Questa sentenza del Tar riporta al centro della discussione l'effettiva necessità della lotta per la difesa della salute, del lavoro e dell'ambientalizzazione della fabbrica.
E’ stata pubblicata oggi la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima, sui ricorsi presentati da ArcelorMittal Italia e Ilva in Amministrazione
Straordinaria, avverso l’ordinanza sindacale contingibile ed urgente del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci del 27 febbraio 2020, avente ad oggetto “Rischio sanitario derivante dalla produzione dello stabilimento siderurgico ex Ilva – Arcelor Mittal di Taranto – emissioni in atmosfera dovute ad anomalie impiantistiche – Ordinanza di eliminazione del rischio e, in via conseguente, di sospensione delle attività”.Il Tar di Lecce ha respinto entrambi i ricorsi, che sostenevano da un lato come il Sindaco avesse emanato un’ordinanza al di fuori del perimetro legislativo degli artt. 50 e 54 del D. Lgs 267/2000, ovvero il TUEL che consente al primo cittadino di emanare ordinanza contingibili ed urgenti per la tutela sanitaria della popolazione, mentre dall’altro evidenziavano violazione e falsa applicazione del D. Lgs 155/2010 e degli articoli 29 quater e 29 decies del D. Lgs 152/06; violazione Legge Regionale n. 32/2018 e della DGR. 805/2019; nonché eccesso di potere per travisamento in fatto e in diritto, carenza istruttoria e di motivazione, violazione del principio di proporzionalità e del principio di precauzione; incompetenza assoluta e straripamento di potere.
Arcelor Mittal Italia ha però già preannunciato ricorso al Consiglio di Stato: “In relazione alla sentenza emessa dal Tar della Puglia, ArcelorMittal Italia comunica che promuoverà immediatamente appello presso il Consiglio di Stato contro la chiusura dell’area a caldo dello stabilimento di Taranto”, si legge in una nota della società.
Come si ricorderà, a fronte degli eventi emissivi dal camino E-312 dell’agosto 2019 e rispetto agli eventi notturni del febbraio 2020, il Sindaco ordinò all’azienda di provvedere “entro 30 giorni alla individuazione delle criticità ivi indicate ed alla loro eliminazione, prescrivendosi – in difetto – che entro i successivi 30 giorni si proceda – laddove necessario – alla sospensione delle attività ricollegabili agli impianti asseritamente fonte delle immissioni e del conseguente rischio sanitario per la popolazione, con i tempi tecnici necessari a garantirne la sicurezza“.
Come potrete leggere nella sentenza che alleghiamo all’articolo, dopo aver ricevuto i documenti richiesti ad ARPA Puglia, ISPRA e ministero dell’Ambiente sugli eventi in questione, il Tar ha ripercorso quanto avvenuto negli ultimi anni, riportando i dati dello studio Sentieri, riprendendo la sentenza CEDU, ed evidenziando i ritardi sull’applicazione delle prescrizioni previste dall’AIA del 2012 e del Piano Ambientale del 2017. Sottolineando come la sentenza della Corte Costituzionale del 2013, che imponeva il rispetto contemporaneo dei vari diritti toccati dalla vicenda Ilva (salute, ambiente e lavoro), a fronte di quanto avvenuto negli ultimi anni non sia stata rispettata, essendo stato il diritto alla salute sacrificato a discapito della prosecuzione di un’attività produttiva proseguita con l’utilizzo di impianti dell’area a caldo ancora privi di tutti i lavori previsti.
Quindi per il Tar la situazione in essere, legata agli eventi emissivi citati nell’ordinanza, legittimava il Sindaco ad agire secondo le norme previste, in quanto anche il rispetto dei limiti emissivi previsti dalla legge non comporta la certa e conseguente tutela sanitaria della popolazione.
Pertanto, ArcelorMittal e Ilva in AS secondo il Tar hanno avuto torto nel dichiarare illegittima l’ordinanza che chiedeva di individuare le fonti emissive che avevano causato gli eventi in questione, e quindi di intervenire sugli stessi o se impossibilitate ad attuare lo spegnimento di quegli impianti.
Questo ha spinto il Tar a rigettare i ricorsi ritenendoli “infondati e i motivi aggiunti rispettivamente proposti sono inammissibili per difetto di interesse prima ancora che infondati e, pertanto, entrambi i ricorsi cosi come integrati dai motivi aggiunti, vanno complessivamente respinti” si legge nella sentenza. Rileva il Collegio che pertanto “il termine assegnato nella misura di giorni 60 (sessanta) per il completamento delle operazioni di spegnimento dell’area a caldo, nei termini e nei modi esattamente indicati nella stessa ordinanza sindacale impugnata, deve ritenersi decorrere ex novo dalla data di pubblicazione della presente sentenza, in quanto medio tempore sospeso per effetto della sospensione cautelare dell’efficacia del provvedimento contingibile e urgente”.
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