Ho visto decine di migliaia di persone in partenza da Exilles: c’erano i bambini, i palloncini colorati, lo struzzo e l’asinello, la banda. Ho visto centinaia di uomini e donne avventurarsi velocemente per i ripidi sentieri che portano verso Cels e discendono per la Ramats. Ho visto anziani e bambini dei paesini che salutavano chi si avventurava nei boschi, qualcuno addirittura regalava bibite fresche ai “pericolosissimi giovani dei centri sociali”. Ho visto una signora che preparava sapientemente le dosi di Maalox da mettere nelle bottigliette per rifornire “i ragazzi”. Alla Ramats ci si preparava all’assedio con caschi, guanti, limoni, maschere anti-gas ed occhialini in un’atmosfera surreale, in una deliziosa frazione delle Alpi sotto lo sguardo curioso e protettivo dei pochi residenti, per nulla intimoriti dalla scena. Nell’aria non si respirava né tensione né paura, ma attesa ed impazienza di percorrere gli aspri sentieri. Arrivati a qualche centinaio di metri dalle recinzioni del cantiere, vengono sparati i primi lacrimogeni. Ed è a quel punto che capisco che quella sarebbe stata una giornata indimenticabile. In me e nella stra-grande maggioranza della gente che mi circondava non riuscivo a scorgere timore, ma decisione nel proseguire e nel rispedire al mittente i tentativi di contenimento. Inizialmente serpeggiava l’illusione che si sarebbe riusciti ad invadere il cantiere: le prime recinzioni divelte, le cariche della polizia respinte, i lacrimogeni che si riuscivano a spegnere, i fuochi d’artificio. Invece ne è nato un interminabile tira e molla con gli sbirri che sbarravano l’accesso, durato circa cinque ore: cariche, lanci di lacrimogeni (qualcuno sparato ad altezza d’uomo), malori, getti di idrante, pietre (provenienti da entrambi i lati), feriti…
In queste lunghissime ore tutto ho visto, fuorchè un’organizzazione para-militare. Cosa c’è di più spontaneo di un lancio di pietre?! Anzi, la mancanza di maggiore organizzazione e forza è stato ciò che si rimproverava nei boschi un signore valsusino sulla sessantina: “così non va, siamo troppo…”, mentre con le mani faceva inequivocabili gesti ad indicare una certa debolezza.
Bè, credo che al posto della loro “inaudita violenza”, sarebbe più corretto parlare di “dolce determinazione”.
Perché ho visto DOLCEZZA in ogni genitore che portava per mano il proprio figlio al corteo; in ogni ragazzo che porgeva un limone quando ti mancava il fiato e lo stomaco stava per esplodere; in ogni mano che stringeva un sasso; nella signora che con ansia ti si avvicina e sussurra: “sono preoccupata per ogni ragazzo che c’è là sotto” indicando con il dito i boschi della Ramats; in ogni voce che incitava all’avanzata; nella nonna che preparava pane e nutella per chi rientrava da “sotto”; in chiunque cercava nei modi più vari di spegnere i lacrimogeni; negli occhi dei ragazzi a volto coperto che quando prendevano fiato scoprivi che erano appena ventenni; nei sorrisi di chi risaliva i sentieri con l’affanno; negli abbracci di chi a fine giornata intonava “Dai Monti di Sarzana”; negli applausi e nel supporto dei valsusini a chi tornava dalle “zone calde”.
Dolcezza e DETERMINAZIONE. Ognuno ha partecipato alla giornata con un enorme DETERMINAZIONE. Certo, non c'erano le signore valsusine a sfondare la recinzione (anche se diverse erano presenti nella boscaglia a respirare i lacrimogeni), però si cercava di contribuire all'assedio secondo le proprie possibilità. Aleggiava una grande DETERMINAZIONE nell’affermare collettivamente con i fatti, e non soltanto più a parole, che “A SARA’ DURA”… per loro
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