martedì 16 novembre 2010

pc quotidiano 16 novembre - le operaie tessili in lotta nel bangladesh

In Bangladesh, ci sono 455 grandi fabbriche tessili che occupano 4 milioni di lavoratori, in maggioranza donne. Le donne rappresentano l’80% della manodopera dell’industria tessile, subiscono aggressioni ed imprigionamenti.
QUESTI OPERAI (UOMINI E DONNE) SONO I PEGGIO PAGATI DEL MONDO, prendono circa 18 euro al mese (meno di un euro al giorno). Durante gli ultimi 5 anni, i beni di prima necessità come il riso, il grano e gli affitti sono aumentati di circa il 43%. I lavoratori iscritti a sindacati nel settore tessile sono circa 100.000 (uno su 40), ma la rivendicazione unitaria di 55 euro al mese ha permesso una maggiore adesione ed una unità nella lotta. Queste officine producono per Wal-Mart, Marks, Spencer, Carrefour, Zara, … Producono per i nostri marchi ! [1]
Il padronato ha “invitato” i dirigenti sindacali ad una riunione proponendo un salario mensile di 33 euro. Se certi sindacati hanno accettato, i sindacati più radicali hanno rifiutato, valutando che questa somma ridicola sia insufficiente alla sopravvivenza dei lavoratori.


I LAVORATORI RESISTONO, bloccano le strade, incendiano le fabbriche e le materie prime, distruggono le macchine. Dall’inizio del 2010, i lavoratori hanno perso la pazienza. Con la crisi, si è aggravato ancor più il deterioramento delle condizioni di lavoro e di sfruttamento, dovute all’aggravarsi della concorrenza tra i paesi. Questa la motivazione di questa esplosione. Da alcuni mesi, gli operai si stanno battendo con la polizia in tutte le città del paese. La polizia è stata rinforzata da una sezione militare speciale (forza rapida di intervento) e da una milizia speciale armata di stanza nei pressi delle officine (Ansars).


I PADRONI DEL TESSILE MINACCIANO… di delocalizzare. Ad un sindacalista inglese, il ministro del lavoro racconta la sua impotenza: “Il problema in Bangladesh è che le multinazionali della grande distribuzione non pagano questi aumenti salariali. Ogni anno, le multinazionali calano i prezzi, e spingono verso il basso anche i salari. Voi dovete controllare le multinazionali, se voi volete aiutare i lavoratori del tessile.” [2]


L’ORGANIZZAZIONE. Il punto debole del movimento, è che non ha una direzione unificata. [3] In Bangladesh, ci sono 6.000 sindacati, in concorrenza gli uni con gli altri, con poche coalizioni sindacali. Il denaro proviene soprattutto dall’Europa o dagli Stati Uniti d’America, ed ecco la lotta per ricevere questi fondi.
Il partito [sedicente] comunista inglese, (giornale Morning Star). Molto riformista, sostiene la lotta degli operai del tessile, ma non ne sostiene le loro azioni più violente. I veri comunisti non possono solo battersi per dei salari migliori, si danno come obiettivo nel corso della lotta la costruzione di un’altra società, e la Storia ha dimostrato che questo non si può fare in maniera legale e pacifica.
Ci sono partiti maoisti, legati alla guerra popolare in India, che partecipano a delle azioni armate, come il PBSP MUG-Bangladesh, ma non sappiamo bene come sia il legame tra la lotta dei lavoratori del tessile e la lotta armata. I lavoratori del tessile del Bangladesh hanno imparato rapidamente nella lotta di classe, la legalità, l’illegalità, la resistenza allo Stato, come si può apprendere in tutta la durata di una vita. Non si può accontentarci di dire che bisogna lottare, bisogna passare ad un'altra tappa della lotta contro le multinazionali mondiali. [4] Sosteniamo la lotta degli operai del tessile in Bangladesh.
Viva l’internazionalismo proletario !


Traduzione a cura del Circolo operaio di Proletari comunisti – Venezia


[1][nel testo originale la parola “nostri” era in maiuscolo, noi la teniamo minuscola perché non siamo così idioti dal pensare alla bandiera nazionale quando si tratta di marchi di aziende capitalistiche, dato che peraltro il capitalismo è il primo motore guerrafondaio della Storia ad aver mosso guerra al concetto di nazionalità, n.d.T.]
[2] [ovviamente il governo del Bangladesh è strettamente legato all’Occidente, ma l’articolista rappresenta una realtà viziata principalmente dalle multinazionali per significare che poi sono esse che dettano legge, e non certo, nemmeno, il governo stesso, n.d.T.]
[3] [anche qui la rappresentazione dell’articolista al problema –la unità del movimento sindacale- astrae dalla storia concreta del Bangladesh nonché in un certo senso anche dalla necessità che ha ogni movimento di svilupparsi dal basso per essere tale, determinando poi una guida, e non certo dandosi la priorità di “unirsi” anche con gli opportunisti ed i venduti; un problema del genere lo abbiamo anche in Italia, n.d.T.]
[4] [qui vediamo come i compagni di “Partisan” non inseriscano mai nel loro articolo il termine “imperialismo”, che delle multinazionali è stato il “naturale” primo prodotto; ciò perché qui i compagni di “Partisan”, civettano con il movimento “noglobal”, che ha orrore del termine “imperialismo”, n.d.T.]

traduzione dei compagni del circolo prol com veneto di un articolo sulla Lotta delle lavoratrici tessili in Bangladesh nel 2010, tradotto da "Partisan"
Le “Canuts” del XXI secolo !
da “Partisan”, novembre 2010 – n.4)


[Il movimento operaio all’inizio del XIX secolo visse un grande passaggio con la lotta dei “Canuts”, ossia degli operai setaioli di Lione]

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