Questo tipo di “razionalizzazione” e
“ristrutturazione” in genere finiscono con licenziamenti di operai e tagli ai
salari.
“cambiare business” significa chiudere gli stabilimenti di Monfalcone, Marghera, Sestri Ponente, Ancona e Castellammare di Stabia “quando il mercato ne consente la piena utilizzazione per i prossimi 10 anni.” Addirittura 10 anni!
Ma in questo elenco manca
lo stabilimento di Palermo! È un caso oppure è un segno del disinteresse
strategico del gruppo, come sembra da diversi anni a questa parte?
E poi, a voler intendere
che chi ha scritto l’articolo non capisce niente, l’ufficio relazioni di
Fincantieri ci spiega come avviene il pagamento delle navi: “Chi conosce questo
settore sa che l’80% delle navi viene pagato dall’armatore alla consegna, come
previsto dalla convenzione Ocse sui crediti all’esportazione, ma dovrebbe
sapere anche che il pagamento da parte delle società armatrici avviene sempre
attraverso finanziamenti assunti sul mercato.” Insomma si fa tutto prendendo
soldi a prestito! E si chiede ancora: “Gli armatori si indebitano per acquisire
navi ma i costruttori non possono farlo? Il nostro debito poi non si sviluppa
come quello del committente su 12 anni, ma su 3, e in concomitanza con la
consegna l’armatore salda l’intero prezzo, permettendoci di estinguere ogni
pendenza.”
Infine l’autore dell’articolo
ribadisce, spingendo di fatto sulla necessità della ristrutturazione e quindi
sulla capacità di pagare i profitti degli investitori, che “Fincantieri sa che
stare sul mercato comporta l’obbligo di perseguire sempre il massimo livello di
efficienza. Il gruppo in meno di due
anni ha perso il 60% del suo valore. Questo è un fatto, a prescindere dallo
scetticismo di Mediobanca.”
È un fatto, anche, che la
Fincantieri per tanti anni ancora costruirà navi, e che l’attuale crisi verrà
scaricata ancora sugli operai che stanno già subendo gli attacchi ai diritti e
al salario.
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