giovedì 18 febbraio 2016

pc 18 febbraio - FORMAZIONE OPERAIA - COME E QUANDO SORGONO I MONOPOLI

sulla SECONDA PARTE DEL 1° CAPITOLO: 
La concentrazione della produzione e i monopoli - L'IMPERIALISMO DI LENIN -


Lenin delinea come e quando il nuovo capitalismo ha sostituito il vecchio, e colloca questo periodo nel decennio che va a dal 1860 al 1870 e aggiunge che il loro grande periodo di sviluppo è connesso alla grande depressione internazionale degli anni '70.
Una grande depressione che complessivamente dura 22 anni della storia dell'economia europea, con un breve periodo di ascesa nel 1889/1890.

Possiamo dire, con linguaggio di oggi, che nella crisi si sviluppa il passaggio dalla concorrenza al monopolio e che nei brevi periodi di ascesa congiunturali, il monopolio si consolida. "Essi conquistano una sfera dopo l'altra, a partire dall'industria delle lavorazioni di materie prime". Qui Lenin sottolinea come “il grande slancio degli affari verso la fine del secolo e la crisi del 1900/1903 si svolge interamente, almeno nelle industrie minerarie e siderurgiche, per la prima volta sotto il segno dei cartelli”.
Concludendo, nel decennio 1860-1870 i monopoli sono in embrione; dopo lo sviluppo del 1873, vi è un grande sviluppo ma non sono stabili; nell'inizio del nuovo secolo “i cartelli diventano una delle basi della vita economica.Il capitalismo si è trasformato in imperialismo”.

E' da questo periodo, quindi, che tutta la vita economica avviene sotto l'egida dell'imperialismo. E' in questo quadro che si ripartiscono i mercati, è in questo quadro che
avviene la ripartizione dei profitti.
Nella fase dell'imperialismo progressivamente l'intero sistema economico è dominato da questi cartelli, in particolare nei grandi paesi capitalistici e, con la loro massima espressione, negli Stati Uniti.
Sin da allora, quindi, il controllo dei settori industriali nelle mani dei cartelli toccano l'80 e il 90%.
Il monopolio che questi grandi gruppi industriali – multinazionali – assicura, dice Lenin “profitti giganteschi e conduce alla formazione di unità tecniche di produzione di enormi dimensioni”.
Essi concentrano capitali, realizzano alti dividendi da ripartire e occupano grandi fette della classe operaia e impiegati.

Già quindi, all'epoca la commissione governativa americana sui trust scriveva: “La superiorità dei trust sui loro concorrenti si fonda sulla grandezza delle loro imprese e sulla loro eccellente attrezzatura tecnica”; controllano, quindi, lo sviluppo tecnologico, l'introduzione delle macchine, acquisiscono tutti i brevetti che sono in rapporto con la lavorazione, molti di questi li perfezionano; creano nuovi procedimenti di lavorazione e sperimentano invenzioni e miglioramenti tecnici.
Qui viene citato un esempio: “Il trust dell'acciaio paga forti premi agli ingegneri e agli operai, autori di invenzioni atte ad elevare l'efficienza tecnica dell'azienda o a ridurre i costi di produzione”.
"La concorrenza si trasforma in monopolio. - scrive Lenin - Ne risulta un immenso processo di socializzazione della produzione. In particolare, si socializza il processo di miglioramenti e invenzioni tecniche”.

La concentrazione permette, quindi, di accaparrarsi ampie fette delle materie prime di un dato paese e di tutti i paesi del mondo; acquisisce la capacità di ripartire il mercato in base ad accordi, monopolizza la manodopera qualificata, si accaparra i migliori tecnici, si mettono le mani sui mezzi di comunicazione e di trasporto.
Il capitalismo – scrive Lenin – nel suo stadio imperialista conduce decisamente alla più universale socializzazione della produzione; trascina, per così dire, i capitalisti, a dispetto della loro coscienza, in un nuovo ordinamento sociale”.
Il problema è che “viene socializzata la produzione ma l'appropriazione dei prodotti resta privata. I mezzi sociali di produzione restano proprietà di un ristretto numero di persone”. In apparenza rimane intatto il quadro generale della libera concorrenza, ma – e qui Lenin indica il segno di questo processo e di questo nuovo ordinamento sociale - “l'oppressione che i pochi monopolisti esercitano sul resto della popolazione viene resa cento volte peggiore, più gravosa, più insopportabile”.
Si può dire che l'imperialismo esaspera e porta alle sue estreme conseguente la contraddizione di fondo del sistema capitalista e della sua legge fondamenbtale: da un lato con la socializzazione della produzione mostra la potenza delle forze produttive concentrate, e quindi dell'enorme progresso possibile; dall'altra il suo risultato pratico, fermo restando l'appropriazione privata, è quello di rendere la vita delle masse “cento volte peggiore, più gravosa, più insopportabile”.

