La ragioni per le quali ho restituito dopo 44 anni la
tessera della Cgil sono semplici e brutali. Oramai mi sento totalmente
estraneo a ciò che realmente è questa organizzazione e non sono in grado
minimamente di fare sì che essa cambi. La mia è quindi la presa d'atto
di una sconfitta personale: ci ho provato per tanto tempo e credo con
rigore e coerenza personale, non ci sono riuscito. Anzi la Cgil è sempre
più distante da come avrei voluto che fosse. Non parlo tanto dei
proclami e delle dichiarazioni ufficiali, ma della pratica
reale, della vita quotidiana che per ogni organizzazione, in particolare
per un sindacato, è l'essenza. Non è questo il sindacato che vorrei e
di cui credo ci sia bisogno, e soprattutto non vedo in esso la volontà
di diventarlo.
Negli anni 80 e 90 è stata la mutazione genetica del sindacato più forte d'Europa, la sua scelta di accettare tutti i vincoli e le compatibilità del mercato e del profitto, che ha permesso al potere economico di riorganizzarsi e riprendere a comandare. In cambio le grandi organizzazioni sindacali hanno chiesto compensazioni per se stesse.
Questo è stato il grande scambio politico che ha accompagnato trent'anni di politiche liberiste contro il lavoro. I grandi sindacati accettavano la riduzione dei diritti e del salario dei propri rappresentati e in cambio venivano riconosciuti ed istituzionalizzati. Partecipavano ai fondi pensione, a quelli sanitari, agli enti bilaterali, firmavano contratti che costruivano relazioni burocratiche con le imprese, stavano ai tavoli dei governi che tagliavano lo stato sociale, insomma crescevano mentre I lavoratori tornavano indietro su tutto.
Quando il mondo del lavoro è precipitato nella precarietà e nella disoccupazione, quando si è indebolito a sufficienza, il potere economico reso più famelico dalla crisi, ha deciso che poteva fare a meno dello scambio della concertazione. Ha dato il via Marchionne e tutti gli altri lo hanno seguito. Quelle concessioni sul ruolo e sul potere della burocrazia, che le stesse imprese ed il potere politico elargivano volentieri in cambio della "responsabilità" sindacale, son state messe sotto accusa. Coloro che più si sono avvantaggiati dei "privilegi" sindacali ora sono i primi a lanciare lo scandalo su di essi.
I vecchi compagni da cui ho imparato l'abc del sindacalista mi dicevano: se al padrone dai una mano poi si prende il braccio e tutto il resto. Ma nel mondo moderno certe massime sono considerate anticaglie, e quindi i gruppi dirigenti dei grandi sindacati son rimasti sconvolti e travolti dalla irriconoscenza di un potere a cui avevano fatto così ampie concessioni. Hanno così finito per fare propria la più grande delle falsificazioni sul loro operare. I sindacati hanno difeso troppo gli occupati e abbandonato i giovani ed i precari, questo è passato nei mass media. Mentre al contrario non si sono trasmessi diritti alle nuove generazioni proprio perché si è rinunciato a difendere coloro che quei diritti tutelavano ancora. I grandi sindacati han subito la catastrofe del precariato non perché troppo rigidi, ma perché troppo subalterni e disponibili verso le controparti. Questa è la realtà rovesciata rispetto all'immagine politica ufficiale, realtà che qualsiasi lavoratrice o lavoratore conosce perfettamente sulla base della proprie amare esperienze.
Naturalmente mi si può giustamente rispondere: chi ti
credi di essere? Certo la mia è la storia di un
militante come ce ne sono stati tanti, che ha speso tanto nell'organizzazione ma che non può pretendere di essere al centro del mondo. Giusto, tuttavia credo che la mia fuoriuscita possa almeno essere registrata come un pezzetto della più vasta e diffusa crisi sindacale di cui tanto si parla, e che come tale possa essere collocata e spiegata.
militante come ce ne sono stati tanti, che ha speso tanto nell'organizzazione ma che non può pretendere di essere al centro del mondo. Giusto, tuttavia credo che la mia fuoriuscita possa almeno essere registrata come un pezzetto della più vasta e diffusa crisi sindacale di cui tanto si parla, e che come tale possa essere collocata e spiegata.
