Alberto Dal Poz (Federmeccanica): "La competenza come leva: ecco la vera novità del contratto dei metalmeccanici"
Il leader degli imprenditori del settore chiede a
associazioni, Pmi e sindacati di sforzarsi nell'applicare "uno strumento
di svolta". E spiega: "L'aumento in busta è un investimento sul domani:
non possiamo chiedere senza pensare di scommettere sulle persone". Alla
Fiom risponde: "Il futuro si gioca su tecnologia e innovazione più che
sulla vicinanza a uno stabilimento"
“Che ci sia un momento di difficoltà, come mette in luce l’indagine della Fiom,
è chiaro. Che ci sia stata una riduzione della produzione e della forza
lavoro anche. Ma è normale in un distretto che è la patria delle grandi
serie e dei grandi numeri, che siano modelli piccoli, Suv o premium.
Per questo alcuni paragoni, soprattutto con la Motor Valley dell’Emilia
Romagna, non mi paiono azzeccati per noi”. Alberto Dal Poz, presidente nazionale di Federmeccanica, è reduce del rush finale per la firma del contratto metalmeccanico. Una sigla definita da tutti i fronti storica.
Anche per lei la Motor Valley era un esempio da seguire. Torino e il Piemonte si devono ispirare, ma non paragonare?
“La Motor Valley produce altri numeri rispetto a
quelli torinesi. E le aziende hanno una trasversalità che noi non
abbiamo. Anzi. Dovremmo imparare da loro. Attenzione. Torino è sempre
stato il distretto della specializzazione. E io difendo la
specializzazione, ma credo che ora possa essere completata con una
trasversalità che invece caratterizza da sempre la Motor Valley
dell’Emilia Romagna. Solo quando avremo raggiunto questa trasversalità
allora ci si potrà paragonare”.
Cosa intende per trasversalità?
“Una trasversalità di settori. Io fornisco
l’automotive, ma non solo. La produzione potrebbe avere su altri
comparti, come il ferroviario e l’energia. Insomma, trasversale nel vero
senso della parola. Per raggiungere questo livello bisogna investire in
competente, soprattutto umane, e in tecnologie all’avanguardia. E poi
servono le giuste scelte politiche che incentivano questo cambio di
prospettiva”.
Intende finanziamenti e sostegni economici?
“Non solo. Intendo scelte che possano influenzare
seriamente anche la politica industriale. Biden ha deciso di incentivare
e rendere di fatto obbligatorio il passaggio alle auto elettriche.
Abbiamo idea di cosa vuol dire questo? E se l’esempio verrà seguito da
altri”.
A Torino siamo lontani dalla trasversalità?
“No. Ci sono già esperienze. Pensiamo alla Teoresi
che ora è diventata uno dei primi dieci partner di Amazon per
l’assistente vocale Alexa, ma è una società di ingegneria che lavora in
svariati settori, dall’aerospazio al ferroviario, dall’automobilistico
alle telecomunicazioni e media”.
Stiamo parlando di ingegneria. Secondo la
Fiom, con Mirafiori e Grugliasco con le produzioni al minimo, l’indotto
si impoverisce e va altrove. Cosa ribatte?
“Stellantis è uno stimolo in più per indurre
l’indotto a farsi trovare pronto, qualitativamente e tecnologicamente.
Parlando con i colleghi in queste settimane sono molte le multinazionali
che guardano con interesse all’Italia e al distretto torinese. Io
comprendo quello che la Fiom vuole dire, ma bisogna cambiare
prospettiva. Stellantis non è più Fca, come già Fca non era più Fiat. E
poi essere vicini di casa di uno stabilimento non garantisce la
possibilità di fornirlo. Altrimenti la sfida sarebbe molto facile. Non è
una condizione indispensabile, può essere utile, ma non necessaria. La
partita si gioca su un altro livello, quello della capacità tecnologica e
dell’innovazione, non solo del chilometro zero”.
Addio ai grandi numeri?
“No, però i numeri non si contano solo, si pesano. E
avere la 500 elettrica non vuol dire avere solo una produzione che deve
garantire un certo impiego, ma significa spalancare una prospettiva per
l’indotto su tutto il fronte elettrico e della transizione energetica”.
Puntare in alto per cercare di mantenere un minimo di produzione?
“Per evitare che un distretto si indebolisca,
bisogna puntare in alto. A fianco della manifattura, della produzione,
ci vuole l’alta ricerca, la progettazione e ingegneria. Così tutto si
tiene. I grandi numeri arrivano. Anche il sistema di produzione deve
puntare verso l’alto, per questo, secondo me, la grande rivoluzione di
questo contratto sta nel rinnovo di un inquadramento delle competenze e
delle qualifiche che aveva radici negli anni ’70”.
Come cambia?
“Si riconosce il valore e la crescita professionale
con diversi gradi di responsabilità in ogni luogo e settore, dalla
fabbrica al centro di ricerca. La formazione diventa una leva
importante. Non c’è solo un aspetto economico”.
Centoventidue euro di aumento è una buona cifra. No?
“Per noi rappresentano un investimento sul futuro.
La classe imprenditoriale è pronta a scommettere. Non possiamo chiedere
senza pensare di investire sulle persone. Ora viene la parte più
difficile. Imprese e lavoratori, anche in Piemonte, hanno a disposizione
un nuovo strumento con cui lavorare, utile per affrontare le
trasformazioni in atto. Lo usino”.
È un appello?
“A tutti quanti, Unioni industriali, grandi e
piccole aziende, organizzazioni sindacali, ci deve essere uno sforzo per
fare propri gli elementi non banali di innovazione. Un contratto
interessante anche per i nuovi gruppi industriali che si sono formati o
si stanno formando”.
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