sulla SECONDA PARTE DEL 1° CAPITOLO:
La concentrazione della produzione e i monopoli - L'IMPERIALISMO DI LENIN -
Lenin delinea come e quando il nuovo capitalismo ha sostituito il vecchio, e colloca questo periodo nel decennio che va a dal 1860 al 1870 e aggiunge che il loro grande periodo di sviluppo è connesso alla grande depressione internazionale degli anni '70.
Una grande depressione che
complessivamente dura 22 anni della storia dell'economia europea, con
un breve periodo di ascesa nel 1889/1890.
Possiamo dire, con
linguaggio di oggi, che nella crisi si sviluppa il passaggio dalla
concorrenza al monopolio e che nei brevi periodi di ascesa
congiunturali, il monopolio si consolida. "Essi conquistano una sfera
dopo l'altra, a partire dall'industria delle lavorazioni di materie
prime". Qui Lenin sottolinea come “il grande slancio degli affari
verso la fine del secolo e la crisi del 1900/1903 si svolge
interamente, almeno nelle industrie minerarie e siderurgiche, per la
prima volta sotto il segno dei cartelli”.
Concludendo, nel decennio
1860-1870 i monopoli sono in embrione; dopo lo sviluppo del 1873, vi è un grande sviluppo ma non sono stabili; nell'inizio del nuovo
secolo “i cartelli diventano una delle basi della vita economica.Il capitalismo si è trasformato in imperialismo”.
E' da questo periodo,
quindi, che tutta la vita economica avviene sotto l'egida
dell'imperialismo. E' in questo quadro che si ripartiscono i mercati,
è in questo quadro che
avviene la ripartizione dei profitti.
avviene la ripartizione dei profitti.
Nella fase
dell'imperialismo progressivamente l'intero sistema economico è
dominato da questi cartelli, in particolare nei grandi paesi
capitalistici e, con la loro massima espressione, negli Stati Uniti.
Sin da allora, quindi, il
controllo dei settori industriali nelle mani dei cartelli toccano
l'80 e il 90%.
Il monopolio che questi
grandi gruppi industriali – multinazionali – assicura, dice Lenin
“profitti giganteschi e conduce alla formazione di unità tecniche di
produzione di enormi dimensioni”.
Essi concentrano capitali,
realizzano alti dividendi da ripartire e occupano grandi fette della
classe operaia e impiegati.
Già quindi, all'epoca la
commissione governativa americana sui trust scriveva: “La
superiorità dei trust sui loro concorrenti si fonda sulla grandezza
delle loro imprese e sulla loro eccellente attrezzatura tecnica”;
controllano, quindi, lo sviluppo tecnologico, l'introduzione delle
macchine, acquisiscono tutti i brevetti che sono in rapporto con la
lavorazione, molti di questi li perfezionano; creano nuovi procedimenti
di lavorazione e sperimentano invenzioni e miglioramenti tecnici.
Qui viene citato un
esempio: “Il trust dell'acciaio paga forti premi agli ingegneri e
agli operai, autori di invenzioni atte ad elevare l'efficienza
tecnica dell'azienda o a ridurre i costi di produzione”.
"La
concorrenza si trasforma in monopolio. - scrive Lenin - Ne risulta un immenso
processo di socializzazione della produzione. In particolare, si
socializza il processo di miglioramenti e invenzioni tecniche”.
La concentrazione
permette, quindi, di accaparrarsi ampie fette delle materie prime di
un dato paese e di tutti i paesi del mondo; acquisisce la capacità
di ripartire il mercato in base ad accordi, monopolizza la manodopera
qualificata, si accaparra i migliori tecnici, si mettono le mani sui
mezzi di comunicazione e di trasporto.
“Il capitalismo –
scrive Lenin – nel suo stadio imperialista conduce decisamente alla
più universale socializzazione della produzione; trascina, per così dire, i
capitalisti, a dispetto della loro coscienza, in un
nuovo ordinamento sociale”.
Il problema è che “viene
socializzata la produzione ma l'appropriazione dei prodotti resta
privata. I mezzi sociali di produzione restano proprietà di un
ristretto numero di persone”. In apparenza rimane intatto il quadro
generale della libera concorrenza, ma – e qui Lenin indica il segno
di questo processo e di questo nuovo ordinamento sociale -
“l'oppressione che i pochi monopolisti esercitano sul resto della
popolazione viene resa cento volte peggiore, più gravosa, più
insopportabile”.
Si può dire che
l'imperialismo esaspera e porta alle sue estreme conseguente la
contraddizione di fondo del sistema capitalista e della sua legge
fondamenbtale: da un lato con la socializzazione della produzione
mostra la potenza delle forze produttive concentrate, e quindi
dell'enorme progresso possibile; dall'altra il suo risultato pratico,
fermo restando l'appropriazione privata, è quello di rendere la
vita delle masse “cento volte peggiore, più gravosa, più
insopportabile”.
