mercoledì 21 ottobre 2020

pc 21 ottobre - L’impero ArcelorMittal - Sfruttamento e morte: non solo all’ex Ilva di Taranto.

    - ringraziamo 

La presentazione del dossier della redazione di «Proletari comunisti»

PRESENTAZIONE

Questo dossier, che abbiamo realizzato, anche con l’aiuto di materiali di altri, vuole essere una radiografia sul campo dell’impero ArcelorMittal, non solo fornendo una serie di informazioni ma facendo uno sforzo per documentare l’altra faccia dell’impero Mittal, cioè cosa succede nelle file della classe operaia, delle masse popolari là dove è presente questo impero.

Ci siamo avvalsi di documentazione che proviene da realtà sindacali associative a livello internazionale che hanno animato e documentato la lotta sul lavoro o sull’ambiente nei territori dove è presente ArcelorMittal. Nello stesso tempo ci siamo documentati più dettagliatamente circa le tendenze sindacali esistenti negli stabilimenti ArcelorMittal in Europa. Stabilimenti in cui in generale non c’è il sindacalismo alternativo, esistono le organizzazioni sindacali ufficiali, esiste un coordinamento internazionale dei delegati Fiom e consimili.

L’altra faccia dell’impero Mittal è un realtà che conosciamo da tempo. Non solo perché sono anni che operiamo alla ex-Ilva di Taranto e abbiamo seguito l’evoluzione e lo sviluppo della situazione all’interno di questa grande fabbrica, ma negli anni passati abbiamo seguito la storia dell’Italsider di Bagnoli, dove vi era un movimento operaio che era da riferimento per tutti gli operai delle fabbriche Italsider e non solo, e negli anni più recenti l’Ilva di Genova.

Ci siamo sempre occupati di questa realtà siderurgica in termini di “impero”, e non a caso avevamo già fatto anni fa una sorta di radiografia dell’impero Riva in Italia e nel mondo. Si può dire che, da impero a impero, le cose non sono cambiate in maniera travolgente se non nelle dimensioni. Con Riva avevamo

sfruttamento, morti in fabbrica, inquinamento, con ArcelorMittal abbiamo ancora, nella sostanza, a tutte le latitudini sfruttamento e morti in fabbrica. Questo non vuol dire che l’impero Mittal è la stessa cosa dell’impero Riva. Non lo è per dimensioni, ArcelorMittal è oggi uno dei più grandi imperi dell’acciaio, con 60, tra diretti e controllati, stabilimenti nel mondo.

Nel misurarsi con un grande impero industriale o si ha una visione internazionale che guarda al mondo, oppure si prendono delle cantonate clamorose. Pensare di giudicare una strategia industriale attraverso l’analisi di un singolo stabilimento, sia pure importante come quello di Taranto, è un errore di fondo che purtroppo a Taranto è generale. In questo senso, ritornare al centro della questione Ilva, non come questione Taranto ma come questione dell’acciaio, della crisi mondiale, della sovrapproduzione, del sistema mondiale che caratterizza la siderurgia come tutti gli altri comparti industriali, è lo sforzo difficile ma necessario.

Anche perché ad un impero mondiale si risponde con la lotta internazionale. Senza la lotta internazionale della classe operaia in tutto il mondo e della classe operaia all’interno dei grandi complessi industriali, i sindacati si muovono come gattini ciechi, partecipano alle guerre commerciali, alle contese tra i grandi poli industriali e si schierano con un padrone anziché con un altro.

E questa è purtroppo una caratteristica storica del movimento operaio soprattutto occidentale, che soprattutto nelle fasi di crisi e di guerre è passato armi e bagagli, nelle sue espressioni ufficiali, nel campo della borghesia, nel campo dei padroni.

Al dossier abbiamo aggiunto un’appendice su “La crisi mondiale della siderurgia”, traendo le parti che ci servivano di più a fotografare la questione dal lavoro molto ampio di alcuni compagni “Gruppo di lavoro 21 febbraio 1948”.

