Le elezioni si sono fatte.
L'astensionismo è sempre più il primo partito, la composizione di
esso è innanzitutto di operai, disoccupati, precari, poveri e certo
anche tanta gente che povera non è, ma disillusa e disgustata dai
partiti, dalle elezioni, dallo Stato e dal sistema, sì.
Le facce giulive di vecchi e nuovi
sindaci cancellano questo dato e cantano con volti nuovi la vecchia
canzone.
Politicamente è stata una batosta per
Renzi, e si è dimostrato quello che diciamo da sempre: Renzi nel
paese non ha mai vinto una elezione, se non quella lontana di sindaco
di Firenze; è presidente abusivo per congiure di Palazzo, di cordate
politico-finanziarie oscure e per sponsorizzazione dei padroni,
Berlusconi compreso; ha scalato un partito di carrieristi e bande; e
poi è andato veloce come un treno, calpestando parlamenti, giocando
su più tavoli e contando sulla grande complicità, non solo di
padroni, ecc., ma delle grandi organizzazioni sindacali confederali
che tutt'altro che francesi hanno approvato il jobs act e risposto
col silenzio-assenso alla catene di decreti fatti in tutti i campi.
Ma il voto, per quanto minoritario, di
queste elezioni nelle grandi città ha dimostrato che la cricca
renziana non gode affatto del consenso popolare. Anzi, tutti quelli
che hanno perso del suo partito e da lui nominati dichiarano a denti
stretti che li ha fatti perdere Renzi.
Ma se il voto ha sancito questa battuta
d'arresto della 'marcia trionfale' di Renzi e probabilmente
preannuncia un referendum costituzionale che gli andrà male, non è
affatto vero che ha vinto il “cambiamento”.
E' certo che a Torino, a Roma le
candidate del M5S hanno avuto un risultato che contiene una parte di
voto di settori delle masse che vogliono il cambiamento. Ma non è
vero che il M5S è il cambiamento. E' l'alternanza, al massimo. E'
l'autocandidatura ad essere i nuovi 'comitati d'affare' del capitale,
o almeno una forza di pressione dentro lo stesso recinto in cui si
muove Renzi.
L'Appendino e la Raggi sono
“volti nuovi” dello stesso stampo di quelle che circondano Renzi.
Noi pensiamo che non ci vorranno
neanche i famosi “100 giorni” per verificare la natura
antioperaia e antipopolare delle nuove sindache.
A Milano, a Bologna il voto incoraggia
il peggio che in queste città si era andato affermando, la cui
analisi sintetica avevamo fatto già prima delle elezioni.
Nei prossimi giorni, con dati e fatti,
sarà necessario battersi e chiarire la sostanza del falso
cambiamento, anche per smascherare l'ignobile capitolazione di
settori del movimento e dell'estrema sinistra a Torino e a Roma, in
maniera clamorosa, a Milano e a Bologna.
A Napoli la situazione era diversa e
resta diversa nell'attuale congiuntura. Le elezioni sono state uno
scontro reale tra De Magistris e il governo; il regime
renziano-berlusconiano ha fatto quasi scomparire dai mass media le
elezioni di Napoli, proprio per oscurarne lo scontro e il
significato.
De Magistris è stato sostenuto da una
sorta di coalizione sociale informale che lo ha preso in parola e in
qualche maniera ha cercato di “dettarne” le parole. E qui la
sconfitta di Renzi è clamorosa e il suo “partito” sul territorio
è sbaragliato e in preda alle faide convulsive.
Ma ora le elezioni sono finite. Alle
parole di chi ha vinto debbono corrispondere i fatti.
Noi non abbiamo alcuna fiducia che a
quelle parole corrisponderanno i fatti.
Le prime dichiarazioni di De Magistris
vanno in senso contraddittorio. Dice che incontrerà presto Renzi, e
non pensiamo per galateo istituzionale; dice di voler collegarsi ai
sindaci grillini, pur sapendo benissimo che i voti ricevuti erano
contro Renzi, Lettieri e... i grillini;
ma a Napoli la battaglia centrale in
questo momento è demolire le illusione elettorali della composita
coalizione sociale che ha sostenuto DeMagistris. Perchè questo sì,
questo più di ogni altro compromette il presente e il futuro
dell'autonomia di classe e della lotta di classe, della lotta per il
potere proletario in questa città.
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