(da un articolo di Patrick Tombola, Laif/Contrasto)
"...Si parla delle spaventose condizioni di lavoro, della complicità delle aziende agricole che assumono servendosi dei caporali e dell’inadeguatezza delle istituzioni preposte al controllo. Ci viene poi addebitata, da alcuni commentatori, una corresponsabilità quali consumatori di pomodori, sughi e passate “per cui vogliamo spendere troppo poco” – discorso retorico che colpendo gli incolpevoli finisce, ineluttabilmente, per distrarre dall’individuazione dei veri responsabili.
Ma poco o nulla si dice della storia economica di quei pomodori, del modo in cui tra il campo e il supermercato producono profitto, e per chi lo producono...
A ben vedere il caporalato viene anzi trattato come un corpo estraneo ai processi economici... sembra quasi che l’esercito contro cui si minaccia guerra sia privo di ufficiali e di stato maggiore e sia composto esclusivamente da, appunto, caporali. C’è da domandarsi come sia possibile che un tale esercito tenga in scacco le istituzioni.
Carne da cannone
Naturalmente, invece, una catena di comando e uno stato maggiore ci sono, anche se chi ne fa parte non può essere rappresentato con le tinte forti che s’attagliano ai caporali. Il pittore tedesco George Grosz, negli anni venti del secolo scorso, disegnava signori della guerra dal petto decorato e capitani d’industria con il sigaro nell’atto di brindare mentre progettavano come meglio affamare i poveri e farne carne da cannone...
...qualche tratto di china sulla produzione
del profitto nella filiera agroalimentare può essere utile per interpretare il
quadro complessivo.
Il primo che proviamo a tracciare riguarda i modelli distributivi del cibo e la loro evoluzione. Sentiamo, a questo proposito, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, meglio nota come Antitrust:
Il primo che proviamo a tracciare riguarda i modelli distributivi del cibo e la loro evoluzione. Sentiamo, a questo proposito, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, meglio nota come Antitrust:
In termini di incidenza sul totale del commercio
alimentare, fresco e confezionato, la grande distribuzione organizzata (gdo) è
passata dal 50 per cento circa del 1996 all’attuale 72 per cento. A fronte di
tale andamento si sono registrati una netta contrazione del dettaglio
tradizionale, passato dal 41 per cento circa del 1996 all’attuale 18 per cento,
e un leggero rafforzamento del peso degli altri canali (commercio ambulante, gli
acquisti diretti presso le aziende agricole eccetera), passati dal 9,2 per cento
al 10,6 per cento.
Per gdo si intendono i supermercati (dal mini
all’iper), quasi sempre appartenenti o affiliati a una catena distributiva
(Coop, Conad, Esselunga, Selex, Auchan, Carrefour eccetera). La gdo, spiega la
citata indagine dell’Antitrust, è in grado di esercitare uno smisurato buyer
power (potere contrattuale negli acquisti) nei confronti dei propri
fornitori. Questi fornitori (o subfornitori) a loro volta, scaricano sui
lavoratori le conseguenze del loro risicato margine di profitto. In diverse
filiere, come quella del pomodoro, “la presenza di un gran numero di lavoratori
vulnerabili e disponibili a salari bassi [… consente] a molte aziende di reggere
alla crescente pressione sui prezzi dei prodotti agricoli operata da
commercianti, industrie conserviere e catene della grande distribuzione
organizzata (Ben oltre lo sfruttamento: lavorare da migranti in
agricoltura, il Mulino, n. 1/14).
Va da sé che il reclutamento e il disciplinamento di quel “gran numero di lavoratori vulnerabili” ingaggiati a pessime condizioni è garantito e può essere garantito solo da caporali.
I luoghi di produzione
Il secondo tratto del nostro schizzo rappresenta l’indifferenza ai luoghi di produzione. Non c’è regione, stato e neppure continente che tenga: le grandi aziende di trasformazione e la gdo comprano dove trovano docilità nel fornire agli standard richiesti e a minor costo, e l’esclusione di un fornitore o di un intero territorio derivano dalla semplice pressione di pochi tasti. Si potrebbe quasi dire che è la costante possibilità di quel gesto digitale e asettico ad alimentare il concreto potere di minaccia dei caporali.
