No Tav
EXILLES- «Sarà dura...». L'urlo rimbomba tra le montagne. È come se fosse una premonizione, oppure qualcosa di più: una certezza. Perché se l'obiettivo è quello di riprendersi "la libera repubblica della Maddalena", «espugnata» la settimana scorsa dalle forze dell'ordine, anche loro sanno che sarà pressoché impossibile. Ma l'importante è dare un segnale e forse ci si accontenta anche di questo. Per il resto i quasi duemila manifestanti che si sono staccati dal corteo ufficiale di Exilles camminano in silenzio sotto il sole. In piccoli gruppi, dalle loro città di provenienze. Da Padova a Livorno. Da Perugia a Milano. Da Roma a Torino. Si tratta di esponenti dei centri sociali, studenti, precari, antagonisti. Arrivati in Val di Susa per aiutare «i compagni che combattono contro la Tav, un'opera ingiusta che nessuno vuole. A cominciare dalla popolazione locale». E guidati dai ragazzi del luogo.
NEI BOSCHI- Il passo è svelto. Sono le 10.30 e i tempi sono stretti. Bisogna arrivare tutti insieme, coordinarsi con gli altri gruppi che assedieranno i cantieri da Giaglione. Quando si passa Cels, piccola frazione sulla strada, le signore alle finestre salutano. Sventolano le bandiere No Tav. E a tratti incitano i ragazzi. Poi una volta arrivati a Ramats il corteo si deve dividere. «Ci sono due sentieri che portano entrambi davanti alla Maddalena», spiega un signore a un megafono. Il primo è un percorso stretto e ripido. Si scende in fila indiana, stando ben attenti a dove si mettono i piedi. La tensione nell'aria è palpabile. La battaglia si avvicina, anche se nessuno ne parla. Dopo una ventina di minuti si sentono i primi botti. L'odore acre dei lacrimogeni al Cs si sparge nell'aria. Tutti tirano fuori un fazzoletto, una bandana, una maschera per proteggersi dai fumi che irritano occhi e pelle. In mano una bottiglietta di acqua e Maalox, «unico vero antidoto se non vuoi soffocare». Quando si arriva al punto di raccolta molti tirano su i cappucci, infilano le mantelle, gli occhialini da piscina. «Altrimenti è impossibile avvicinarsi». Ma anche così è difficile. Non appena escono dal bosco, i carabinieri sparano i candelotti. E l'aria diventa irrespirabile. Devono arretrare, lanciano le pietre, qualcuno ha anche petardi e botti. I feriti si contano da una parte e dall'altra (a fine giornata 188 tra le forze dell'ordine e 232 tra i manifestanti). Un lacrimogeno trancia un pezzo di orecchio a un ragazzo, a un altro lo colpisce in testa. Ma la battaglia continua, dall'alto arrivano rinforzi, si danno il cambio. Intanto dalle radioline arrivano notizie dagli altri punti. «Hanno sfondato a Giaglione». Oppure: «Hanno tagliato le reti nell'area archeologica». Sono solo tentativi, perché le forze dell'ordine respingono ogni attacco.
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