Il "Carroccio" ha sempre cavalcato il delirio di sicurezza e la xenofobia per acquisire posti di potere e soldi pubblici. L'arricchimento personale, perseguito con ogni mezzo, passione assoluta di tutti i politicanti di regime.
Famiglia capitale lavoro, il trinomio subalterno delle piccole e medie imprese bisognose di protezione
La "Lega" nasce col nome di "Lega lombarda" nel 1984 mediante il deposito presso un notaio dell'atto costitutivo. Per 18 anni fino al 5 aprile scorso essa ha avuto come capo indiscusso Umberto Bossi. Nei suoi primi passi il piccolo gruppo raccoglie consensi a Varese e Gallarate. Bossi predica la triade: famiglia capitale lavoro. E nel 1987 diventa senatore. Due anni dopo egli trasforma la Lega lombarda" in "Lega Nord" col progetto di inglobare la "Liga Veneta". Inventa il mito della Padania", attacca il centralismo, bolla la capitale come "Roma ladrona" e giunge a minacciare la secessione. Tutti questi sbandieramenti federalisti sono per il leader lombardo
mezzi per acquisire potere. Nel 2001, in un momento di ristrettezza finanziaria dell'organizzazione (dovuta alla crisi della banca "Credieuronord"), stringe un patto di ferro con Berlusconi, materiato da forti interessi personali; e, in pratica, si pone a rimorchio di "Forza Italia"; e successivamente, quando quest'ultima si fonde con "Alleanza Nazionale", del Pdl. E vi resta anche dopo l'ictus del marzo 2004 che lo rende succube solo della cerchia familiare (la quale diviene un centro di affari ora noto come "cerchio magico"). Egli rimane fedele al "patto di Arcore", anche negli ultimi anni in cui la "Lega" procede spaiata alle elezioni. Quindi politicamente essa naufraga col Pdl, di cui è stata per un bel pezzo un'appendice.
Vediamo ora le ultime battute di questo squallido tonfo. Invitato a farsi da parte da un vecchio compagno di cordata per mettere al riparo la "Lega" dalle inchieste il 5 aprile, in un"consiglio federale di emergenza", Bossi si dimette da segretario e al suo posto viene costituito fino al congresso un triunvirato formato da Maroni, Calderoli, Dal Lago. Al dimissionario viene però conferita la carica di presidente. In questo "consiglio", che si svolge in via Bellerio, viene nominato nuovo tesoriere, al posto del bruciato Belsito, Stefano Stefani. Da furbacchione, nel dimettersi, Bossi sbofonchia: "Ho sbagliato a fare entrare i miei figli in politica. Se qualcuno ha sbagliato deve pagare. Il cognome non conta. Lascio per proteggere la Lega". La sua uscita di scena, per intanto, è solo per scena. Ritornando infatti l'indomani in via Bellerio egli rispolvera il suo vecchio frasario e afferma "è un complotto di Roma farabutta e ladrona". Difende Maroni dagli attacchi dei fedelissimi dicendo che non è un traditore e che ha solo formato una propria corrente. Invita poi Rosy Mauro a dimettersi da vice-presidente del Senato. Ma queste abili mosse del vecchio leader non frenano la resa dei conti interna. Il 12 aprile, al consiglio federale in cui è convocata la Mauro, la brindisina viene espulsa per volere di Maroni (che pone l'aut aut: o io o lei) non rinunciando alla carica. Nello stesso consiglio viene fissato il Congresso per il 30 giugno. Renzo Bossi viene indotto a lasciare il Consiglio Regionale Lombardo. Giorgetti, segretario lombardo già sfiduciato dalla segreteria, viene messo sotto controllo dai "maroniani"; ed in parte lo stesso Calderoli. La"notte dei lunghi coltelli" è ora in pieno svolgimento. L'ultima mossa di Bossi per limitare i danni è quella di santificare Maroni come "il bene della Lega". Da questi primi effetti dello squallido tonfo si vede quindi che la "Lega" non c'è più; e che i capi e capetti che invocano pulizia sono immersi fino alle midolla nella politica affare.
