un commento di Davide Cso Pedro
Se c’è una battaglia politica che nell’ultimo decennio ha assunto i termini di una vera e propria crociata sicuramente il paragone può essere tranquillamente accostato a quella condotta dal Min. Roberto Maroni nei confronti del tifo calcistico.
Dai continui divieti nel poter andare in trasferta all’introduzione della tessera del tifoso, il Ministro dell’interno ha contribuito, sulla falsa riga dei suoi predecessori, a rendere sempre più grigi e vuoti gli stadi italiani, mortificando la passione e il campanile che, una volta, caratterizzavano il gioco più bello e amato del mondo.
Ma che le misure repressive messe in campo per cancellare i gruppi organizzati del panorama ultras fossero solo un terreno di sperimentazione da poter presto esportare in altri ambiti è un ipotesi sostenuta da molti che, in questi giorni, trova ulteriori conferme.
A seguito degli scontri tra forze dell’ordine e manifestanti durante il corteo del 14 dicembre a Roma, il Min. dell’ Interno Maroni, raccogliendo il suggerimento lanciato dal sottosegretario Mantovano, lancia l’ipotesi di estendere il Daspo (acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) alle manifestazioni di piazza.
La proposta, spiegano i burocrati del Viminale, avrebbe come obiettivo applicare il divieto di partecipare a manifestazioni per tutti coloro che si sono macchiati di reati in un medesimo contesto, in modo che i dimostranti, denunciati e rimessi in libertà in attesa di processo, non tornino a partecipare a nuove manifestazioni di piazza.
Il Daspo, infatti, è una misura introdotta con la legge del 13 dicembre 1989 n. 401 e successivamente modificata nel 2007 e viene emanata direttamente da un questore sulla base di una singola denuncia e, quindi, non dopo una condanna penale.
Un vero e proprio provvedimento da Stato di polizia, che riconosce ai questori il potere di limitare per cinque anni la libertà personale di un cittadino sulla base di mere denunce o informative.
Ma non solo: il Daspo può essere disposto anche nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulta “aver tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza o tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica”.
Insomma, se da una foto in circostanze sospette gli investigatori credono di riconoscere un individuo e di ritenerlo pericoloso, eccolo daspato.
Ma, nonostante la palese incostituzionalità della norma, la stragrande maggioranza del ceto politico e dell’opinione pubblica ha sempre mostrato indifferenza nei confronti di una simile e aberrante legge. D’altronde, fino ad adesso ha solo riguardato quei “reietti della società” chiamati ultras.
Peccato che, ora che la galassia del tifo organizzato, stroncata da una repressione che farebbe invidia a qualsiasi regime di stampo cileno, sia sull’orlo della scomparsa, il Min. Maroni, temendo di perdere il principale terreno di propaganda elettorale, ha iniziato a suggerire l’allargamento del progetto.
Si era ipotizzato in primis di darlo ai “giocatori di calcio che si macchiano di atti violenti in campo”, successivamente ai “padri che non educano i figli ad una condotta modello allo stadio”, ora si passa ai manifestanti, ovvero a studenti, precari, cassaintegrati e quel sempre crescente segmento di paese che chiede diritti e tutele e che, invece, in piazza riceve solo manganellate, in barba alla Costituzione che sancisce il diritto ad esprimere le proprie opinioni come uno dei cardini fondanti di questa Repubblica.
Costituzione che, il Ministro Maroni considera evidentemente carta straccia, dato che, in tempi non lontanissimi, è stato anche imputato a Verona come ex capo delle camicie verdi, insieme al altri 44 leghisti, con le accuse di attentato contro la Costituzione e l’integrità dello Stato e creazione di struttura paramilitare fuorilegge.
Processo che non vedrà mai la fine in quanto il reato di associazione a carattere militare è stato abrogato, casualmente, da questo governo nel marzo scorso.
Della serie, impunità per i forti, Daspo per i deboli.
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