Ma non esiste solo la
contraddizione tra imperialismo e masse. Il sistema imperialista
contiene una grande contraddizione interna, quella di una
costrizione, sottomissione a quelli che Lenin chiama “consorzi
monopolisti”, che si affermano attraverso questa costrizione nei
confronti dell'intero sistema capitalista. Vale a dire, coloro che
non sono dentro i grandi cartelli, si trovano di fronte a privazioni
di materie prime, o più difficoltà nell'accesso ad esse o più
difficoltà nell'acquisirle; a minore accesso a manodopera e all'uso
scientifico dello sfruttamento di essa; maggiore privazione dei
trasporti, nella forma importante di più alti costi; chiusura degli
sbocchi sui mercati, dato anche il fatto che le multinazionali
impongono una esclusività, spesso ottenuta grazie al metodico
abbassamento dei prezzi; il minore accesso al credito; fino
all'utilizzo del boicottaggio.
E questo, dice Lenin, “non
è più la lotta di concorrenza... ma un iugulamento ad opera dei
monopoli”.
“L'evoluzione del
capitalismo è giunta a tal punto che sebbene la produzione di merci
continui come prima a "dominare" e ad essere considerata come base di
tutta l'economia, essa in realtà è già minata e i maggiori
profitti spettano ai geni delle manovre finanziarie”. Dato che i
padroni delle grandi multinazionali sono in grado di usare i profitti
acquisiti in forme estese sul mercato finanziario, tanto che agli occhi
degli stessi capitalisti appare come una speculazione.
Per cui Lenin può concludere che “base di tale operazione e trucchi è la socializzazione della produzione, ma l'immenso progresso compiuto dall'umanità, affaticatasi per giungere a tale socializzazione, torna a vantaggio degli speculatori...”.
Per cui Lenin può concludere che “base di tale operazione e trucchi è la socializzazione della produzione, ma l'immenso progresso compiuto dall'umanità, affaticatasi per giungere a tale socializzazione, torna a vantaggio degli speculatori...”.
Questo dato di fatto è alla base di ogni critica piccolo borghese, reazionaria all'imperialismo che auspica e sogna un ritorno all'indietro, alla “libera”, “pacifica”, “onesta” concorrenza.
Vale a dire, tutte le forze politiche riformiste e opportuniste pretendono di nascondere in sostanza la natura irreversibile e obbligata della trasformazione della concorrenza in monopolio e quindi della trasformazione del capitalismo in imperialismo.
In particolare, Lenin
sottolinea “il rapporto di padronanza e violenza ad esso
collegato”, che evidentemente permette di capire l'azione sistemica
che l'imperialismo esercita in tutti i campi, caratterizzata dagli
stessi elementi. L'appropriazione, per esempio, delle materie prime
comporta sempre un possesso che richiede costantemente padronanza e
violenza. Su questo elemento si tornerà durante l'ulteriore sviluppo
dello studio del libro.
Lenin prende in
considerazione poi, come tutto questo si traduce in maggiori
profitti. E scrive: “non bisogna inoltre dimenticare che i geni
della moderna speculazione sanno far scomparire nelle proprie tasche
grosse somme, all'infuori della ripartizione dei dividendi. Per
eliminare la concorrenza in un'industria così altamente redditizia, i monopolisti non esitano a ricorrere a
trucchi. Si diffondono voci menzognere sulla cattiva situazione dell'industria...”, il cui acquisto di solito è
poco più che una buona uscita per il capitalista che la gestiva. "Il monopolio si fa strada dappertutto e con tutti i mezzi, da queste "modeste" somme di buonuscita, all'"impiego", all'americana, della dinamite contro i
concorrenti”.
Gli apologeti
dell'imperialismo e dei monopoli sostengono che i cartelli
monopolistici eliminano la crisi (provocata dalla concorrenza). Ma
questa, dice Lenin, “è una leggenda”, dato che l'effetto del
monopolio è l'accrescimento e l'intensificazione “del caos, che è
proprio dell'intera produzione capitalista nella sua quasi totalità”.
Come, evidentemente, questo
tipo di sviluppo accresce la sproporzione “tra lo sviluppo
dell'agricoltura e quella dell'industria”, nel senso che esaspera
questa contraddizione, "che è una caratteristica generale
del capitalismo". Così come accentua gli elementi di sproporzione tra
le diverse parti dell'economia di un paese, esasperando, anche qui,
la contraddizioni tra regioni più sviluppate e meno sviluppate. L'emigrazione all'estero del capitale alimenta e sviluppa la
contraddizione tra paesi più sviluppati e meno sviluppati nel mondo,
tutti fattori che sono elementi di caos e di crisi su scala ancora
più generale, più profonda e radicale di quanto lo fossero in
regime di concorrenza premonopolistica.
Ma, quello che è importante capire, per evitare ogni visione lineare o catastrofica dell'imperialismo, è ciò che Lenin segnala, “le crisi di ogni specie, e principalmente quelle di natura economica - sebbene non queste sole - rafforzano grandemente la tendenza alla concentrazione e al monopolio”. E, quindi, nelle crisi vi sono monopoli che si rafforzano e monopoli che decadono, spingendo sempre più in avanti sia l'elemento di socializzazione, sia l'elemento di appropriazione privata da parte di un pugno di monopolisti.
Lenin conclude il capitolo
affermando,però, che “la nostra rappresentazione della forza reale e
dell'importanza dei moderni monopoli sarebbe assai incompleta,
insufficiente, inferiore alla realtà, se non tenessimo conto della
funzione delle banche”.
(CONTINUA)
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