La mia esperienza in
Egitto, sia pur breve, mi ha dato modo di conoscere personalmente la
realtà del fascismo del governo di Al-Sisi.
Infatti sin dai
primissimi giorni del mio soggiorno al Cairo, la brutalità
poliziesca e della repressione fascista contro la popolazione, i
giovani in particolare, ha bussato alla mia porta rendendomi
partecipe delle frustrazioni e delle violenze che qualsiasi famiglia
egiziana (anche le famiglie piccolo-borghesi con un certo ruolo nella
società) è costretta a subire.
Il 7 aprile del 2015,
alle due del mattino, decine di poliziotti in passamontagna e mitra
al braccio circonda l'abitazione della famiglia dalla quale ero
ospitata. L'obiettivo è il figlio, uno studente universitario preso
di mira perché conosciuto come un giovane sempre presente alle
iniziative studentesche, alle occupazioni, alle manifestazioni di
piazza organizzate dai collettivi delle università della città.
Questo ragazzo viene
ammanettato davanti gli occhi della famiglia e dei miei, la sua
stanza viene setacciata, i suoi effetti personali sequestrati (e mai
più restituiti), lui viene arrestato preventivamente e detenuto per
mesi, mentre le indagini sono in corso. L'accusa è sempre la stessa:
potenziale terrorista, pericoloso per la sicurezza del paese.
In quello scenario da
film di azione, vengo obbligata a sedermi sul divano e intimata di
non muovermi finché è ritenuto opportuno. Il mio passaporto viene
controllato, fotografato da un poliziotto e infine restituitomi: so
tuttavia che il mio volto, la mia persona saranno sempre sotto
controllo. Come Giulio Regeni aveva cominciato a temere per la sua
incolumità dopo essere stato fotografato all'assemblea sindacale nel
dicembre scorso, io temo per la mia.
Al ragazzo, durante
l'interrogatorio, vengono chieste informazioni sul mio conto. Chi è
questa ragazza? Cosa fa qui, e cosa faceva a casa tua la notte
dell'arresto? Il ragazzo mi protegge, affermando che io sono la sua
ragazza e che mi trovo al Cairo per vacanza.
Il giovane viene trattato
come prigioniero politico e tenuto in una cella con altri prigionieri
politici, con cui condivide l'ingiusto trattamento. La famiglia
regolarmente si reca al carcere con la speranza di avere un colloquio
col figlio, ma le viene spesso negato.
Il tribunale proroga le
indagini ogni quindici giorni, e questo significa per lui (come per
tutti i ragazzi arrestati nelle stesse condizioni) aspettare
l'ennesima sentenza ogni due settimane.
Tuttavia la storia di
questo mio amico è una delle più "fortunate", perlomeno
con un "lieto fine": la permanenza al carcere, per lui,
dura tre mesi e mezzo. Questo non significa che le indagini siano
terminate ma che almeno può abbandonare la cella.
Per migliaia di giovani
egiziani, invece, la detenzione diventa una costante della propria
vita. Vengo a conoscenza della realtà egiziana dopo quanto accaduto
al mio amico: questo è il trattamento che chiunque egiziano si
aspetta, sa che potrebbe succedere anche a lui, e per questo spesso
si accetta con rassegnazione.
Gli intellettuali
egiziani indipendenti affermano che la repressione del governo di
Al-Sisi ha raggiunto livelli mai raggiunti dai regimi egiziani
precedenti, da Nasser alla contemporaneità. I prigionieri spesso
scompaiono nel nulla, alle famiglie non viene concesso di sapere in
quale carcere del territorio nazionale si trovino i figli e in molti
casi i detenuti subiscono le peggiori torture, come quelle cui Giulio
è stato vittima.
Celle anguste,
interrogatori violenti, giovani percossi con qualsiasi tipo di mezzo
(la parte metallica della cintura scagliata contro gli occhi, gli
anfibi contro i genitali). Questo è il "democratico"
Egitto di Al-Sisi.
Alcune storie raggiungono
i blog, le pagine facebook e twitter, e mi rimangono impresse le
storia di Shawkan, un fotoreporter arrestato tre anni fa mentre
lavorava in una manifestazione, e quella di Mahienour, anche lei
detenuta da diversi anni con l'accusa di essere una militante
comunista. Questi sono i giovani che resistono, che mandano lettere
all'esterno quando gli è concesso; le loro parole non sono mai di
accettazione silenziosa o di rinuncia degli ideali di libertà, ma
sono un monito a chi è ancora libero di manifestare e rivoluzionare
la società egiziana.
"Non dobbiamo
continuare a girarci intorno. Dobbiamo formulare gli obiettivi della
rivoluzione dentro i movimenti e dentro le iniziative, e cominciare a
organizzarci. Se gli interessi della controrivoluzione li unisce,
allora l'istinto di sopravvivenza deve unire noi. La rivoluzione è
in corso, come la vita e i sogni lo sono. Non si ferma per una
persona e presto o tardi, nelle nostre vite o in quelle di chi verrà
dopo di noi, la nostra rivoluzione sarà completata... Shaimaa
(Shaima
el Sabbagh, militante egiziana uccisa alla vigilia dell'anniversario
della rivoluzione nel 2015), nel tuo primo
anniversario di morte manda i nostri saluti ai nostri angeli, i
martiri... Dì loro che siamo ancora pieni di speranze e che le loro
prigioni e le loro ingiustizie non hanno fatto altro che aggrapparci
di più al nostro sogno e alla nostra rivoluzione" Mahienour
El Massry, in occasione del quinto anniversario della rivoluzione.
La storia di Giulio ha
riacceso la fiamma della ribellione in Egitto, anche se in forme
simboliche ma importanti. Centinaia di egiziani hanno manifestato in
memoria di Giulio davanti l'ambasciata italiana al Cairo; il 17
febbraio gli studenti dell'AUC, American University in Cairo, hanno
organizzato un sit-in di protesta all'interno della sede
universitaria, sotto lo slogan "l'uccisione di Giulio Regeni
non è un incidente isolato - la bolla dell'AUC non vi proteggerà";
svariate centinaia di dottori pochi giorni fa hanno bloccato il
traffico stradale del viale Qasr el-Einy, adiacente piazza Tahrir,
denunciando gli abusi perpetrati dai poliziotti contro di loro
all'interno degli ospedali.
Giulio era innamorato
dell'Egitto tanto da prendere a cuore la causa dei lavoratori e
operai egiziani, fino a perderci la vita per mano di un regime
dittatoriale che in pochi anni ha arrestato e, nei casi più
terribili, torturato e messo a tacere più di un migliaio di giovani,
studenti e artisti. Giulio come Shaimaa... tanti altri ragazzi sono
ancora in carcere, come Mahienour, Shawkan. Il silenzio va spezzato e
tocca a noi anche in Europa, contrastando i nostri governi che
vendono armi al Medio Oriente e stringono patti con i dittatori.
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