Sono Vittorio Fera, un attivista dell’International
Solidarity Movement, un movimento non-violento di solidarietà formato da
volontari internazionali che documentano le continue violazioni subite
dal popolo palestinese nei territori occupati da Israele.
Venerdì 28 agosto 2015 sono stato
arrestato dalle forze di occupazione israeliane durante lo svolgimento
di una manifestazione non-violenta a Nabi Salih, dove ogni venerdì gli
abitanti del villaggio si ritrovano per protestare contro la colonia
illegale di Halamish, che ha confiscato terra al villaggio e sottratto
l’unica sorgente d’acqua, costringendo gli stessi abitanti ad acquistare
l’acqua necessaria per la loro sussistenza dalle compagnie idriche
israeliane.
L’arresto è avvenuto mentre stavamo
documentando con videocamere e fotocamere l’aggressione da parte di un
soldato ad un ragazzino col braccio ingessato, che violentemente è stato
afferrato e sbattuto sulle pietre.
Pochi minuti dopo i soldati si sono
avventati su di me, trascinandomi a terra violentemente e mettendomi in
stato d’arresto. A quel punto mi hanno trascinato giù dalla collina
insieme ad un altro ragazzo palestinese, Mahmoud Tamimi, anch’esso
arrestato. Ci hanno condotto verso le jeep parcheggiate sulla strada e
siamo stati scagliati sull’asfalto e colpiti dai soldati (circa 7) con
calci, pugni e il calcio del fucile, personalmente sono stato colpito
ripetute volte sulla testa.
A quel punto
ci hanno caricato sulla jeep ordinandoci di sederci per terra, sotto i
colpi dei soldati, le ingiurie e le intimidazioni.
Dopo un breve tratto di strada siamo
arrivati alla base militare, dove non appena la jeep si è fermata ci
hanno scaraventato giù e di nuovo atterrati, colpiti alla testa con le
stesse modalità precedenti e ammanettati con fascette e bendati con la
kefiah rischiando il soffocamento.
Ho atteso più di 40 minuti bendato e
ammanettato prima dell’arrivo della dottoressa militare, che come da
prassi mi ha slegato e ha controllato, con un esame molto blando, quanto
ci fosse di rotto e stilato un report che mi ha chiesto di firmare e
per il quale mi sono opposto, in quanto scritto in ebraico.
Successivamente alla visita militare, ho
chiesto di poter contattare il mio avvocato ma, oltre a non
concedermelo, mi hanno nuovamente legato dietro la schiena e bendato,
obbligandomi a rimanere per terra seduto in posizione costrittiva per
oltre 6 ore.
Passato questo tempo mi hanno caricato
con Mahmoud Tamimi su una jeep e portato alla stazione di polizia di
Bein Yamin per l’interrogatorio. Nella stazione di polizia ho potuto
riconoscere Eyad Burnat, l’attivista fratello di Emad, regista del
villaggio di Bil’in, che lo stesso giorno è stato maltrattato dai
soldati durante la manifestazione del venerdì. I soldati hanno perfino
cosparso la benda che aveva sugli occhi di spray al pepe.
Nella stazione di polizia sono stato
informato dei miei capi di accusa, che consistevano in LANCIO DI PIETRE,
LANCIO DI OGGETTI(?) E PARTECIPAZIONE A MANIFESTAZIONE ILLEGALE.
Ho subìto un interrogatorio molto
sommario dove, nonostante proclamassi la mia innocenza e non mi si
presentassero prove delle accuse che mi sono state rivolte, venivo messo
in stato di arresto e mi venivano prelevati campioni di dna e prese le
impronte digitali.
Successivamente, mentre Mahmoud veniva
condotto ad Ofer, io venivo costretto a stare in una stanza\prigione
della stazione di polizia sino al giorno seguente, dove venivo condotto,
alle 3 del pomeriggio, al carcere di Lod, una piccola città vicino a
Tel Aviv.
Arrivati al carcere di Lod e sbrigate le
democratiche pratiche di check-in, sotto lo sguardo torvo e i reiterati
insulti dei secondini e degli inservienti carcerari, venivo condotto in
una cella dove erano già presenti 4 israeliani e 2 etiopi.
