Il dominio del Golfo riguarda le principali rotte commerciali marittime, crocevia
di Europa, Africa e Asia e l'approvvigionamento di due terzi di petrolio e di un terzo di gas a livello mondiale.
18 ott 2020
Non ha usato mezzi termini il Ministro di Stato per gli affari esteri emiratino Anwar Gargash: il Golfo non ha bisogno delle forze turche in Qatar né di nessun altro tentativo di colonialismo. Così sale ancora la tensione tra Ankara ed Abu Dhabi, dopo che il presidente turco Erdogan ha affermato che i suoi militari in Qatar hanno solamente la funzione di garantire la pace. "La presenza militare turca nel Golfo Arabo - ha twittato in risposta il Ministro emiratino - è un'emergenza e contribuisce alla polarizzazione negativa nella regione".
Il presidente Erdogan nei giorni scorsi ha incontrato a Doha l'emiro del Qatar, lo sceicco Tamim, dopo essere stato anche in Kuwait, ufficialmente per porgere le condoglianze alla famiglia reale, a seguito della morte dello sceicco Sabah al-Ahmad, che governava il Paese dal 2006. A differenza degli Emirati
Arabi, dell'Arabia Saudita e del Bahrein, il Kuwait non è schierato apertamente con il blocco anti-Iran e si è posto finora come mediatore e paciere nei conflitti della zona.E mentre gli Stati Uniti hanno chiesto alla Turchia di ritirare la nave da ricerca sismica Oruc Reis dalle acque contese del Mediterraneo orientale, definendo la mossa una provocazione, la politica estera turca sta facendo infuriare Abu Dhabi anche su altri fronti: in Iraq, in Siria, in Yemen, in Libia, dove i due Paesi si trovano su posizioni contrapposte.
Ma in gioco c'è molto di più: la Turchia sta di fatto ostacolando il progetto emiratino che con la sua Dubai Ports World, società multinazionale di logistica specializzata in servizi marittimi, sta prendendo il controllo di un numero sempre maggiore di porti, sulla linea della Nuova via della seta cinese: dal Golfo, passando per l'Africa, fino al Mediterraneo.
Alle origini dello scontro
Si può dire che lo scontro tra Emirati Arabi (e Arabia Saudita) e Turchia ha avuto inizio nel 2013, anno della caduta del Governo Morsi in Egitto. Il presidente egiziano, appartenente ai Fratelli Musulmani, godeva del sostengo di Ankara ed è stato sostituito manu militari dal generale al-Sisi, che ha invece avuto – e tutt’ora ha – il sostegno di Abu Dhabi e Riad. La Turchia non ha mai perdonato ai due Paesi del Golfo l’interferenza nelle questioni egiziane e ancor meno la loro campagna contro i Fratelli Musulmani. Prima della caduta di Morsi, segnali di insofferenza tra Turchia ed Emirati si erano già registrati a causa del sostegno di Ankara alle rivolte in Medio Oriente e Nord Africa del 2011, rivolte che i Paesi del Golfo hanno visto come una seria minaccia alla propria stabilità. Sempre al 2011-2012 risale un altro episodio che ha contribuito a preparare il terreno per uno scontro aperto tra le due nazioni. Ankara ha infatti accusato Abu Dhabi di aver finanziato Mohammed Dahlan, ex funzionario di Fatah che avrebbe tentato di spodestare Abbas alla guida dell’Autorità nazionale palestinese. L’uomo, sfuggito alla cattura, ha trovato rifugio proprio negli Emirati Arabi dando così modo alla Turchia di additare il Paese del Golfo quale finanziatore del golpe contro il leader palestinese.
Ma a incrinare ulteriormente i rapporti tra Ankara e Abu Dhabi ha contribuito anche il fallito colpo di Stato contro Erdogan del 2016: il presidente turco ha affermato in più occasioni di ritenere gli Emirati uno dei Paesi che hanno sostenuto i golpisti. Non va poi dimenticato che la Turchia nel 2017 si è schierata in sostegno del Qatar quando il Paese è stato isolato e sottoposto a embargo dalle altre potenze del Golfo con l’accusa di finanziare il terrorismo e gli stessi Fratelli Musulmani. La decisione di Ankara di accorrere in aiuto di Doha ha reso ancora più tesi i rapporti con gli Emirati e l’Arabia Saudita, i due maggiori sostenitori dell’allontanamento del Qatar dal Consiglio di cooperazione del Golfo.
Tensioni recenti
Guardando alla storia recente, i dossier diventati nuovo motivo di scontro fra Turchia ed Emirati Arabi sono principalmente Siria, Libia e Somalia. Nel primo caso, Abu Dhabi avrebbe cercato più volte di convincere il presidente Bashar al-Assad a rompere il cessate il fuoco raggiunto con la Turchia a Idlib in cambio di un finanziamento di 3 miliardi di dollari. Gli Emirati non hanno mai preso direttamente parte al conflitto siriano, ma stanno cercando di indirizzarne indirettamente le sorti facendo pressioni sulla famiglia Assad con l’obiettivo di espandere la propria influenza nell’area. Una mossa che ovviamente non trova il favore della Turchia, che deve già fare i conti con la Russia, l’Iran e i curdi (ancora in parte sostenuti dagli Usa). Per quanto riguarda la Libia, Erdogan ha di recente fatto il suo ingresso nel conflitto che prosegue ormai dal 2011 schierandosi dalla parte del Governo di accordo nazionale guidato da al-Serraj. Inutile dire che gli Emirati sostengono invece il generale Haftar, il cui obiettivo primario è il rovesciamento del GNA. Di recente, anche la Somalia è diventato teatro di scontro tra Ankara e Abu Dhabi: la Turchia, che ha una base militare e una forte presenza nel Paese, ha accusato gli Emirati di star finanziando il gruppo jihadista al-Shabab con l’obiettivo di destabilizzare ulteriormente la nazione africana. Un’accusa che si ripete anche nel caso dello Yemen, Paese in guerra dal 2015 e che vede le truppe emiratine impegnate nel conflitto sotto il comando dell’Arabia Saudita. Non bisogna poi dimenticare che altro capitolo ancora aperto nello scontro tra Turchia e Paesi del Golfo: l’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi, consumatosi nell’ambasciata saudita di Istanbul nel 2018.
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