C’è da dire che il sistema ArcelorMittal è dentro un sistema mondiale ma ha una sua “casa madre”. Mittal è indiano, è uno dei grandi capitalisti operanti in questo paese che ha utilizzato la base del suo potere in India e del sistema produttivo che c’è in India per accumulare quelle ricchezze che gli hanno permesso poi di camminare come un carro armato nella scena mondiale, e attraverso processi di fusioni e concentrazioni arrivare a quello che oggi è l’impero ArcelorMittal. E attraverso questo cammino che parte dall’India, arriva in Italia, arriva a Taranto.

Un impero che nasce in India ha lì la sua base materiale, che significa legami tra Mittal e il governo indiano. Se qualcuno osserva con attenzione che cosa succede al G20, soprattutto, o ai vertici di Davos dove si raccolgono gli industriali e i governi di tutto il mondo, vedrà che il premier indiano attuale, il fascista indù Modi, sempre è accompagnato da Mittal e sempre Mittal partecipa in qualche forma a questi vertici dove si decidono i destini economici del mondo e dove si manifestano virulente le contraddizioni della situazione economica e non solo nel mondo. Mittal, attraverso il governo indiano, ha quindi un peso rilevante in tutti gli eventi economici del mondo.

Il dossier dedica, quindi, una parte all’India. Mittal per costruire le sue fabbriche ha condotto un’operazione di occupazione del territorio, di devastazione ambientale-territoriale che lì si è tradotta nell’espulsione di intere popolazioni ma che ha trovato anche una forte resistenza da parte delle stesse popolazioni. In alcuni casi l’ascesa dell’impero Mittal coincide proprio con lo sviluppo delle lotte delle popolazioni e in particolare dei maoisti. In diverse realtà i maoisti sono stati un fattore decisivo dell’organizzazione della resistenza popolare, che non è, come viene presentata, una resistenza alla industrializzazione necessaria di un grande paese, com’è l’India che cerca il suo posto del mondo, ma a quel processo che chiameremmo di accumulazione originaria del capitalismo che cammina come in ogni parte del mondo, sulla pelle dei popoli, della natura ecc.

In questo senso il nostro dossier è un’arma, un’arma per leggere l’altra faccia di questo pianeta e, attraverso la lettura di questa altra faccia, avere gli strumenti per vedere perché in ogni realtà la fenomenologia dell’ascesa dell’ArcelorMittal è stata più o meno la stessa.

Uno dei temi sollevati dal dossier è che ArcelorMittal è enormemente più importante, più forte dei governi con cui si è misurato. In un certo senso è uno scontro impari tra un grande industriale e governicchi che non possono che assecondarne, con balbettii e da giochi di saltimbanchi, gli interessi. Tutto ciò è già avvenuto in tutti i paesi in cui ArcelorMittal si è imposto – e il dossier si occupa di una parte di queste realtà, non tutte, dove vi è stato un impatto abbastanza simile a quello visto a Taranto. Non stiamo parlando di un impero che fa “strage” laddove esistono condizioni semplificate per la sua azione ma di un impero della concorrenza mondiale, del mercato mondiale, che anche negli Stati Uniti ha una presenza attiva e anche lì con una serie di problematiche.

ArcelorMittal è presente in Sudafrica, anche se qui recentemente ci sono stati fenomeni rilevanti di crisi e uno degli stabilimenti è stato messo in discussione. Il dossier si occupa della situazione di ArcelorMittal in Bosnia, abbastanza simile a quella di Taranto, degli stabilimenti in Kazakistan, in Ucraina, in Romania e così via.

