mercoledì 8 luglio 2020

pc 8 luglio - G20 Hamburg: “Una repressione esemplare”. La dichiarazione di Loic, compagno francese, al processo

Da Osservatorio

Loic è un Compagno francese accusato di aver preso parte alle mobilitazioni contro il summit del G20 di Amburgo del 2017.
Furono in tante e tanti in quei giornate a mobilitarsi nella città anseatica contro il vertice, specchio di una società sempre più ingiusta ed autoritaria. Ne seguì una repressione esemplare. Decine di persone provenienti da ogni angolo d’Europa finirono nelle carceri tedesche per periodi molto lunghi.
Loic venne arrestato nell’agosto 2018 nella sua abitazione in Francia. Successivamente venne estradato in Germania e rimase per un anno e quattro mesi nelle carceri di Amburgo.

Nel dicembre 2019 è stato rilasciato con l’obbligo di firma in Germania. Il processo – durato per tutto questo periodo – finirà il 10 luglio 2020, data prevista per la sentenza. E’ principalmente accusato di aver manifestato nel ricco quartiere dell’Elbchausse, vicino al centro cittadino. Non è accusato di crimini specifici, solo di aver preso parte al corteo. La procura ha chiesto per lui quattro anni e nove mesi.

Qui la sua dichiarazione al tribunale.

“Signore e signori della Corte. Finalmente siamo vicini alla fine di questo processo cominciato nel dicembre 2018, al tempo non sapevo che un processo potesse durare tanto a lungo. Sono stato arrestato pochi giorni dopo il mio ventiduesimo compleanno, nell’agosto 2018, la polizia ha sfondato gridando la porta di casa dei miei genitori, la mia sorellina è stata costretta a mettersi in ginocchio con le mani sulla testa. Quando ho sentito la porta venire sfondata, subito nella mia mente si sono susseguite immagini di violenze negli arresti, di come la polizia picchia la gente. Mi sono spaventato, sono saltato dal tetto e sono finito nel cortile del vicino. Da lì in un altro lato della corte condominiale. Ma la polizia aveva isolato tutto il quartiere. E una persona che cammina in calzini sulla strada è sospetta.
Un poliziotto in borghese ha iniziato a corrermi dietro urlando: “Vieni qui, stronzetto”. Avendo percepito una certa animosità nella sua voce, ho pensato che fosse meglio non rispondere al suo invito. Mi sono ritrovato in giardino e poi nel garage di un vicino, intrappolato. Contro il muro, costretto ad aspettare l’arrivo del poliziotto. Lui mi è saltato addosso e mi ha torto il polso destro, lo ho lasciato fare. Gli ho fatto notare la sua inutile violenza e lui mi ha risposto: “Sei fortunato che non ti abbia sparato”.In questa luce, sono davvero felice di essere ancora vivo. È vero infatti che molti arresti della polizia hanno la sfortunata tendenza a trasformarsi in condanne a morte. Ma questo triste destino è più spesso riservato alle persone vittime di razzismo che vivono nei quartieri popolari. In Francia non passa un mese senza un morto durante un arresto.


La porta del garage infine si apre e compaiono agenti di polizia, gendarmi, bacqueux [brigata speciale contro la criminalità, n.d.r.] e civili incappucciati, arma automatica in mano. Forse trenta membri delle “forze della legge e dell’ordine”.
Il vicino, proprietario del garage, è uscito da casa sua e vedendo la scena mi dice con spontaneità: “Ça va Loïc? Vuoi un bicchiere d’acqua? ». Questa frase ha creato un vuoto nella serietà e nella pesantezza della situazione, ho fatto del mio meglio per soffocare una risata e ho rifiutato il bicchiere d’acqua perché avevo le mani legate. Tornato a casa dei miei genitori per mettermi le scarpe, non riuscivo ad allacciarle. Ho chiesto ai gendarmi di togliermi le manette: “No, non è possibile farlo “, ha risposto uno.
Mi sono sempre piaciute le sfide, quindi ci provo comunque, ma anche con molta forza di volontà non è possibile. I poliziotti ridono e mi prendono in giro. La mia sorellina, in piedi accanto a me, con una serenità unita ad emozioni che mai ho visto sul suo viso, si lancia spontaneamente e con forza verso i gendarmi “Ma toglietegli le manette, così può mettersi le scarpe!” La sua voce contiene un potere divino, lo scherno contro il potere è genetico. Gli occhi dei gendarmi si sono persi a terra e uno di loro si è affrettato a togliermi le manette. Se la mia sorellina avesse detto: “Ma toglietegli le manette e lasciatelo libero!” i gendarmi se ne sarebbero andati e io avrei potuto abbracciarla.

