Rendere disponibili vaccini e cure farmacologiche per tutti, nel più breve tempo possibile. Superando le limitazioni su brevetti e proprietà intellettuale, utilizzando clausole già presenti nei trattati internazionali. L'iniziativa dei cittadini europei No profit on pandemic si propone questo obiettivo: ne abbiamo parlato con Vittorio Agnoletto, referente per l’Italia di questa iniziativa, medico e professore a contratto all’Università degli Studi di Milano, dove insegna “Globalizzazione e Politiche della Salute”.
Professor Agnoletto, qual è la situazione attuale della legislazione sulla proprietà intellettuale di farmaci e vaccini?
Tutto dipende dagli accordi TRIPs, firmati il primo gennaio 1995 dall’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto, World Trade Organization). Questi accordi valgono per materie di ogni tipo, in questo caso sui farmaci, e stabiliscono che ogni azienda farmaceutica che mette sul mercato un nuovo farmaco o un nuovo vaccino ha il brevetto in esclusiva per 20 anni. Questo vuol dire poter agire per un ventennio in una situazione di monopolio: poter decidere dove, come e quando produrre e anche cosa
fare del brevetto. Per esempio autorizzando qualcun altro, attraverso un accordo commerciale tra la propria azienda e un’altra, a produrre un vaccino o un farmaco: è quello che Pfizer sta facendo ora con Sanofi.Quindi non si scappa da queste regole sui brevetti?
Affatto: c'è un precedente storico interessante. Nel 1997, quando Nelson Mandela diventa presidente del Sudafrica, si trova un Paese con il 35% circa delle donne fra i 14 e i 40 anni sieropositive per il virus dell’Aids. Mandela cerca di procurarsi farmaci antiretrovirali attraverso un accordo con le multinazionali farmaceutiche. Ma questo accordo è impossibile, perché i prezzi sono troppo alti, e quindi Mandela dà indicazione al Congresso sudafricano di approvare una legge che autorizzi le aziende del Paese a produrre farmaci contro l’Aids. A quel punto 39 multinazionali farmaceutiche, capitanate dal Glaxo-Wellcome, avviano una denuncia all’interno del Wto contro il governo sudafricano, accusando la nazione di non aver rispettato gli accordi TRIPs. Il Wto intima al Sudafrica di fermare la produzione.
Nell’aprile del 2001 le multinazionali ritirano la denuncia e si apre un piano di trattativa col governo sudafricano, dove questo riesce a fare qualche piccolo passo avanti. Pochi mesi dopo a Doha, dove c’è l’assemblea generale della Wto, partendo proprio dalla vicenda sudafricana si stabilisce il diritto degli Stati, in determinate condizioni, come povertà e difficoltà economiche e di fronte a una pandemia che mette a rischio la vita dei propri cittadini, di derogare a queste regole.
La Dichiarazione di Doha dice che gli Stati devono garantire il diritto alla salute dei propri cittadini: la tutela dei brevetti non può mettere in discussione questo principio.Come conseguenza di questa Dichiarazione, vengono inserite alcune clausole di garanzia all’interno dell’articolo 31 dei TRIPs. Quella che a noi interessa è la clausola di garanzia sulle licenze obbligatorie, che stabilisce appunto che in una situazione di pandemia e difficoltà economica i Paesi hanno l’autorizzazione a produrre direttamente i farmaci salvavita, scavalcando il brevetto.
Questo è a mio parere lo strumento che va utilizzato oggi. Sarebbe importantissimo se gli Stati europei, di fronte alla condizione attuale, ricorressero alla licenza obbligatoria. So benissimo che il ricorso a questa clausola non è automatico: i Paesi devono presentare documentazione, dichiarare che hanno difficoltà economiche e che necessitano di farmaci salvavita alla Wto, che poi discuterà.
Questa richiesta andrebbe inoltre a incrociarsi con quella già presentata lo scorso autunno da India e Sudafrica, sempre in sede Wto, per realizzare una immediata moratoria su brevetti per vaccini e farmaci anti-coronavirus. Nel dicembre 2020 la Wto ha rifiutato la richiesta di India e Sudafrica di avere un “fast track” su questo tema proprio perché c’è stata l’opposizione rumorosa dell’amministrazione Trump e quella silente della Commissione europea. Quindi adesso questa discussione è calendarizzata nella prossima discussione dell’assemblea Wto prevista per marzo.
