Egitto, i lavoratori pagano pesantemente il prezzo dell’austerity
In Egitto,
pochi giorni fa la procura ha accusato di istigazione allo sciopero quattro
operai della National Cement Company per una protesta durata appena 12 ore. I
lavoratori chiedevano una maggiorazione degli stipendi per far fronte al
rincaro generale dei prezzi, a seguito degli aumenti del costo dei carburanti.
Mohammed al Badawi, presidente della rappresentanza sindacale dello
stabilimento ha reso noto che i quattro operai sono lavoratori precari assunti
da una compagnia danese di lavoro interinale impiegati nel packaging.
“Gli operai chiedevano un aumento degli stipendi dopo
il recente rincaro dei prezzi, ma la società ha preteso che prima di qualsiasi
negoziazione rientrassero al lavoro” ha aggiunto Al Badawi. Di fronte al no dei
lavoratori – entrati in sciopero per 12 ore – la compagnia li ha denunciati.
Amr Mohammed, avvocato dell’ Arab Network for Human Rights, ha fatto sapere che
la procura ha disposto la custodia cautelare di quindici giorni per uno di
loro, Waleed Ragab, in attesta delle indagini. Gli altri tre lavoratori restano
indagati. Inoltre, finora l’avvocato non è riuscito a ottenere tutta la documentazione
dal tribunale riguardante le accuse. La vicenda dei quattro lavoratori della
National Cement segue una catena di vertenze operaie che si sono intensificate
in modo significativo dopo il maggio 2016, in coincidenza con le riforme
economiche che hanno portato ad aumenti generalizzati dei prezzi, mentre gli
stipendi stagnavano. Il 24 maggio 2016 ventisei operai dei cantieri navali di
Alessandria sono finiti sotto processo militare per aver rivendicato un
miglioramento delle condizioni economiche.
Quattordici di loro sono rimasti
detenuti per oltre tre mesi. Anche in questo caso, l’accusa era di istigazione
allo sciopero. Con la stessa imputazione, il 26 settembre scorso, le forze di
sicurezza hanno arrestato sei lavoratori dei trasporti pubblici che chiedevano
il pagamento di bonus arretrati: la loro detenzione è durata circa quattro
mesi. A un mese dalla liberalizzazione del tasso di cambio della Lira egiziana
(in seguito alla quale sono seguiti aumenti di prezzi per tutti i beni
essenziali) le forze di sicurezza hanno arrestato due lavoratori dell’Abyek
Cement a Ein Sokhna e altri due presso la Suez Company. Le loro rivendicazioni
riguardavano in entrambi i casi un aumento salariale. La procura ne ha poi
ordinato il rilascio dopo due giorni. Ed è stata ancora una volta l’accusa di
“istigazione allo sciopero” a portare in tribunale diciannove operai della
IFFCO Oils Company di Suez, agli inizi di febbraio, dopo che il loro presidio
era stato caricato e disperso. La mobilitazione era nata intorno alla richiesta
di ottenere un extra per far fronte al rincaro generale dei prezzi. I giudici
hanno riconosciuto l’innocenza dei lavoratori, ma ciò non ha impedito che la
ditta li licenziasse. Una vicenda simile è avvenuta anche più recentemente,
nell’aprile 2017, quando le forze di sicurezza hanno arrestato diciassette
lavoratori della compagnia di telecomunicazioni Etisalat. Gli arresti sono
arrivati in diversi luoghi e momenti, dopo che alcuni di loro avevano
manifestato davanti alla sede centrale per circa mezz’ora chiedendo un
adeguamento degli stipendi all’inflazione. La procura della National Security
li ha successivamente rilasciati tutti. Neanche un mese dopo, a fine maggio, la
polizia ha arrestato trentadue addetti alla sicurezza del cementificio di
Torah, dopo un presidio di protesta durato circa cinquanta giorni.
Rivendicavano l’applicazione di una sentenza dello scorso anno che stabiliva
l’obbligo per l’azienda di equiparare trattamento economico e assunzioni a
quelle di tutti gli altri lavoratori. Secondo Kamal Abbas, membro del Consiglio
nazionale per i Diritti Umani e coordinatore generale del Centro per i servizi
sindacali e operai, per continuare ad attuare le riforme imposte dal FMI il
regime non può fare a meno di imporre una stretta securitaria a tutti i
lavoratori. E aggiunge Abbas parlando a Masr al Arabiyya: “Gli analisti
continuano a chiedersi cosa faranno i lavoratori di fronte a questi rincari
senza precedenti e alla repressione che colpisce chiunque rivendichi
miglioramenti salariali. Non sembrano esserci svolte all’orizzonte, solo altre
riforme”. Secondo Abbas anche gli aumenti ottenuti recentemente da alcuni
operai e impiegati non saranno affatto sufficienti a far fronte al carovita. E
aggiunge: “in questa situazione possono verificarsi esplosioni incontrollate di
rabbia da parte dei cittadini, anche se nessuno può dire come e quando”.
Soprattutto in mancanza di organizzazioni, sindacati e partiti, si potrebbero
avere tumulti disordinati, che andrebbero incontro alla repressione certa. L’avvio
delle riforme economiche è coinciso con la liberalizzazione del cambio il 3
novembre scorso, attuata in ossequio alla condizioni imposte dal Fondo
Monetario Internazionale per la concessione di un prestito da 12 miliardi di
dollari, da sborsare in tre tranches. L’Egitto ha ottenuto la prima fetta lo
scorso novembre. Poi, due settimane fa il governo ha deciso di alzare il prezzo
dei carburanti, per la seconda volta in meno di un anno (il primo aumento si
era verificato dopo l’oscillazione dei cambi). I prezzi sono saliti
vertiginosamente in questi mesi: la benzina a 92 ottani è passata da 350
centesimi a 5 lire, quella a 80 ottani da 325 cent a 3.65, e un litro di gas da
235 centesimi a 3,65 lire. Il gasolio usato nell’industria alimentare è
aumentato da 1500 a 2000 lire, quello per i cementifici da 2500 a 2700 a
tonnellata, così come per l’industria dei mattoni e altri settori. Secondo le
previsioni del governo queste misure porteranno ad alzare il tasso di
inflazione del 5% circa (con un aumento dei prezzi delle merci del 3,7%)
rispetto a un’inflazione che secondo l’agenzia egiziana per le statistiche ad
aprile ha toccato il 32,9%.
*Traduzione e editing a cura di Focus MiddleEast per
il blog https://therobin16.wordpress.com/
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