Il fuoco ha investito diverse baracche dove vivevano i migranti, impegnati per lo più in lavori agricoli.
Il migrante morto stava tentando di ripararsi dal freddo pungente della notte e non si è accorto delle fiamme. L’area su cui sorgeva la baracca, fatta di qualche lamiera di ferro e cartone, è all’interno di un pezzo di terreno dove c’è anche una cisterna con l’acqua. Tra i resti dell’incendio anche una bombola di gas che non è scoppiata.
Ancora una volta, non di fatalità si tratta, ma di morte annunciata. Sono le condizioni di vita bestiali che prima o poi portano a incendi, distruzioni e morte.
Ma su questo, tutte le richieste dei migranti e realtà solidali di case decenti vicino ai luoghi di lavoro per i braccianti immigrati, non hanno risposta; l'unica risposta dello Stato e delle Istituzioni locali sono sgomberi delle baraccopoli e al massimo trasferimenti in campi più attrezzati ma sotto controllo, negando dignità, diritti e vita normale.
Un esempio è quello che sta avvenendo a Borgo Mezzanone in provincia di Foggia, denunciato dai
braccianti immigrati e Campagne in lotta."In queste ultime settimane si è riaccesa l’attenzione sulla pista di borgo Mezzanone e sul progetto di sgombero (o “bonifica”) che nell’ultimo anno era stato sospeso a causa dell’emergenza covid. Il progetto è stato reso pubblico con maggiori dettagli: nato dalla collaborazione tra la regione Puglia, la provincia e la prefettura di Foggia, avrà come responsabile per la gara per i lavori Invitalia. L’obiettivo rientra in un copione già scritto e già visto molte volte: sgomberare l’insediamento abusivo, trasferire gli attuali abitanti in strutture temporanee, ritrasferirli nella “cittadella dell’accoglienza” che sarà costruita sulla pista, in parte ex novo, in parte tramite la ristrutturazione del Cara adiacente. La voce degli attuali abitanti del ghetto è, ancora una volta, assente e il trattamento loro riservato cela in maniera goffa il razzismo di chi li considera pacchi da spostare a proprio piacimento. Razzismo che invece il primo cittadino di Foggia non tenta nemmeno di nascondere, criticando il progetto perché “vorrebbe dire sanare la posizione di numerosi clandestini che hanno un permesso di soggiorno scaduto e che si riversano a Foggia bivaccando per le strade cittadine”. 3,4 milioni (dal Contratto di Sviluppo per la Capitanata) e 150 mila euro (dal dipartimento Libertà civili e Immigrazione) investiti (o meglio, sprecati) non per dare delle risposte a chi da anni lavora in questi territori e da anni lotta chiedendo di vivere in case vere (non in container, non in centri di accoglienza, non in tende ma CASE), non per rendere sicure le strade e i mezzi trasporto con cui i lavoratori tutti i giorni vanno al lavoro, ma per creare l’ennesimo centro in cui la vita dei lavoratori possa essere controllata e repressa. Tutto questo durante una pandemia, la cui fine non è certo imminente, in una regione ancora “arancione”: è evidente che la salute di alcune persone conta meno di quella di altre".
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