Il crollo del "Carroccio" un aspetto della dissoluzione del sistema politico della Seconda Repubblica
La Lega è sorta e si è impiantata nel periodo di disgregazione e collasso (anni 1987-1992) del sistema politico post-bellico retto da Dc Psi Pci e satelliti. Essa si fisionomizza e progredisce, durante gli anni successivi di finanziarizzazione intensiva dell'economia e della crisi dell' "unità nazionale" che ne deriva, come movimento a base localistica e secessionista. Ed esprime le esigenze della media e piccola borghesia valligiana della fascia pedemontana trascinata in basso dalla trasformazione parassitaria del sistema. È un movimento "trasformista" sin dall'origine in quanto deve adattarsi e accordarsi con le forze predominanti del sistema politico. Questo carattere costitutivo appare in tutta la sua ampiezza appena il movimento si afferma nella metropoli lombarda. Nelle elezioni amministrative del 6 giugno 1993 la Lega ottiene il 40,86% dei voti e può piazzare il proprio candidato (Formentini) a Sindaco della città. Il neosindaco forma una squadra composta da esponenti dell'alta finanza (Vitale), delle banche (Bedoni), dei ceti medi parassitari (architetti e avvocati). Ed essa mette da parte la bardatura protestataria e populista; abbandona gli slogan anti-fisco per sostenere l'esigenza di nuove entrate fiscali come l'ICI; affianca ai vituperati Bot statali i nuovi BOC (Buoni Ordinari del Comune) per finanziare, con commesse comunali, i grandi gruppi imprenditorial-finanziari e completare i piani precedenti di privatizzazione e speculazione urbanistiche. Per converso il movimento mantiene sempre la sua faccia becera anti-proletaria e il suo tono bigotto: meno salari e pensioni, più tagli al personale, chiusura dei centri sociali. Questo carattere "trasformista" si è poi consolidato con la trasformazione del movimento in una organizzazione partitica con tesserati, sezioni e un apparato dirigente radicato in piccoli e medi centri. E questo consolidamento ha consentito alla Lega di compiere gli svolazzi più acrobatici; di combinare cioè, in nome della"Padania libera", il razzismo di Gentilini il neofascismo di Tosi il liberismo di "Forza Italia" la protezione di Roma. E, soprattutto, di selezionare un gruppo dirigente (Bossi, Calderoli, Mauro, Maroni, Castelli, Speroni, Stiffoni e compagnia) che ha resistito fino al 2011 a tutte le beghe interne.
Ciò detto a premessa dell'esame sulla dissoluzione politica va subito osservato per chiarezza che, se il "trasformismo subalterno" ha favorito l'ascesa della Lega, non è questo il fattore del suo disfacimento. La causa del disfacimento della Lega risiede nel più vasto processo di dissoluzione del sistema politico. Questo processo ha ragioni economico-soaciali. E risale al 2003-2004, quando esplode la crisi politica del "berlusconismo". Crisi che si è trascinata fino al 2011. La Lega, come turacciolaia del berlusconismo, ha vissuto in pieno questa crisi. E da diversi anni è dentro il processo di decomposizione dell'intero sistema politico. Lega Pdl Pd Udc e appendici non hanno più frottole da poter propalare nell'Italia di oggi, spaccata tra Nord e Sud profondamente divaricata tra un pugno di superricchi e una massa di impoveriti senza lavoro e assistenza e sull'orlo del default, che essi hanno contribuito a cannibalizzare e in cui si sono arricchiti. Quindi cade la Lega e cadono tutti.
Non è vero che, cadendo la Lega, resta scoperto un fronte, la cosiddetta "questione settentrionale", di cui essa sarebbe stata interprete. Non è mai esistita dal 1860 e non esiste una"questione settentrionale". Al contrario le esigenze dello sviluppo settentrionale sono state sempre soddisfatte per prime e giustificate per legittimare il drenaggio di risorse dal meridione al settentrione. La perdita di competitività delle aziende del nord non ha nulla da spartire col preteso "statalismo" e "centralismo burocratico"; è il problema della decadenza del capitalismo italiano che scarica le peggiori conseguenze economiche e sociali proprio sul mezzogiorno. Quindi l'affondamento della Lega dissipa semmai un equivoco, una frottola.
Veniamo al terzo e ultimo aspetto.