Da quel momento sarebbero seguiti 1 anno e 4 mesi di reclusione, 1 anno e 4 mesi dove anche nella stanza delle visite le guardie impediscono gli abbracci.
Arrivato alla prigione in Francia, una guardia alta 2 metri mi ha detto: “Se mi bruci la macchina, ti taglio a metà”. Tra il poliziotto che è pronto a spararmi e la guardia che vuole farmi a pezzi, penso che preferirei farmi sparare piuttosto che finire in due. Ma ciò che è preoccupante, oltre alla minaccia di morte, è che questa guardia pensa che io abbia bruciato un’auto. In quel momento mi sono reso conto di quale mostruoso inganno sia l’imminente processo. Accusando qualcuno di tutta la violenza che può accadere durante una manifestazione, si mette confusione nelle menti superficiali delle guardie e dei poliziotti. Facendo un’accusa sproporzionata, si crea un trattamento sproporzionato.
Questa guardia continua con rapidità: “È inutile quello che hai fatto, ora guarda dove sei, dove sono i tuoi amici? Ora sei qui…” Gli faccio notare che anche lui è qui, ma egli continua: “… Sei solo, hai fallito nella tua vita. Non hai cambiato nulla e sei inutile, ecc.” Non ho nemmeno la possibilità di fare una dichiarazione, o di rispondere, mi taglia fuori dal discorso. Non si preoccupa nemmeno di quello che dice, ho l’impressione che abbia la missione di demoralizzarmi. All’entrata del carcere vengo perquisito e di nuovo all’uscita per andare al tribunale al fine di giudicare la legalità del mandato d’arresto. Vengo trasferito dall’Eris. [unità speciali della polizia penitenziaria francese].
Gli Eris sono mastodonti, incappucciati e armati di mitragliatrici, sono otto in due auto blindate 4×4 con i vetri oscurati. Arrivando alla Corte d’Appello di Nancy, in una sala d’attesa prima dell’udienza, un Eris, dopo avermi incatenato mani e piedi, cerca di vincere sul campo delle idee: “Lo sai che sei costoso? “dice. Gli rispondo: “Lo sai che ogni anno vengono versati 40 milioni di euro nella Meuse per costruire una discarica di scorie nucleari a Bure? “E lui: “Cosa vuoi che faccia? ». Io : ” Oh niente, volevo solo specificare cosa è costoso.”
Fine del discorso.

Durante l’udienza, mi hanno condotto davanti al giudice con due ufficiali dell’Eris in passamontagna. Uno alla mia destra e uno alla mia sinistra. Era del tutto surreale, ero ammanettato. La mia famiglia e i miei amici erano lì a sostenermi. Mio fratello, pastore protestante, mi ha lanciato un foglietto di carta con qualche parola di incoraggiamento, l’ho preso nonostante le manette ma sono stato subito messo a terra da un agente. I giudici si sono ritirati immediatamente e mio fratello è stato portato via dalla stanza. Ancora a terra, ho cercato di tenere il biglietto nel palmo della mano con tutte le mie forze. Finché L’agente mi ha fatto pressione sul collo, io urlando di dolore lo ho lasciato andare. L’udienza ha potuto dunque riprendere. L’accusa viene tradotta in modo da far credere che sia stato io personalmente a bruciare diciannove macchine e a ferire una persona in un edificio.

Nella prigione francese mi hanno messo per un mese nel “reparto nuovi arrivati” in attesa di essere trasferito in Germania. Mi ha traumatizzato il passaggio ogni due ore di una guardia,l anche nel cuore della notte, controllando se fossi ancora vivo facendo scorrere il coperchio della porta con molto rumore prima di accendere la luce. Non sono mai riuscito a dormire più di due ore di fila. Ho poi avuto l’opportunità di incontrare un uomo di origine rumena, che raccattava rottami per strada. Il suo crimine è stato quello di non aver dichiarato quanti soldi aveva guadagnato raccogliendo ciò che trovava sui marciapiedi. Gli erano stati dati quattro mesi per non aver pagato quattrocento euro di tasse allo Stato. Ci sono evasioni fiscali, paradisi fiscali, riciclaggio di denaro sporco, panama leaks, luxleaks, miliardi e miliardi di euro che scompaiono nelle mani dei ricchi. Ma non ho visto ricchi o banchieri in prigione. Le 500 persone più ricche di Francia hanno triplicato le loro fortune dalla crisi finanziaria del 2008, raggiungendo i 650 miliardi di euro.

