di Gregorio Piccin (*)


Leonardo ha annunciato la nomina del suo ad Alessandro Profumo alla presidenza dell’Associazione europea delle industrie dell’Aerospazio Difesa e Sicurezza (ASD). L’italiano ha sostituito il francese Eric Trappier a sua volta Ad di Dassault Aviation.

«Un riconoscimento importante per Leonardo e per tutto il Paese in funzione del ruolo di primo piano svolto nel settore a livello internazionale» ha dichiarato Profumo ricordandoci il presunto ruolo che «il settore ha svolto nella prima fase della pandemia per il trasporto dei malati, del materiale medico necessario e del personale sanitario» ma soprattutto «quello che potrà dare nella fase di rilancio».

Meraviglie della neolingua: la Leonardo descritta da Profumo non sembra nemmeno una multinazionale che produce e vende armi ai peggiori governi del mondo ma una vera e propria ong sociosanitaria pronta a “dare”. Di certo prenderà parecchio, come sempre. 

In un solo anno e in piena crisi socio-sanitaria l’industria militare ha già incassato dal governo Conte bis la riconferma di svariate e costosissime commesse (F 35 compresi), delle missioni in Iraq e Afghanistan e l’annuncio di nuovi impegni per la “stabilizzazione” nel Sahel che già si prospettano come veri e propri defilè per l’armamento made in Italy. Per non parlare della “preziosa” norma Government to Government che ha trasformato il ministero degli Esteri nell’agente di commercio dell’industria bellica nazionale e le ha permesso di colmare un gap concorrenziale con Usa, Regno unito e Francia.

Ora arriveranno anche i soldi de Recovery Fund e saranno parecchi. 

Questo fondo destinato a sostenere «Piani nazionali di ripresa e resilienza» non sembrava riservare particolari investimenti al settore Difesa quanto piuttosto alla transizione ecologica, alla pubblica amministrazione (sistemi sanitari), alla banda larga (fibra ottica e 5G), alle nuove tecnologie, all’istruzione.

Profumo approfitta della prestigiosa nomina per metterci le mani sopra dichiarando che «se guardiamo ad alcune direttrici fondamentali che sono state date dall’Ue sui temi della digitalizzazione, del Green Deal e dell’alta formazione delle competenze vediamo che si tratta di tre aree in cui oggettivamente il settore dell’aerospazio-difesa è estremamente presente».

Peccato che al di là della retorica dual-use e dei magnifici risvolti “civili” declamati dal neo presidente ASD, i 12,5 miliardi che ha chiesto il ministero dello Sviluppo economico nell’ambito Recovery Fund serviranno a finanziare in sei anni il caccia di sesta generazione “Tempest” (di cui abbiamo già parlato sul manifesto), elicotteri militari di nuova generazione (un programma molto ambizioso che prevede lo sviluppo di una nuova famiglia di velivoli in aperta concorrenza con analoghi programmi statunitensi), la nave europea del futuro “Green Vessel”, tecnologia sottomarina avanzata, tecnologie spaziali e satellitari, tecnologia senza pilota ed intelligenza artificiale.

Del resto la cessione dell’asset automotive ai francesi con la fusione Fca-Psa alle porte rende ancora più assordante, nel nostro Paese, la narrazione tossica che quello della Difesa è l’unico asset strategico a livello industriale, tecnologico e di ricerca da salvaguardare così com’è e addirittura elevandolo “strumento della politica estera”.

A livello europeo la concorrenza sul prodotto bellico è senza quartiere e anche se è vero che covid ha impresso in generale una fase nuova più concertativa questa sembra parecchio transitoria e legata all’opportunità di spartirsi centinaia di miliardi messi in gioco da BCE. La persistenza di interessi nazionali su punti forti come industria militare e linee di rifornimento (e rapina) energetico continuano a determinare un sostanziale ognuno per sé, non certo un disegno “europeo” in senso stretto. Che peraltro si riconferma neocolonialista, militarizzato e per nulla innovativo.

Quello che si respira, purtroppo, non sembra profumo d’Europa ma tanfo di guerra.

(*) pubblicato anche sul quotidiano “il manifesto”