(Dal Corriere della Sera) I soldati italiani in 31 punti caldi
"il capo del Pentagono — dice la Pinotti — non ci ha «chiesto di fare di più, poiché già stiamo facendo molto in Iraq e in Libia. L’attivismo e la presenza dell’Italia nei vari teatri sono riconosciuti sia da Washington che dalla Coalizione internazionale...».
Le sue parole trovano conferma nelle cifre importanti dell’impegno dei nostri militari in Italia e all’estero (un ulteriore stanziamento, pari a 997 milioni di euro per l’anno 2017, è stato disposto in favore del fondo missioni internazionali dall’ultima legge di bilancio). L’Italia, con circa 6.400 uomini, è attualmente presente in 31 missioni dislocate in 21 Paesi. Dall’Afghanistan (950 unità) al
Kosovo (550), dal Libano (1090) alla Somalia (115), dall’Iraq (1400) alla Libia (300). Altre 7.200 unità partecipano, invece, all’operazione «Strade sicure» sul nostro territorio, presidiando siti e obiettivi sensibili, dando una mano significativa alle forze di polizia nell’opera di prevenzione anti-terrorismo.
Kosovo (550), dal Libano (1090) alla Somalia (115), dall’Iraq (1400) alla Libia (300). Altre 7.200 unità partecipano, invece, all’operazione «Strade sicure» sul nostro territorio, presidiando siti e obiettivi sensibili, dando una mano significativa alle forze di polizia nell’opera di prevenzione anti-terrorismo.
Siria, no all’intervento (per ora)
In Iraq, dal gennaio 2015, l’Italia partecipa all’operazione «Prima Parthica». Ma adesso, dopo la presa di Mosul e la sconfitta sul campo dell’Isis, «è fondamentale — dice la Pinotti — che quella città abbia una situazione di controllo dal punto di vista della stabilità». Tradotto: serviranno forze addestrate di polizia. Così, il contingente italiano che finora si era dedicato, tra Erbil e Baghdad, a preparare i Peshmerga curdi e le forze di sicurezza irachene, mentre i carabinieri (con 90 unità) erano impegnati solo nell’addestramento delle forze di polizia, potrebbe occuparsi adesso anche di Mosul... Oltretutto, ci sono già 500 militari che compongono la task force «Praesidium» a protezione della grande diga di Mosul, poco lontana dalla città riconquistata.I lavori di messa in sicurezza della diga, svolti dalla ditta italiana Trevi, dovrebbero completarsi alla fine di quest’anno: un motivo in più per concentrarsi, poi, soltanto sull’addestramento della polizia di Mosul...
Dalla Libia al Libano
In Libia, invece, oltre all’addestramento della locale Guardia costiera, prosegue a Misurata l’operazione «Ippocrate», con l’ospedale da campo schierato su richiesta libica: tra sanitari, logistica e protezione, vi sono impegnati circa 300 militari. E poi continua l’assistenza alle forze di sicurezza afghane tra Kabul (50 unità) ed Herat (900).E non è finita: in Kosovo, dove siamo presenti dal 1999, diamo un contributo (550 unità) alla missione Nato «Kfor»; in Libano (1100 unità) alle missioni internazionale «Unifil» e «Mibil»; e abbiamo poi 115 uomini a Mogadiscio, sotto il comando del generale Pietro Addis, per sostenere la missione europea di sicurezza in Somalia; e altri 10 uomini in Mali, 90 a Gibuti, 15 a Hebron; mandiamo ufficiali di collegamento e personale di staff (per 605 unità) nei diversi comandi interforze, ma pure in Lettonia e Bulgaria.
Le navi italiane in Somalia
Meritano, infine, un capitolo a parte le missioni navali. C’è quella antipirateria Ue denominata «Atalanta», nel golfo di Aden, a cui partecipiamo con la nave Espero (e 200 unità). Con cinque unità della Marina (e 700 uomini) presidiamo inoltre il Mediterraneo centrale e le acque vicine alle coste libiche nell’ambito dell’operazione «Mare sicuro». E con 500 uomini, il quartier generale a Roma e la flagship, la nave comando San Giusto, diamo il nostro contributo anche all’operazione «Sophia» (Eunavfor Med), la forza navale europea impegnata nella guerra quotidiana agli scafisti. Ma la vittoria, purtroppo, è lontana.
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