Mettendo insieme queste due iniziative si può arrivare a un accordo con le multinazionali. Intendiamoci, nessuno vuole mandare in deficit le multinazionali stesse. Le aziende farmaceutiche avranno un risarcimento economico, ma con una percentuale di profitti limitata rispetto a quelli stratosferici che stanno realizzando in questo periodo, partendo dal punto che non ci sarà più il monopolio su quel brevetto. E ricordiamoci che quando si parla di brevetti si parla anche di know-how.
Quali sarebbero le conseguenze pratiche?
Questo permetterebbe di aumentare immediatamente la produzione di vaccini e farebbe sì che anche industrie nazionali possano produrre vaccini senza aspettare eventuali accordi commerciali.
Come si può agire per ottenere questo obiettivo?
Con l’Iniziativa dei cittadini europei (Ice), che io e altre 8 personalità europee abbiamo pensato. La Commissione finora ci ha detto che questo argomento è sottoponibile a un Ice. Dobbiamo arrivare a un milione di firme in un anno ma ovviamente prima raggiungiamo l’obiettivo meglio è; siamo partiti il 30 novembre 2020. L’obiettivo per l’Italia è 180mila firme, anche se ne sarebbero sufficienti 150mila. In pratica, chiediamo tre cose alla Commissione europea: la prima è che i Paesi possano utilizzare le licenze obbligatorie senza che la Commissione possa bloccarle, come ha fatto in passato. La seconda è che l’Unione europea appoggi la proposta di Sudafrica e India per una immediata moratoria sui brevetti. Il terzo punto, che dovrebbe essere una cosa assolutamente logica, ma purtroppo non è stato così, è che la Commissione europea rimetta in discussione gli accordi con le multinazionali partendo dal presupposto che se un farmaco è stato prodotto anche grazie ai soldi pubblici, il farmaco o vaccino abbia un brevetto pubblico. Non si capisce infatti perché l’Unione europea debba avere investito nel favorire la ricerca delle aziende, quando poi i brevetti rimangono solo nelle mani delle aziende stesse.
Aggiungo che questa iniziativa ha un comitato italiano, di cui io sono portavoce, con all'interno oltre 40 realtà, dai sindacati (Cgil, Cisl, Uil e altri) ad associazioni (Libera, Gruppo Abele, Emergency, Acli, Arci…). Uno schieramento insomma molto ampio.
Professor Agnoletto, qualora gli obiettivi della vostra iniziativa venissero raggiunti, cosa succederebbe?
Succederebbe che tutte le aziende private e tutte le strutture pubbliche che hanno le tecnologie adatte o che siano in grado di riconvertire in tempi brevi le proprie tecnologie, potrebbero essere in grado di produrre il vaccino e di produrne una quantità decisamente superiore.
Ma queste tecnologie sono complicate e costose?
Non sono semplicissime, ma sono accessibili a tutti quei Paesi che hanno tecnologie sviluppate - come noi in Italia - e a tutte le varie aziende capaci di fare dei processi di riconversione, che sono comunque abbastanza veloci.
Ovviamente queste tecnologie non sono presenti nei Paesi più poveri, ma esiste una seconda clausola di salvaguardia, oltre a quella sulle licenze obbligazione. Riguarda l’importazione parallela che riguarda i Paesi poverissimi che non hanno la tecnologia per poter produrre direttamente i farmaci, ma che potranno acquistarli direttamente a prezzi di produzione da altri Paesi, senza doversi rivolgere alle multinazionali.
Ma questo sistema azzererebbe i profitti delle multinazionali per queste tipologie di farmaci?
Calma, non è che si viva sulla luna. Farebbe diminuire sì i guadagni delle multinazionali del farmaco, ma perché con la licenza obbligatoria vi sarebbe una trattativa complessiva con le multinazionali. Si analizzerebbero quanti sono i costi sostenuti, si farebbe una valutazione sui profitti e si agirebbe di conseguenza. Chiariamo una cosa: di mezzo c’è la vita delle persone.
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