Uguaglianza è poter godere della stessa capacità materiale, ma una donna delle pulizie non può vivere in una villa sull’Elbschaussee. E la gentrificazione di Amburgo, che attualmente continua, non aiuta certamente. Le disuguaglianze crescono. Il giovane italiano Fabio, ex prigioniero del G20 di Amburgo, ha detto alla corte (nel 2017) che le 85 persone più ricche del mondo avevano la stessa ricchezza del 50% della popolazione più povera. Da allora la situazione è peggiorata. Un comunicato dei Gilet Gialli del gennaio 2019 ha dichiarato che oggi sono 26 i miliardari che possiedono quanto la metà più povera dell’umanità. Ciò che le istituzioni giudiziarie affermano a proposito è che è immorale non pagare le tasse quando si è poveri, ma che è accettabile per la classe benestante che se lo può permettere. Questa è giustizia di classe. E non ho imparato nulla nelle vostre istituzioni che abbellisca l’animo umano,ci ho trovato solo depravazione morale.

Questa è ciò che diceva Foucault: “L’illegalità della proprietà è stata separata dall’illegalità dei diritti. Una divisione che copre una divisione di classe, poiché, da un lato, l’illegalismo che sarà più accessibile alle classi popolari sarà quello delle merci – il trasferimento violento della proprietà; dall’altro, la borghesia si riserverà l’illegalismo dei diritti: la possibilità di aggirare i propri regolamenti e le proprie leggi; di avere tutto un immenso settore di circolazione economica assicurato da un gioco che si svolge ai margini della legislazione – margini previsti dai silenzi dei suoi apparati, o consentito da una tolleranza di fatto. E questa grande ridistribuzione dell’illegalità si tradurrà anche in una specializzazione dei circuiti giudiziari: per l’illegalità della proprietà – per il furto -, i tribunali ordinari e le pene. Invece per l’illegalità dei diritti – frode, evasione fiscale, operazioni commerciali irregolari – tribunali speciali con transazioni, accomodamenti, multe ridotte, ecc. La borghesia si è riservata il proficuo dominio dell’illegalità dei diritti.”

Quando sono stata trasferito ad Amburgo su un’auto della polizia tedesca, l’autista ha messo un po’ di musica per poi alzare il volume ascoltando “L’Internazionale”, gli agenti del “Soko SchwarzBlock” [unità speciale della polizia tedesca incaricata di indagare sui crimini commessi durante il G20 n.d.t.] volevano certamente vedere la mia reazione. Non ho potuto evitare di dire loro che preferisco “La Makhnovtchina”. Ho trovato interessante poter parlare di permacultura con una poliziotta anche se, tra una chiacchiera e l’altra, ha cercato di farmi delle domande per sapere se ero andato al G20 e cosa avessi fatto lì. Credo comunque di essere riuscito a risvegliare in lei un maggiore interesse per le verdure. All’arrivo ad Amburgo, sono stato trasferito in un altro furgone con altri agenti per essere portato al centro di detenzione. Abbiamo fatto diverse fermate prima di giungere al carcere. Nella mia piccola cella del blindato sono stato raggiunto da altre persone arrestate per vari motivi. Non c’era la cintura di sicurezza, così talvolta andavamo a sbattere contro le pareti del mezzo.
Ci siamo trovati in uno stretto gruppo di quattro persone di cui due completamente ubriachi. Uno di loro ha battuto sul muro per chiedere di andare in bagno svariate volte, anche quando c’è stata una sosta per aggiungere una persona arrestata nella seconda cella, senza successo. Alla fine non è riuscito a trattenersi e ha fatto pipì sul pavimento. Così ho cercato di rimanere in equilibrio sulla panca con i piedi in alto, l’altro ragazzo sobrio ha provato la stessa tattica. Quello che ha fatto pipì e l’ultimo, ubriaco pure lui, non sembravano consapevoli della situazione e hanno lasciato le scarpe per terra. La pozza di piscio, seguendo i movimenti del furgone, finì per vagare su tutta la superficie, a volte andando a finire sotto la porta dove si trovavano le mie scatole di roba della prigione in Francia. Un angolo di una scatola ne ha assorbita un po’, ma è stata una guardia a trasportarla senza accorgersene. In un certo senso, possiamo dire che è stata fatta giustizia. Perché non è bene impedire a qualcuno di urinare.