Nei primissimi anni 70 del secolo scorso a Bologna
come lavoratore studente ho preso con orgoglio la mia prima tessera
Cgil. Poi sono stato chiamato a Brescia per cominciare a lavorare a
tempo pieno nella Fiom. Nella quale sono rimasto fino al 2012. Ho visto
cambiare il mondo, ma se tornassi indietro con la consapevolezza di oggi
rifarei tutte le scelte di fondo. Scherzando penso che io ed il mondo
siamo pari, io non sono riuscito a cambiarlo come volevo, ma pure lui
non ce l'ha fatta con me.
Quando
ho cominciato a fare il "sindacalista" a tempo pieno questa parola
suscitava rispetto. Io la maneggiavo con un pò di timore. Il
sindacalista era una persona giusta e disinteressata che raddrizzava i
torti, era il difensore del popolo. Oggi se dici che sei un sindacalista
ti vedi una strana espressione intorno, molto simile a quella che viene
rivolta ai politici di professione. Sindacalista eh? Allora sai farti
gli affari tuoi...
Questo discredito del sindacato è sicuramente alimentato da una
disegno del potere economico e delle sue propaggini politiche ed
intellettuali. Ma è anche frutto della burocratizzazione e
istituzionalizzazione delle grandi organizzazioni sindacali.
Paradossalmente oggi è proprio il sindacalismo moderato della
concertazione, che ho contrastato per quanto ho potuto, ad essere messo
sotto accusa.Negli anni 80 e 90 è stata la mutazione genetica del sindacato più forte d'Europa, la sua scelta di accettare tutti i vincoli e le compatibilità del mercato e del profitto, che ha permesso al potere economico di riorganizzarsi e riprendere a comandare. In cambio le grandi organizzazioni sindacali hanno chiesto compensazioni per se stesse.
Questo è stato il grande scambio politico che ha accompagnato trent'anni di politiche liberiste contro il lavoro. I grandi sindacati accettavano la riduzione dei diritti e del salario dei propri rappresentati e in cambio venivano riconosciuti ed istituzionalizzati. Partecipavano ai fondi pensione, a quelli sanitari, agli enti bilaterali, firmavano contratti che costruivano relazioni burocratiche con le imprese, stavano ai tavoli dei governi che tagliavano lo stato sociale, insomma crescevano mentre I lavoratori tornavano indietro su tutto.
Quando il mondo del lavoro è precipitato nella precarietà e nella disoccupazione, quando si è indebolito a sufficienza, il potere economico reso più famelico dalla crisi, ha deciso che poteva fare a meno dello scambio della concertazione. Ha dato il via Marchionne e tutti gli altri lo hanno seguito. Quelle concessioni sul ruolo e sul potere della burocrazia, che le stesse imprese ed il potere politico elargivano volentieri in cambio della "responsabilità" sindacale, son state messe sotto accusa. Coloro che più si sono avvantaggiati dei "privilegi" sindacali ora sono i primi a lanciare lo scandalo su di essi.
I vecchi compagni da cui ho imparato l'abc del sindacalista mi dicevano: se al padrone dai una mano poi si prende il braccio e tutto il resto. Ma nel mondo moderno certe massime sono considerate anticaglie, e quindi i gruppi dirigenti dei grandi sindacati son rimasti sconvolti e travolti dalla irriconoscenza di un potere a cui avevano fatto così ampie concessioni. Hanno così finito per fare propria la più grande delle falsificazioni sul loro operare. I sindacati hanno difeso troppo gli occupati e abbandonato i giovani ed i precari, questo è passato nei mass media. Mentre al contrario non si sono trasmessi diritti alle nuove generazioni proprio perché si è rinunciato a difendere coloro che quei diritti tutelavano ancora. I grandi sindacati han subito la catastrofe del precariato non perché troppo rigidi, ma perché troppo subalterni e disponibili verso le controparti. Questa è la realtà rovesciata rispetto all'immagine politica ufficiale, realtà che qualsiasi lavoratrice o lavoratore conosce perfettamente sulla base della proprie amare esperienze.