A questo punto entrano in gioco le politiche dell’Unione europea, che incentivano la trasformazione dei sistemi agricoli nordafricani orientandoli verso l’export (al servizio di gdo e grandi grossisti e trasformatori del nostro continente), con il risultato di impoverire la maggioranza dei contadini e dei braccianti tanto qui quanto sull’altra sponda del Mediterraneo. E naturalmente entrano in gioco le politiche migratorie, in costante e sotterraneo dialogo con la creazione di lavoro ricattabilissimo.
Oltre a quello della brutalità dei caporali, c’è un altro polo discorsivo utilizzato nella lotta allo sfruttamento estremo in agricoltura: quello della “legalità”. Che, almeno secondo Coldiretti, la principale associazione di rappresentanza degli agricoltori italiani, potrebbe essere rafforzata da una maggiore diffusione del voucher come strumento retributivo per i braccianti. Cos’è un voucher?
Va da sé che il reclutamento e il disciplinamento di quel “gran numero di lavoratori vulnerabili” ingaggiati a pessime condizioni è garantito e può essere garantito solo da caporali.
I luoghi di produzione
Il secondo tratto del nostro schizzo rappresenta l’indifferenza ai luoghi di produzione. Non c’è regione, stato e neppure continente che tenga: le grandi aziende di trasformazione e la gdo comprano dove trovano docilità nel fornire agli standard richiesti e a minor costo, e l’esclusione di un fornitore o di un intero territorio derivano dalla semplice pressione di pochi tasti. Si potrebbe quasi dire che è la costante possibilità di quel gesto digitale e asettico ad alimentare il concreto potere di minaccia dei caporali.
A questo punto entrano in gioco le politiche dell’Unione europea, che incentivano la trasformazione dei sistemi agricoli nordafricani orientandoli verso l’export (al servizio di gdo e grandi grossisti e trasformatori del nostro continente), con il risultato di impoverire la maggioranza dei contadini e dei braccianti tanto qui quanto sull’altra sponda del Mediterraneo. E naturalmente entrano in gioco le politiche migratorie, in costante e sotterraneo dialogo con la creazione di lavoro ricattabilissimo.
Oltre a quello della brutalità dei caporali, c’è un altro polo discorsivo utilizzato nella lotta allo sfruttamento estremo in agricoltura: quello della “legalità”. Che, almeno secondo Coldiretti, la principale associazione di rappresentanza degli agricoltori italiani, potrebbe essere rafforzata da una maggiore diffusione del voucher come strumento retributivo per i braccianti. Cos’è un voucher?
Un metodo di pagamento delle ore lavorate
attraverso un ‘assegno’ di 10 euro lordi che può essere riscosso all’Inps e
acquistato in varie sedi, tra cui tabacchini e poste. […] Il
‘lavoratore-voucher’ non ha diritto a ferie, malattie, maternità, tredicesima,
quattordicesima e a indennità di disoccupazione [… e] acquistando un voucher al
giorno si può coprire a livello assicurativo e contributivo un’intera giornata
di lavoro (Il regime del salario, Connessioni
precarie).
In verità è assai probabile che, con gli attuali
rapporti di forza, il voucher non costituisca affatto un’emersione del lavoro
nero. Anzi: sui campi dei pomodori (negli agrumeti, tra i filari di vite e così
via) alcuni lavoratori potrebbero essere messi “in regola” con un voucher al
giorno, assicurando a caporali e datori di lavoro l’impunità anche in caso di
controllo, mentre verso altri braccianti si potrebbe usare l’impossibilità di
pagarli con voucher (magari perché privi di documenti in regola) per imporre
loro condizioni salariali ancora peggiori.
E comunque, più in generale, risulta problematico appellarsi alla “legalità” nel mercato del lavoro quando le leggi che lo normano sembrano ormai ispirarsi a forme di caporalato soft (tramite esternalizzazioni, intermediazioni, eliminazione dell’indennità di malattia e, in fieri, della pensione, negazione del diritto di sciopero eccetera)..."
E comunque, più in generale, risulta problematico appellarsi alla “legalità” nel mercato del lavoro quando le leggi che lo normano sembrano ormai ispirarsi a forme di caporalato soft (tramite esternalizzazioni, intermediazioni, eliminazione dell’indennità di malattia e, in fieri, della pensione, negazione del diritto di sciopero eccetera)..."
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