Un discorso a parte va fatto per quanto
riguarda il tempo trascorso in carcere, in quanto è apparsa chiara fin
da subito la tattica intimidatoria e discriminatoria attuata nei miei
confronti per rendermi il soggiorno il più pesantemente possibile a
livello psicologico: infatti, ogni secondino o inserviente, nonché i
prigionieri, sono stati informati dei miei capi d’accusa e, considerando
l’immensa venerazione e rispetto che gli israeliani provano per i loro
“valorosi soldati”, appare ovvio che le accuse di avere attentato alla
loro incolumità mi hanno trasfigurato in un “terrorista”.
Per questo motivo, molto spesso tutte le
persone all’interno del carcere mi rivolgevano epiteti come “sharmouta
(puttana), perché non vai a rompere le palle in Siria o Afghanstan(!),
sei venuto dall’italia a rompere il cazzo”, frutto di un diligente
lavoro di propaganda e brainwashing dei piani alti sionisti.
Alcune volte ho ricevuto anche minacce
di attacco fisico, sia da parte di prigionieri che dei secondini, ma non
si sono mai concretizzate…
La prima udienza del processo del 29/08
alle ore 22 era mirata solo a prolungare la mia permanenza forzata nella
ridente località di Lod, un girone infernale dove non solo io, ma anche
gli altri carcerati non “terroristi”, per i primi giorni di permanenza
non hanno diritto a cambiare gli abiti, chiamare il proprio legale, ora
d’aria o simili e sono coercitivamente rinchiusi dietro le sbarre o
condotti dalla prigione al tribunale e viceversa, bardati con manette ai
polsi e alle caviglie come bestie, alle quali invece di dare lo
zuccherino dai le sigarette…
Dovrebbe far riflettere la mancanza dei
diritti umani da parte dell’unica democrazia del Medio Oriente, anche
verso i suoi stessi concittadini, ma forse gli israeliani sono troppo
occupati a difendersi dallo spauracchio “arabo terrorista palestinese”,
per potersene rendere conto…
La seconda udienza è avvenuta il giorno
31 agosto in presenza anche delle autorità italiane nella persona del
vice-console (o qualcosa di simile) Gianluigi Vassallo, che prima
dell’udienza ha avuto l’autorizzazione dei magnanimi funzionari
israeliani per un colloquio privato con me per avere un resoconto di
quello che era successo. Durante l’udienza, alla quale ha assistito solo
parzialmente causa un “inderogabile impegno assunto precedentemente”,
l’accusa ha affermato di avere tra le mani una pellicola con ulteriori
prove a mio carico e ha chiesto altri 4 giorni di prolungamento della
detenzione per finire di svilupparla (evidentemente i mezzi della
polizia israeliana sono ancora fermi all’epoca dei Fratelli Lumière). La
mia difesa ha accordato di concedere 8 giorni di tempo all’accusa per
sviluppare questa fantomatica pellicola, chiedendo però di farmi
trascorrere questo periodo fuori dal carcere.
Il compromesso risultante sancito dal
giudice è stato quello di concedermi la libertà sotto il pagamento di un
deposito di garanzia di 3000 shekel a queste condizioni:
- Non poter lasciare il paese fino all’8 settembre (giorno dell’eventuale processo) e consegnare il passaporto nella stazione di polizia della colonia illegale di Bein Yamin fino a quella data
- Presentarmi ogniqualvolta la polizia lo ritenesse necessario per ulteriori investigazioni ecc
- Presenza vietata in Nabi Salih e nelle zone limitrofe fino all’8 settembre
Dopo che ISM ha celermente
provveduto a versare i 3000 shekel pattuiti alle ore 12 dello stesso
giorno, sono stato scarcerato effettivamente alle ore 20.
Questi 3000 shekel va specificato che
non sono una cauzione ma solo un deposito di garanzia per assicurare
alle autorità israeliane che non lasciassi il paese prima del processo.