Dopo alcuni giorni di osservazione in una cella in cui la luce era sempre accesa, ho ritrovato il rituale della guardia che guardava all’interno della mia cella ogni due ore. Il vantaggio è che qui non c’era nessuna copertura da far scivolare perché la porta conteneva una piccola finestra. In una cella vuota dove non succedeva nulla, ogni due ore vedevo il volto di una guardia per qualche secondo. Se mi mettessi per un attimo al posto di questa guardia, che deve guardare ogni detenuto, penso che scoppierei in lacrime a vedere tanta sofferenza. Credo che la maggior parte delle guardie impari a non provare emozioni. Sono quasi come automi o robot. E credo anche che la maggior parte non sogni di fare questo lavoro, ma che la scelta di diventare una guardia sia spesso fatta in mancanza di alternative visibili. Dico alternative visibili perché ci sono molte opportunità nell’agricoltura o nei collettivi di giardinaggio. Seminare piante o seminare disperazione nel cuore di chi è rinchiuso. Fino a quando questo pianeta non sarà completamente rovinato, penso che tutti abbiano la possibilità di scegliere. Sono rimasto per i primi quattro mesi nel piccolo edificio “A” che corre parallelo al palazzo di giustizia dove ci troviamo ora. Parlo di questo edificio anche nella mia testimonianza dell’uscita di prigione attraverso il testo: “Rompere i muri delle prigioni che separano dall’esterno”, da cui riprendo alcuni passaggi:

Il Blocco A è l’edificio dei nuovi arrivati. Lì, siamo costretti a stare rinchiusi 23 ore al giorno in una cella, 7 giorni su 7. È un posto buio, dove i detenuti si urlano e sbattono contro i muri. Sono stato lì per quattro mesi. Durante il primo mese, ho avuto solo i vestiti che avevo addosso quando sono arrivato. Non ho potuto riavere le mie cose, anche se sono arrivate nel medesimo momento. In questo edificio c’erano soprattutto stranieri il cui crimine era quello di essere senza documenti, piccoli spacciatori o persone accusate di furto. Ho visto sguardi ricolmi d’odio da parte delle guardie verso i prigionieri di altri paesi. La maggior parte degli stranieri che ho incontrato durante l’ora d’aria nell’edificio A definiva le guardie come nazisti. Mi ha fatto strano sentire ciò, sapendo che in quella stessa prigione, meno di un secolo fa, i nazisti hanno ucciso diverse centinaia di persone. Dopo un mese di attesa, finalmente ho avuto il mio cambio di vestiti. Con ormai una buona dozzina di mutande, sapendo che gli altri detenuti ne avevano un solo paio, ho iniziato a fare le distribuzioni durante l’ora d’aria. La mia famiglia mi ha mandato una cinquantina di mutande. Mi ha dato molta energia avere la possibilità di poter aiutare gli altri detenuti distribuendole. In un muro della cella erano state scritte a penna queste parole:
“Quando aiuti qualcuno, aiuti te stesso”. Fu nell’edificio A che fui messo per la prima volta in isolamento perché una guardia mi beccò a dare il pane ai piccioni sul davanzale della finestra della mia cella.

