La produzione dei vaccini è un
esempio della cooperazione a livello mondiale di lavoratrici e lavoratori (tecnici
e scienziati) sia per il reperimento delle materie prime che per la loro trasformazione
in prodotto finito, che deve essere conservato per poter essere trasportato. Questo
implica la produzione dei contenitori e dei tappi (vetro, gomma, acciaio ecc.,
per non parlare della stessa fabbrica, insomma un altro ciclo di produzione
mondiale). L’articolo che riportiamo
sotto per intero (che non cita questo aspetto), pubblicato dal Sole24Ore, di
cui sottolineiamo alcuni passi, spiega bene questo meccanismo.
Un meccanismo, quella della
produzione collettiva mondiale, che vale per la maggior parte dei prodotti che si
utilizzano, a cominciare da quelli elettronici.
In questo senso risultano
ridicole, cioè interessate dal punto di vista economico capitalistico, le
discussioni sulla “proprietà intellettuale”, cioè, in questo caso, sulla
proprietà dei brevetti. La proprietà dei brevetti è una imposizione che porta
ad ancora più morti in giro per il mondo.
***
Migliaia di materiali e centinaia
di fornitori per arrivare alla fiala
La produzione
Nel sito Pfizer in Belgio i
componenti giungono da 86 fabbriche di 19 Paesi
Ciò che vediamo, alla fine, è solo una siringa contenente il vaccino per Covid-19 pronto per essere iniettato. O magari la nostra conoscenza inizia quando osserviamo le immagini degli stock di grandi contenitori che sbarcano da un camion. In realtà, la catena del valore [viene chiamata così dagli economisti l’insieme dei passaggi che aggiungono lavoro umano, fornito dalla classe operaia, alle materie prime] che sta alla base di questo strumento fondamentale di protezione dal virus Sars-Cov-2
inizia da molto lontano, coinvolgendo mezzo mondo. Perché per fare un vaccino occorrono, oltre a tecnologie sofisticate, competenze di altissimo livello e soprattutto una rete di interpreti che, per i loro tassello, contribuiscono a creare il prodotto finale.Basta vedere le cifre di uno dei
quattro siti produttivi di Pfizer, quello di Puurs in Belgio, dove nasce un
vaccino a mRNA. Il “puzzle” nasce grazie al lavoro di oltre 280 materiali,
forniti da 86 siti di 19 diversi Paesi, per arrivare alle circa 10-15
materie prime che sono fondamentali per produrre il vaccino e giungere fino ai
più di 40 test di controllo qualità che vengono effettuati su ogni lotto
finito. Grazie a questa combinazione di componenti, tutti monitorati dalle
Agenzie Regolatorie, si arriva poi al prodotto finito. Solo qualche mese fa il
Wto, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, ha riassunto in un documento
cifre molto simili, riportando la stima della Federazione Internazionale dei Produttori
e delle Associazioni Farmaceutiche.
Un impianto tipo per la produzione
dei vaccini può utilizzare addirittura migliaia di materiali diversi che giungono
da circa 300 fornitori di una trentina di nazioni. Il tutto, ovviamente, senza
dimenticare il capitale umano [la borghesia, la classe dominante di
questa società, vede dappertutto solo il “capitale”, nelle sue differenti
componenti: le lavoratrici e i lavoratori, quelli che producono tutto, sono “capitale
umano”], basilare (!) in termini di competenze e non solo di
tecnologia. Solo pochi giorni fa, come riportano alcuni quotidiani elvetici, il
sito di produzione di Lonza per Moderna di Visp in Svizzera ha lamentato la
difficoltà di individuare figure professionali per la sua attività.
Tornando al vaccino, quelli disponibili
sono a RNA-messaggero e a vettore virale, oltre a questi due meccanismi che
debbono indurre la risposta del sistema immunitario scatenando la produzione di
anticorpi specifici nei confronti di Sars-Cov-2, ovviamente ha altri componenti
che debbono essere assemblati. Ad esempio, la molecola di RNA-messaggero che ha
il compito di “insegnare” al sistema difensivo a rispondere deve essere
inglobata in specifici “contenitori” invisibili, ovvero liposomi, particelle
lipidiche molto piccole. Poi occorre ricordare che oltre all’acqua sono
necessari ingredienti inattivi, altre materie prime, ad esempio sotto forma di
molecole di lipidi, aminoacidi o sali minerali. Il sito di produzione del
vaccino, quindi, diventa una sorta di “aggregatore” di componenti diverse,
tutte ipercontrollate, che vanno a configurare il mosaico finale.
La situazione non cambia se si
considerano i preparati a vettore virale, in cui un altro virus fa il “trasportatore”
delle componenti di Sars-Cov-2 (i cosiddetti antigeni) verso cui si vuole
stimolare la risposta difensiva. Nel caso di Astra-Zeneca il vaccino è composto
da un adenovirus di scimpanzè incapace di replicarsi ma modificato per
trasportare le informazioni genetiche destinate a produrre la proteina Spike
del virus Sars-Cov-2, e ovviamente c’è la necessità di eccipienti per assicurare
la stabilità e la sicurezza del preparato. Stessa strategia per il vaccino di Johnson
& Johnson: in questo caso si utilizza un altro adenovirus modificato che
codifica per la proteina spike di Sars-Cov-2, con ingredienti aggiuntivi.
Poi inizia il viaggio del
vaccino verso l’utenza: entra in gioco il valore della logistica e della
distribuzione, con specifica attenzione al mantenimento della catena del
freddo in base alle necessità del singolo vaccino, in un percorso monitorato
attimo per attimo perché l’obiettivo, oltre all’efficacia, è la sicurezza.
Il Sole 24 Ore - 8 maggio ’21
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