Scaduto il termine dell’8 settembre
questo deposito verra riconsegnato a chi lo ha versato: in realtà le
autorità sioniste hanno a disposizione 6 mesi per riconsegnare il
deposito.
Riguardo alla cauzione, è importare
porre l’attenzione su come siano molto restrittive le condizioni
riguardo il rilascio di prigionieri palestinesi, rispetto agli
internazionali: infatti, se i palestinesi vengono rilasciati su cauzione
o deposito, vengono stabilite strettissime regole, come per esempio il
doversi presentare a cadenza settimanale presso la stazione di polizia,
condizione facilmente violabile, in quanto le restrizioni di movimento
cui sono soggetti potrebbero non permettere di raggiungere la stazione
(soldati che possono bloccarti al checkpoint o impedirti l’accesso) e
quando si è autorizzati ad accedere, magari si è costretti ad attendere
l’intera giornata all’interno della stazione, compromettendo magari il
rapporto lavorativo, in quanto si necessita di un numero di giornate di
permesso troppo elevato.
Il giorno prima del “fantomatico
processo con nuove prove schiaccianti”, il mio avvocato mi ha comunicato
che non ci sarebbe stato alcun processo e che ero prosciolto dalle
accuse.
Evidentemente i giudici israeliani hanno
pensato che fosse meglio passare sotto silenzio mediatico la notizia
della mia assoluzione, piuttosto che imbastire una nuova udienza con
prove del tutto inattendibili. In questo modo il messaggio che passa è
che sono stato liberato su cauzione…
Per quanto riguarda Mahmoud Tamimi, ha
ricevuto i miei stessi capi d’accusa e avrà l’udienza la prossima
settimana… Speriamo vivamente usino le stesse argomentazioni per
scagionare anche lui… Inshallah.
Riflettendo sulla situazione del mio
arresto, è significativo mettere a fuoco che se il governo sionista ha
il potere di malmenare e arrestare brutalmente un internazionale in una
manifestazione non violenta, rivolgendogli accuse totalmente infondate e
sulla base di queste accuse detenerlo per alcuni giorni e metterlo
sotto processo, siamo di fronte a una totale mancanza di legalità e in
completa violazione di diritti umani. Ma l’opinione pubblica, che fa un
po’ di scalpore quando queste situazioni riguardano un internazionale,
dovrebbe alzare la voce ogni giorno contro l’illegalità e l’oppressione
dell’occupazione israeliana. La mia incarcerazione è la cartina
tornasole che si dovrebbe usare per analizzare tutte le violazioni che
Israele commette quotidianamente contro i palestinesi e l’impunità che
gli garantisce la comunità internazionale.
E’altrettanto importante notare che il
lavoro di attivismo che stiamo svolgendo in West Bank dà parecchio
fastidio ai sionisti che cercano di fiaccare l’attivismo internazionale
con queste strategie.
Infatti, nell’ultimo mese le forze
dell’occupazione hanno arrestato 2 attivisti e distrutto 3 macchine
fotografiche…e i mesi precedenti hanno ferito altri attivisti.
Ovviamente non ci facciamo intimidire,
ma anzi continuiamo con maggior vigore su questa strada, che se diamo
fastidio è quella giusta.
Bisogna fare pressione per chiedere a
Israele il rispetto delle risoluzioni internazionali violate (più di
70,con 2 sole risoluzioni violate, l’Iraq è stato raso al suolo dai
portatori di democrazia Usa…) e sanzionare pesantemente la politica
sionista neocolonialista, che continua a fare proseliti nascondendosi
dietro la maschera della minaccia antisemita e con cui i nostri governi
continuano a fare affari e patti commerciali, accademici, culturali.
Chi non si batte per i diritti dei
palestinesi è complice di questo sistema. Chi non partecipa alla lotta,
avvalla la condotta illegale sionista e le violazioni dei diritti umani,
non solo dei palestinesi ma di tutti gli esseri umani.
Il silenzio rende complice.
Non c’è pace senza giustizia.
In solidarity
Vittorio
da http://reteitalianaism.it/
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