Dopo 4 mesi nell’edificio A, ho ottenuto il trasferimento in un altro carcere dove c’erano più ore con le celle aperte. Un detenuto ha comprato il gioco da tavolo Risiko. Tuttavia, poiché era possibile giocare solo con un massimo di 6 giocatori ed eravamo in 12 nel piano, ho iniziato a costruire delle schede di espansione su scatole di Kellog’s che gli altri detenuti potevano acquistare nel negozio del carcere e a fare delle miniature con farina, sale e acqua. Per colorarle ho comprato un kit di matite colorate da cui ricavavo della polvere colorata, avendo cura di rimuovere i pezzi di legno prima di aggiungere acqua per farne vernice liquida. Si possono immaginare molti giochi da tavolo con farina, acqua e un po’ di sale. Un altro detenuto ha addirittura iniziato a copiare i territori che avevo immaginato per realizzare il gioco da tavolo in 3D. Credo di aver giocato almeno 50 volte a Risiko in prigione. Una partita poteva essere suddivisa in diverse settimane, visto che eravamo fino a dieci giocatori. Per darvi un’idea, ci sono 42 territori sul gioco base, il più grande dei tabelloni che ho creato era di 189 territori. Spesso ero il primo ad essere eliminato dal gioco perché cercavo costantemente di combattere il più forte e di motivare gli altri a bilanciare il gioco attaccandolo. Ho notato che spesso in prigione c’è un detenuto che pensa di essere il leader e, visto che tutti ne hanno paura, nessuno osa combatterlo nel gioco per non creare tensioni, quindi vince sempre. Ho anche scritto una cinquantina di pagine di regole alternative per Risiko per renderlo più collaborativo e meno competitivo. Purtroppo, quando sono uscito di prigione, ho potuto recuperare solo le schede di gioco, le carte e le miniature sono rimaste nella mia cella e non mi sono state riconsegnate insieme al resto delle mie cose.

Quello che del carcere non dimenticherò mai è la guardia che alle 6:45 di ogni mattino apre la mia porta e dice: “Morgen” (buon giorno, n.d.r.). All’inizio rispondevo e trovavo interessante che qualcuno si prendesse la briga di salutarmi la mattina, è dare un poco di considerazione, un poco di umanità. Tuttavia una mattina, di cattivo umore, non me la sono sentita di rispondere, la guardia ha cominciato a insistere “MORGEN! MORGEN!”. Ho messo la testa sotto il cuscino e questi se ne è andato. Eppure non avevo detto nulla, non avevo risposto al saluto. Il giorno seguente, quando un’altra guardia mi ha svegliato con “MORGEN”, ho provato semplicemente a sollevare il piede, anch’egli se ne è andato. Allora ho capito con terrore che ogni mattina “morgen” non era un saluto mattutino, ma una domanda: “Sei ancora vivo?”. E che ogni gesto o risposta significava per la guardia: “Va tutto bene, non mi sono ancora ucciso”. Quella parola continua ancora oggi a farmi gelare il sangue.

Ho scritto altri testi, spiegando più dettagliatamente le mie avventure in prigione. Per esempio, come mi sono trovato in isolamento in altre due occasioni con false accuse di aver gridato dalla finestra durante due manifestazioni di sostegno all’esterno del carcere. La seconda volta, gli altri detenuti hanno firmato ciascuno una petizione scritta a mano in cui dichiaravano che non avevo gridato dalla finestra. Quando l’ho scoperto, mi sono venuti i brividi lungo la schiena. Ho potuto vivere alcuni momenti molto forti in prigione. Spesso ci permettiamo di essere ironici nella nostra vita e nelle nostre interazioni con gli altri.
In prigione ci sono scambi e persone che ho potuto incontrare con un’intensità che non dimenticherò mai. Un mio altro testo “Escalation dell’arbitrarietà, procedura disciplinare e rilascio di un uccello” spiega anche come ho trovato un uccellino morto in una cella di detenzione del tribunale durante una pausa del processo. Uno di quei piccoli sotterranei che si trovano vicino a ogni aula di tribunale. L’avevo portato in aula perché sapevo che nessuno mi avrebbe creduto se l’avessi raccontato senza prove. Puzzava come un cadavere in decomposizione. Racconto anche la storia di come una guardia donna mi lasciò catturare un piccione smagrito in uno dei corridoi del tribunale riservato ai prigionieri. Sono riuscito a farlo volare fuori dalla finestra dell’aula.

Ancora oggi, sogno due o tre volte alla settimana di essere arrestato dalla polizia in situazioni e luoghi diversi. Una volta al mese sogno che un poliziotto mi spara durante l’arresto. Trovo difficile prendere iniziative perché in carcere non è permesso fare nulla di propria spontanea volontà, devi costantemente sottometterti qualcosa a te esterno...