Il livello di corruzione e di interpenetrazione affaristica
Avvertiamo subito che a noi qui non interessa valutare il peso della corruzione fisiologica che intossica le istituzioni in generale e permea l'intero sistema politico; né l'uso distorto dei finanziamenti pubblici, che lascia il tempo che trova; bensì mettere a nudo il livello raggiunto dalla corruzione affaristica, la commistione della cassa di partito con ogni tipo di paravento e con ogni forma di investimento o di speculazione. E per non cadere dal pero su quanto va emergendo dalle inchieste giudiziarie, che riassumiamo più avanti, ricordiamo che già nel 1994 Bossi venne condannato per avere intascato dalla "madre delle tangenti" (Enimont) una tangente di 200 milioni di lire; che dopo questa "brillante" esperienza egli si pose al seguito del carro dei denari berlusconiano; e che, col finanziamento pubblico dei partiti, egli si è gettato in spericolate operazioni speculative convolando con faccendieri e personaggi oscuri nell'attesa di risultati più lucrosi.
Le indagini giudiziarie sono tre. La prima è quella della procura di Reggio Calabria, condotta dal P.M. Lombardo della Dda. Essa riguarda la trasmigrazione di 7 milioni di € dalla Tanzania a Cipro e da Cipro alla Norvegia, ipotizzata come riciclaggio di denaro, mediato da Romolo Gherardelli considerato vicino alla cosca De Stefano. Il cassiere della Lega, Belsito, è inquisito nell'indagine per riciclaggio ed esportazione di denaro della predetta cosca. La seconda è quella della procura di Napoli. Questa indagine ipotizza che la cassa della Lega serviva, non solo a finanziare Bossi Mauro Calderoli Stiffoni, ma a svolgere operazioni finanziarie e immobiliari e attraverso Belsito le operazioni militari. Nell'indagine figurano le tangenti che Finmeccanica ha fatto avere anche alla Lega per la vendita al governo di 12 elicotteri Agusta W. Il Carroccio avrebbe avuto 10 milioni di €; non è chiaro se solo per avere appoggiato la nomina di Orsi, presidente di Agusta, alla presidenza di Finmeccanica, cosa poi avvenuta, o anche per la vendita degli elicotteri. La terza è quella condotta dalla procura di Milano che indaga sui conti e sul patrimonio della Lega nonché sul giro di fondi da Belsito a Calderoli. Ma la rete di rapporti di Belsito è troppo vasta e perora si sa solo da dove si inizia non dove si finisce.
Dagli esiti delle indagini, che allo stato valgono solo come ipotesi, e da quanto esposto prima, viene fuori che la cassa del Carroccio assomiglia a uno sportello bancario: da un lato raccoglie soldi (contributi, fondi, tangenti, proventi vari); dall'altro distribuisce soldi e attiva diversificate operazioni finanziarie a scopo speculativo (valutarie, immobiliari, su preziosi, ecc.). Viene, cioè, alla luce che la cassaforte dei "barbari padani" non è uno scrigno per mani callose, ma un sofisticato congegno finanziario in cui si convogliano a fine speculativo fondi di qualsiasi tipo e provenienza. Tutto questo indica che la corruzione politica ha raggiunto il livello speculativo e che è totale il servilismo finanziario di qualsiasi combriccola di politicanti. Quindi la Lega affonda nella pozza infame dei soldi sottratti ai lavoratori e di quelli estorti dalle cosche.
Possiamo concludere. Nel tempio leghista di Pontida, lo sceneggiato piazzale dei raduni acquistato da via Bellerio, il simbolo leghista "Padroni a casa nostra" è stato tramutato in"Ladroni a casa nostra". Spesso la spontaneità popolare fa piazza pulita degli imbrogli. Ma questo non può bastare. La fede leghista come tutte le fedi borghesi finiscono nel giro del denaro. Perciò non possiamo accontentarci del collasso e della defigurazione di un movimento conservatore. Dobbiamo rimuovere le basi di classe di ogni forma di corruzione, di conservazione, di cannibalismo, di dominio tardo-borghese. Dobbiamo quindi prendere in mano la "ramazza della rivoluzione" per spazzar via tutto questo marciume.
Articolo del suppl. al giornale murale di Rivoluzione Com. del 1° giugno 2012.
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