martedì 16 febbraio 2016

pc 16 febbraio - Fincantieri si arrabbia per un articolo che mette in dubbio la solidità del gruppo e la capacità di fare profitti. Quali gli effetti sugli operai?

L’articolo in questione è stato pubblicato da Affari&Finanza il 1 febbraio e nella sostanza dice che il gruppo non è messo bene a causa, anche, della crisi attuale. Dice che ha chiuso il 2015 in perdita e che anche il 2016 potrebbe finire così, per cui potrebbe aver bisogno di un’altra iniezione di capitali freschi, nonostante l’acquisizione di commesse importanti nel settore delle navi da crociera (2,5 miliardi con Carnival e in questi giorni sta perfezionando un’altra commessa da 1,5-2 miliardi con Virgin). E che secondo Mediobanca bisognerebbe rivedere il “modello di business” cioè, quanto e cosa produrre… insomma gli analisti “restano convinti che un nuovo piano e un nuovo management saranno accompagnati da una nuova ricapitalizzazione che permetta al gruppo di razionalizzare la sua struttura, aumentare i margini e in prospettiva remunerare i soci”.

Questo tipo di “razionalizzazione” e “ristrutturazione” in genere finiscono con licenziamenti di operai e tagli ai salari.
  
Nella risposta, pubblicata sempre su Affari&Finanza dell’8 febbraio, abbastanza piccata della Fincantieri Media Relations l’azienda smentisce quello che dice l’articolo e dà altri dati. Innanzi tutto viene smentito l’argomento dei costi dicendo che “gli armatori per ora fanno a gara”, cioè si fanno concorrenza “per accaparrarsi i bacini di costruzione” e quindi pagano un prezzo più alto. La Fincantieri conferma poi la solidità del gruppo vantando accordi sulla costruzione di navi con un carico di lavoro di 20 miliardi e un portafoglio ordini per 26 miliardi!

E quindi Fincantieri smentisce di lavorare in perdita e ironicamente si chiede se per Mediobanca
“cambiare business” significa chiudere gli stabilimenti di Monfalcone, Marghera, Sestri Ponente, Ancona e Castellammare di Stabia “quando il mercato ne consente la piena utilizzazione per i prossimi 10 anni.”  Addirittura 10 anni!
Ma in questo elenco manca lo stabilimento di Palermo! È un caso oppure è un segno del disinteresse strategico del gruppo, come sembra da diversi anni a questa parte? 

E poi, a voler intendere che chi ha scritto l’articolo non capisce niente, l’ufficio relazioni di Fincantieri ci spiega come avviene il pagamento delle navi: “Chi conosce questo settore sa che l’80% delle navi viene pagato dall’armatore alla consegna, come previsto dalla convenzione Ocse sui crediti all’esportazione, ma dovrebbe sapere anche che il pagamento da parte delle società armatrici avviene sempre attraverso finanziamenti assunti sul mercato.” Insomma si fa tutto prendendo soldi a prestito! E si chiede ancora: “Gli armatori si indebitano per acquisire navi ma i costruttori non possono farlo? Il nostro debito poi non si sviluppa come quello del committente su 12 anni, ma su 3, e in concomitanza con la consegna l’armatore salda l’intero prezzo, permettendoci di estinguere ogni pendenza.”

Infine l’autore dell’articolo ribadisce, spingendo di fatto sulla necessità della ristrutturazione e quindi sulla capacità di pagare i profitti degli investitori, che “Fincantieri sa che stare sul mercato comporta l’obbligo di perseguire sempre il massimo livello di efficienza. Il gruppo in meno di due anni ha perso il 60% del suo valore. Questo è un fatto, a prescindere dallo scetticismo di Mediobanca.”
È un fatto, anche, che la Fincantieri per tanti anni ancora costruirà navi, e che l’attuale crisi verrà scaricata ancora sugli operai che stanno già subendo gli attacchi ai diritti e al salario.

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