Antimilitarismo, i portuali del Calp: “Siamo finiti in qualcosa di più grosso di noi, ma non ci fermeremo”
In una conferenza stampa convocata stamani i lavoratori insieme a
uno dei legali hanno fatto il punto sulla situazione di un'inchiesta di
cui ancora non si conoscono i dettagli
Genova. “Sicuramente ci siamo infilati in qualcosa
più grosso di noi, in parte consapevolmente in parte forse no. Quello
che sarà non ci spaventa, continueremo le nostre battaglie contro il
transito delle navi cariche di armi nel nostro porto e contro la
presenza di neofascisti e neonazisti in città”. A parlare è Riccardo Rudino del Calp,
uno dei 5 portuali sotto inchiesta per associazione per delinquere
finalizzata, a quanto parrebbe perché le indagini sono corso, alla
commissione di diversi reati legati all’antifascismo militante ma
soprattutto alla battaglia intrapresa due anni fa contro l’approdo a
Genova delle cosiddette navi delle armi.
“Delle indagini ovviamente non sappiamo quasi
nulla – spiega l’avvocato Laura Tartarini – quel che sappiamo è che
vengono elencati un serie di reati collegati alla doppia attività
politica degli indagati da un lato quella antifascista, con
manifestazioni e blitz contro le sedi di estrema destra e dall’altra
quella antimilitarista. Molti di questi fatti hanno avuto un processo
autonomo e in molti casi si sono conclusi con delle assoluzioni. In
altri casi, come i fatti di piazza Corvetto, il processo deve ancora
cominciare: in questo caso l’ipotesi di reato è resistenza e in tutto a
quel lungo elenco è anche l’unico reato contro la persona di tutta
l’elenco”.
In questi mesi i militanti del Calp hanno ricevuto la solidarietà
di tante associazioni e singoli. La decisione di convocare una
conferenza stampa, a cui hanno partecipato anche militanti di Genova
antifascista e i rappresentanti del sindacato Usb a cui il Calp ha
recentemente aderito, è arrivata all’indomani di un episodio
che il Calp giudica “intimidatorio”: “Un ragazzo del Calp non indagato
che aveva le chiavi del container – racconta José Nivoi, un altro dei 5
portuali sotto inchiesta – il giorno del dissequestro è stato preso
dalla Digos portato in Questura e tenuto due ore per essere sentito come
teste, senza ricevere alcun avviso i merito come normalmente avviene”.
Tra le ipotesi di reato contenute nella relazione della Digos di Genova ci sarebbe anche quello di attentato a mezzo di trasporto:
il riferimento dovrebbe essere relativo a un episodio di lancio di
alcuni razzi luminosi verso la fiancata di una delle navi della flotta
Bahri. “Parlano di un ordigno micidiale – dicono i portuali del Calp –
quando non è affatto così, invece delle armi, del proiettili e dei
materiali pericoli che vengono caricati a bordo di navi e che in caso di
incidente potrebbero esplodere nessuno vuole parlare né verificare
anche se del traffico di armi ormai si occupano anche i media a livello
nazionale”.
A chiudere la conferenza stampa il presidente del circolo Cap di via Albertazzi Danilo Oliva, 84 anni, ex portuale ed ex sindacalista della Cgil.
Oliva ha ricordato il 30 giugno e le storiche battaglie nel porto di Genova contro la guerra e le dittature: “C’è una tradizione in porto e io vedo una continuità con questi ragazzi.
Noi abbiamo boicottato le navi americane durante la guerra in Vietnam,
il rame cileno ai tempi di Pinochet, che abbiamo supportato i compagni
spagnoli ai tempi di Franco e i compagni in Grecia all’epoca dei
colonnelli. Non voglio dire che noi eravamo meglio di voi oggi, ma per
noi era più facile perché oggi c’è tanto grigio e la confusione nel
mondo del lavoro è tanta”.
“Quando penso ai bilanci di un’azienda militare come Leonardo penso che andare sotto le navi Bahri
a protestare possa essere inutile perché in queste vicende ci sono
troppi interessi economici e anche un ricatto occupazionale, ma in
realtà credo invece che continuare a protestare davanti a quelle navi
sia necessario. E lo stesso vale per l’antifascismo: io c’ero il 30
giugno e c’ero a Corvetto e sono sicuro che se avessi 25-30 anni sarei
uno dei 56 indagati”.
Lui e quattro suoi compagni di lavoro il 24 febbraio di quest’anno
sono stati perquisiti dalla Digos all’alba: a casa gli hanno portato via
di tutto, compresi i pc di fidanzate e figli. Le perquisizioni si sono
estese sul luogo di lavoro con controlli degli armadietti e soprattutto
di un container utilizzato come deposito. Le perquisizioni erano
formalmente per reati ‘bagatellari’ che in caso di condanna si risolvono
con una multa, ma quasi per caso l’avvocato che li difende ha scoperto
che a monte di quell’indagine ce ne sarebbe una molto più pesante in cui
si ipotizza il reato appunto di associazione per delinquere.
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