La condizione del lavoro in Italia oggi è
intollerabile e dev'essere vissuta come un atto di accusa da ogni
sindacalista che creda ancora nella propria funzione. Non è solo la perdita di salari e diritti, il peggioramento delle condizioni di
lavoro, lo sfruttamento brutale che riemerge dal passato di decenni.
Sono la paura e la rassegnazione diffuse, il rancore, la rottura di
solidarietà elementari, che mettono sotto accusa tutto l'operato
sindacale di questi anni.
Di Vittorio rivendicò alla Cgil il merito di aver
insegnato al bracciante che non ci si toglie il cappello quando passa il
padrone. Di chi è la colpa se ora chi lavora deve piegarsi e
sottomettersi come e peggio che nell'800? È chiaro che la colpa è del
potere economico e di quello politico ad esso corrivo, oggi ben
rappresentato da quella figura trasformista e reazionaria che è Matteo
Renzi. È chiaro che c'è tutto un sistema culturale e mediatico che educa
il lavoro alla rassegnazione e alla subordinazione all'impresa. Ma poi
ci son le responsabilità da questo lato del campo, quelle di chi non
organizza la contestazione e la resistenza.
Lascio la Cgil perché non vedo nei gruppi dirigenti alcuna volontà di
cogliere il disastro in cui è precipitato il mondo del lavoro e le
responsabilità sindacali in esso. Vedo una polemica di facciata contro
le politiche di austerità e del grande padronato, a cui corrispondono la
speranza e l'offerta del ritorno alla vecchia concertazione. E se le
dichiarazioni ufficiali, come sempre accade, fanno fuoco e fiamme sui
mass media, la pratica reale è di aggiustamento e piccolo cabotaggio,
nell'infinita ricerca del minor danno. Il corpo burocratico della Cgil è
più rassegnato dei lavoratori posti di fronte ai ricatti del mercato e
delle imprese, come può comunicare coraggio se non ne possiede? Certo ci
sono tante compagne e compagni che non si arrendono , che fanno il loro
dovere, che rischiano, ma la struttura portante dell'organizzazione va
da un'altra parte, è dominata dalla paura di perdere il residuo ruolo
istituzionale e quando ci sono occasioni di rovesciare i giochi, volge
lo sguardo da un'altra parte. Quando la FIOM nel 2011 si è opposta a
Marchionne, quando Monti ha portato la pensione alla soglia dei 70 anni,
quando si è tardivamente ripristinato lo sciopero generale contro il
governo, in tutti quei momenti si è vista una forza disposta a non
arrendersi. Quei momenti non sono lontani, eppure sembrano distare già
decenni perché subito dopo di essi i gruppi dirigenti son tornati al
tran tran quotidiano. E temo che lo stesso accada ora nel mondo della
scuola ove un grande movimento di lotta non sta ricevendo un adeguato
sostegno a continuare.
Non si può ripartire se l'obiettivo è sempre solo
quello di trovare un accordo che permetta all'organizzazione di
sopravvivere. Così alla fine si firma sempre lo stesso accordo in
condizioni sempre peggiori. In fondo è una resa continua. Il 10 gennaio
2014 CGIL CISL UIL hanno firmato con la Confindustria un'intesa che
scambia il riconoscimento del sindacato con la rinuncia alla lotta
quotidiana nei luoghi di lavoro. Una volta che la maggioranza dei
sindacati firma un contratto la minoranza deve obbedire e non può
neppure scioperare. Se non accetti questa regola non puoi presentarti
alle elezioni dei delegati. Se negli anni 50 del secolo scorso la Cgil,
in minoranza nelle grandi fabbriche, avesse accettato un sistema simile
non avremmo avuto l'autunno caldo e lo Statuto dei Lavoratori. Che non a
caso oggi il governo cancella sicuro che le grida sindacali non siano
vera opposizione.