La descrizione fatta nel dossier mostra come in ogni realtà si sono sviluppate gli stessi fatti, non solo rispetto agli interessi materiali delle masse, le condizioni di lavoro, di sfruttamento, la sicurezza, l’inquinamento, ma anche nel modo in cui l’impero si è appropriato del rapporto tra economia e politica nella fase del suo insediamento. Ovunque vi sono stati aiuti di Stato, ci sono state massicce detassazioni; senza il ruolo attivo degli Stati Mittal non realizzerebbe i suoi obiettivi.

Questo impero oggi raccoglie qualcosa come oltre 200.000 operai e le ricchezze attuali del gruppo fanno di Mittal uno dei capitalisti inseriti ai primi posti delle classifiche del sistema mondo. Per ricchezza, Forbes lo colloca intorno alla 130a posizione tra gli uomini più ricchi del mondo, il patrimonio stimato, qualche anno fa, è di 12.13 miliardi di euro. E non è solo l’entità complessiva del patrimonio di Mittal che impressiona ma anche la rapidità con cui si è affermato se si pensa che l’ascesa si è rapidamente accelerata nell’ultimo trentennio. È nella fase più recente della vicenda mondiale dell’acciaio che Mittal ha marciato a tappe forzate, prima di tutto con le fusioni che erano il frutto di precedenti altre fusioni, che infine hanno determinato il nome attuale di ArcelorMittal. Il dossier spiega bene alcuni di questi passaggi.

Attualmente il sistema di gestione di Mittal è articolato, è in continua modifica e sviluppo, c’è tutta una serie di altre grandi attività correlate alla produzione dell’acciaio, compresi il sistema di approvvigionamento delle materie prime, le miniere così via. Il cambiamento più significativo c’è stato nel passaggio dal padre, fondatore dell’impero, al figlio. Anche gli analisti economici vedono che mentre il padre era un industriale, sviluppatosi con il meccanismo di ingrandimento, fusioni, compressione del costo del lavoro, appropriazioni; con l’avvento del figlio la crescita diventa da industriale a industrial-finanziaria, come è naturale nel sistema capitalistico e nella sua fase imperialista, con un processo simile a quello vissuto nel finale dell’impero Riva che, con la morte dell’industriale Emilio Riva e col passaggio agli eredi, negli ultimi tempi aveva cavalcato la tigre della gestione della finanza, dei paradisi fiscali e così via. E a proposito di paradisi fiscali, vi sono delle coincidenze tra i paradisi fiscali dell’impero Riva e quelli attuali dell’impero Mental, Nel dossier se ne parla.

C’è un’altra cosa che accomuna Mittal a Riva. Emilio Riva in un’intervista dichiarava “a me le crisi stanno benissimo. È nelle crisi che faccio i migliori affari, soprattutto perché ne approfitto per acquisire a basso costo altri stabilimenti”. Anche Mittal ha fatto così. Anche Mittal usa le crisi, compresa la crisi in corso, per appropriarsi a basso costo di stabilimenti. Attenzione, il suo disegno non è mai di appropriarsene per chiuderli. Li chiude se il costo del lavoro non gli permette di gestirli come vuole, ma in realtà il suo scopo non è chiuderli, ma prenderli e allargare la sua presenza nel mondo in un mercato molto difficile, in cui rapporto tra produzione e circolazione, acquisizione e vendita dell’acciaio ha bisogno di un sistema di stabilimenti collocati in insediamenti strategici di lunga durata che non si acquisiscono facilmente.

Pubblichiamo in questo dossier anche un apporto del professor Giuseppe Di Marco, già preside della facoltà di filosofia della Federico II di Napoli, perché senza i fondamenti del marxismo è difficile orientarsi nelle vicende come quelle dell’ArcelorMittal e nelle vicende conseguenti della lotta di classe.

Il testo completo (75 pagine) è qui: proletaricomunisti.blogspot.com/2020/10/pc-19-ottobre-uscita-la-nuova-edizione.html oppure si può chiedere il cartaceo – costa 5 euro –  a pcro.red@gmail.com 

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