Ma non esiste solo la contraddizione tra imperialismo e masse. Il sistema imperialista contiene una grande contraddizione interna, quella di una costrizione, sottomissione a quelli che Lenin chiama “consorzi monopolisti”, che si affermano attraverso questa costrizione nei confronti dell'intero sistema capitalista. Vale a dire, coloro che non sono dentro i grandi cartelli, si trovano di fronte a privazioni di materie prime, o più difficoltà nell'accesso ad esse o più difficoltà nell'acquisirle; a minore accesso a manodopera e all'uso scientifico dello sfruttamento di essa; maggiore privazione dei trasporti, nella forma importante di più alti costi; chiusura degli sbocchi sui mercati, dato anche il fatto che le multinazionali impongono una esclusività, spesso ottenuta grazie al metodico abbassamento dei prezzi; il minore accesso al credito; fino all'utilizzo del boicottaggio.
E questo, dice Lenin, “non è più la lotta di concorrenza... ma un iugulamento ad opera dei monopoli”.

L'evoluzione del capitalismo è giunta a tal punto che sebbene la produzione di merci continui come prima a "dominare" e ad essere considerata come base di tutta l'economia, essa in realtà è già minata e i maggiori profitti spettano ai geni delle manovre finanziarie”. Dato che i padroni delle grandi multinazionali sono in grado di usare i profitti acquisiti in forme estese sul mercato finanziario, tanto che agli occhi degli stessi capitalisti appare come una speculazione. 
Per cui Lenin può concludere che “base di tale operazione e trucchi è la socializzazione della produzione, ma l'immenso progresso compiuto dall'umanità, affaticatasi per giungere a tale socializzazione, torna a vantaggio degli speculatori...”.

Questo dato di fatto è alla base di ogni critica piccolo borghese, reazionaria all'imperialismo che auspica e sogna un ritorno all'indietro, alla “libera”, “pacifica”, “onesta” concorrenza.
Vale a dire, tutte le forze politiche riformiste e opportuniste pretendono di nascondere in sostanza la natura irreversibile e obbligata della trasformazione della concorrenza in monopolio e quindi della trasformazione del capitalismo in imperialismo.

In particolare, Lenin sottolinea “il rapporto di padronanza e violenza ad esso collegato”, che evidentemente permette di capire l'azione sistemica che l'imperialismo esercita in tutti i campi, caratterizzata dagli stessi elementi. L'appropriazione, per esempio, delle materie prime comporta sempre un possesso che richiede costantemente padronanza e violenza. Su questo elemento si tornerà durante l'ulteriore sviluppo dello studio del libro.

Lenin prende in considerazione poi, come tutto questo si traduce in maggiori profitti. E scrive: “non bisogna inoltre dimenticare che i geni della moderna speculazione sanno far scomparire nelle proprie tasche grosse somme, all'infuori della ripartizione dei dividendi. Per eliminare la concorrenza in un'industria così altamente redditizia, i monopolisti non esitano a ricorrere a trucchi. Si diffondono voci menzognere sulla cattiva situazione dell'industria...”, il cui acquisto di solito è poco più che una buona uscita per il capitalista che la gestiva. "Il monopolio si fa strada dappertutto e con tutti i mezzi, da queste "modeste" somme di buonuscita,  all'"impiego", all'americana, della dinamite contro i concorrenti”.
Gli apologeti dell'imperialismo e dei monopoli sostengono che i cartelli monopolistici eliminano la crisi (provocata dalla concorrenza). Ma questa, dice Lenin, “è una leggenda”, dato che l'effetto del monopolio è l'accrescimento e l'intensificazione “del caos, che è proprio dell'intera produzione capitalista nella sua quasi totalità”.
Come, evidentemente, questo tipo di sviluppo accresce la sproporzione “tra lo sviluppo dell'agricoltura e quella dell'industria”, nel senso che esaspera questa contraddizione, "che è una caratteristica generale del capitalismo". Così come accentua gli elementi di sproporzione tra le diverse parti dell'economia di un paese, esasperando, anche qui, la contraddizioni tra regioni più sviluppate e meno sviluppate. L'emigrazione all'estero del capitale alimenta e sviluppa la contraddizione tra paesi più sviluppati e meno sviluppati nel mondo, tutti fattori che sono elementi di caos e di crisi su scala ancora più generale, più profonda e radicale di quanto lo fossero in regime di concorrenza premonopolistica.

Ma, quello che è importante capire, per evitare ogni visione lineare o catastrofica dell'imperialismo, è ciò che Lenin segnala, “le crisi di ogni specie, e principalmente quelle di natura economica - sebbene non queste sole - rafforzano grandemente la tendenza alla concentrazione e al monopolio”. E, quindi, nelle crisi vi sono monopoli che si rafforzano e monopoli che decadono, spingendo sempre più in avanti sia l'elemento di socializzazione, sia l'elemento di appropriazione privata da parte di un pugno di monopolisti.

Lenin conclude il capitolo affermando,però, che “la nostra rappresentazione della forza reale e dell'importanza dei moderni monopoli sarebbe assai incompleta, insufficiente, inferiore alla realtà, se non tenessimo conto della funzione delle banche”. 

(CONTINUA)

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