Il movimento operaio nella sua storia ha incontrato
spesso dure sconfitte, ma le ha superate solo quando le ha riconosciute
come tali e quando ha cambiato la linea politica, la pratica e, a volte,
i gruppi dirigenti. Invece nulla oggi viene davvero rimesso in
discussione.
La Cgil ha sempre avuto una dialettica interna. Tra
linee politiche, tra esperienze, tra luoghi di lavoro, territori e
centro, tra categorie e confederazione. Dagli anni 90 il confronto tra
maggioranza e minoranze si è intrecciato con quello tra la FIOM e la
confederazione. In questi confronti e conflitti si aprivano spazi di
esperienze ed iniziative controcorrente. Oggi tutto questo non c'è più.
Una normalizzazione profonda percorre tutta l'organizzazione e l'ultimo
congresso le ha conferito sanzione formale. Non facciamoci ingannare
dalle polemiche televisive e dalle imboscate di qualche voto segreto.
Fanno parte di scontri di potere tra cordate di gruppi dirigenti, mentre
tutte le decisioni più importanti son state assunte all'unanimità,
salvo il voto contrario della piccola minoranza di cui ho fatto parte e
di cui non si è mai tenuto alcun conto.
Una piccola minoranza che al congresso ha raggiunto
successi insperati là dove c'erano le persone in carne ed ossa, ma che
nulla ha potuto contro i tanti risultati bulgari per partecipazione e
consenso verso i vertici, costruiti a tavolino. Con l'ultimo congresso
la struttura dirigente della Cgil ha deciso di ingannare se stessa. La
partecipazione bassissima degli iscritti è stata innalzata
artificialmente per mascherare una buona salute che non c'è. Ed il resto
è venuto di conseguenza. A differenza che nel passato non ci son più
problemi nella vita interna della Cgil, tutto è pacificato a parte i
puri conflitti di potere. Ma forse anche per questo la Cgil non ha mai
contato così poco nella vita sociale e politica del paese.
A questo punto non bastano rinnovamenti di facciata,
sono necessarie rotture di fondo con la storia e la pratica degli ultimi
trenta anni.
Bisogna rompere con un sistema Europa che è infame con i migranti
mentre si genuflette di fronte all'euro. I diritti del lavoro sono
incompatibili con una moneta unica i cui vincoli,come ha ricordato il
ministro delle finanze tedesco, sono tutt'uno con le politiche di
austerità.Bisogna rompere con il PD ed il suo sistema di potere se non
se ne vuol venire assorbiti e travolti.
Bisogna rompere con le relazioni subalterne con le imprese e ripartire dalla condizione concreta dei lavoratori .
Questo rotture non sono facili, ma sono indispensabili per ripartire e sono impossibili nella Cgil di oggi.
Certo, fuori dalla Cgil non c'è una alternativa di
massa pronta. Ci sono lotte, movimenti, sindacati conflittuali generosi e
onesti, ma spesso distanti se non in contrasto tra loro. Ma questa
situazione frantumata per me non giustifica il permanere in
un'organizzazione che sento indisponibile anche solo a ragionare su
queste rotture.
So bene che la svolta positiva per il mondo del
lavoro ci sarà quando tutte le organizzazioni sindacali, anche le più
moderate, saranno percorse da un vento nuovo. Ho vissuto da giovane quei
momenti. Ma ho anche imparato che nell'Italia di oggi questo
cambiamento sarà possibile solo se promosso da una spinta organizzata
esterna a CGIL CISL UIL. A costruirla voglio dedicare il mio impegno.
Per questo lascio la Cgil da militante del movimento
operaio così come ci sono entrato. Saluto con grande affetto le compagne
e compagni di tante lotte che non condividono questo mio giudizio
finale. Siccome li conosco e stimo, so che ci ritroveremo in tanti
percorsi comuni. Saluto anche tutte e tutti gli altri compagni, perché
ho fatto mio l'insegnamento di Engels di avere avversari, ma mai nemici
personali.
Grazie soprattutto a tutte le lavoratrici e a tutti i
lavoratori che hanno insegnato a me, intellettuale piccolo borghese
come si diceva una volta, cosa sono le durezze e le grandezze della
classe operaia. Spero di poter apprendere ancora.
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