiano sono più
importanti del sangue di Giulio e dei cinque egiziani uccisi dalla polizia
perché accusati di essere i suoi assassini». Cita la Libia di Haftar e le
rotte migratorie: «Questo è il principale interesse dell’Italia nel sostenere
regimi oppressivi in Nord Africa, quali che siano le conseguenze per
diritti umani e democrazia, e per quanto doloroso questo possa essere per la
famiglia Regeni e per tutte le persone che hanno creduto nella possibilità di
ottenere giustizia». Dolore e rabbia anche nelle parole di Hoda Kamel, del
Centro Egiziano per i Diritti Economici e Sociali, che aveva aiutato Giulio
ad orientarsi nell’ambiente dei sindacati indipendenti al Cairo. «Oggi è un
altro giorno triste. Oggi l’Italia uccide uno dei suoi figli rimandando
indietro l’ambasciatore. Un anno e mezzo di speranza da parte dei suoi
familiari, amici e colleghi e ora sappiamo per certo che solo l’interesse
economico parla e decide, non la verità e la giustizia», ha scritto su
Facebook. E accusa gli Stati europei: «Oggi siamo di nuovo a lutto, non per
Giulio, ma per l’Europa paradiso dei diritti umani, i cui cittadini sono
uccisi e torturati come gli egiziani mentre le grandi imprese vanno avanti con
i loro affari. Oggi più che mai siamo convinti di aver scelto bene lo slogan
che lanciammo il giorno della commemorazione di Giulio al Cairo il 6 febbraio
2016: Giulio è uno di noi, è stato ucciso come noi». C’è chi si
preoccupa delle conseguenze che questo atto avrà anche e soprattutto in Egitto.
«È un’autorizzazione ufficiale dell’Italia a torturare e uccidere gli egiziani,
senza nessuna condanna o punizione», scrive Abu al-Maati al-Sandoubi,
giornalista e sindacalista. «Il governo italiano ha rinunciato al diritto di un
suo figlio, ucciso e torturato al Cairo. Come potrà difendere gli egiziani che
subiscono torture e uccisioni per mano di al-Sisi?». Ma la mossa di Alfano,
preparata e oliata dalla visita del senatore Latorre alcune settimane fa,
«non è una sorpresa», ci dice Ibrahim Heggi, portavoce del Movimento 6
Aprile (tra i protagonisti della rivoluzione del 2011): «Il problema è perché
il popolo italiano resta in silenzio. Perché non parla, non manifesta?».
Il suo è un accorato grido di allarme, un appello a
conservare la nostra umanità: «Per noi in Egitto ormai è diventato normale. Io
ho paura che il popolo italiano cominci ad abituarsi all’idea che un italiano
possa morire così. Cercare la verità, la giustizia per Giulio Regeni è un
messaggio al mondo. Le persone non devono accettare una cosa del genere».
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