...Io accuso il potere giudiziario di far parte di un cerchia di persone che praticano la violenza sulla base di una divisione del lavoro tra gli agenti di polizia che svolgono i loro compiti e i tribunali, che condonano e incoraggiano i crimini commessi dagli agenti attraverso il loro lassismo. I tribunali in generale sono complici di tutta la violenza della polizia del G20 perché nessuno di loro ne ha preso le distanze. Non ci sono state condanne di agenti di polizia dopo il G20, nonostante i numerosi video e le documentazioni dei cittadini. Ma è un problema strutturale dell’istituzione di polizia, la polizia non solleva indagini contro se stessa...

...C’è qualcosa di particolarmente grave in questo processo, 5 persone devono rispondere di tutti i danni di una manifestazione. Il 99% delle accuse non sono rivolte personalmente agli imputati. L’accusa si estende a più di un milione di euro di danni. Il pubblico ministero sta cercando di costruire e imporre una visione molto ampia della complicità, al punto di volerla estendere anche oltre la presunta presenza dell’imputato. In pratica: immaginate di essere in una dimostrazione, qualcuno brucia un’auto a 50 metri di distanza da voi. Ecco, siete considerati responsabili del danno.

Ma questo non è niente! Ora immaginate di andarvene da una manifestazione, 10 minuti dopo viene lanciata una molotov: anche se non siete più presenti, siete considerati responsabili. Ci sono molti problemi in questo processo, nel carcere, nella polizia, nel capitalismo, nello Stato e nel suo mondo. Questi diversi temi hanno, tra gli altri, come comune marciume: la sete di potere, la globalizzazione, e la necessità di questa società di classificare ogni cosa. In questo senso l’individuo, la sua identità, la sua creatività, la sua unicità deve essere rinchiusa in una scatola, in un gruppo...

...Nel pomeriggio del 7 luglio 2017, la polizia tedesca ha fatto un’altra dimostrazione della sua strategia di “de escalation”. Incessantemente gli agenti di polizia caricavano intorno al Rote Flora [Centro sociale occupato storico di Amburgo, n.d.r.]. In diverse occasioni ho visto la polizia picchiare la gente sui marciapiedi e la gente che beveva seduta nelle terrazze dei bar. Senza motivo. Forse in una mente poliziesca, il solo fatto di essere presenti intorno a Rota Flora è colpa sufficiente? Nel piccolo parco appena dietro, 4 poliziotti sono corsi verso una persona che era in un angolo vicino a un cespuglio, è stata picchiata distante dagli occhi della gente e lontana dalle telecamere. Ho visto un giornalista che veniva pestato dalla polizia. E mentre un’altra persona veniva picchiata duramente di fronte al Rota Flora, sono andato spontaneamente in avanti con altre persone, urlando di indignazione. Un poliziotto mi ha sparato del gas in faccia. Poi ho messo lo zaino per terra e ho lanciato 2 bottiglie di birra davanti a me verso la polizia. Dietro questo gesto vi è la violenza della polizia, non voglio scusarmi per questo. Tanto più che non sono riuscito a colpire la polizia e le bottiglie sono finite accanto a loro (come potete vedere in un video). Naturalmente, ai vostri occhi, che il proiettile colpisca o meno un agente rimane comunque illegale.

Allo stesso modo la vostra legge vieta di colpire a colpi di manganello all’altezza della testa o di sparare gas lacrimogeni in faccia. Ma c’è mai stato un processo contro un agente di polizia che ha colpito un manifestante? No, non c’è mai stato un processo contro nessun poliziotto che ha rotto le teste della gente al G20. Quindi? Bisogna dunque mettersi il casco durante una manifestazione?
Poco dopo, in un video della polizia, mi si vede correre verso un’anziana signora che spinge la sua bicicletta. Si era fermata in mezzo alla strada mentre un cannone ad acqua si muoveva verso di lei. L’ho aiutata ad arrivare al marciapiede e una volta arrivati sul marciapiede, siamo stati colpiti da un getto dell’idrante chiaramente puntato su entrambi. Dopo aver controllato che stesse bene, ho raccolto 2 pietre e le ho lanciate in direzione del cannone ad acqua. La polizia era in posizione dietro l’idrante.
Voi siete molto fantasiosi ed estremamente sensibili quando scrivete nelle vostre accuse che questi sassi sono stati lanciati verso la polizia e aggiungete che ciò è stato fatto “accettando che avrebbe potuto ferire gravemente gli agenti di polizia”. Perché prima di immaginare ciò, dovreste dimostrare che il proiettile ha effettivamente colpito un agente di polizia. Una volta fatto questo, è necessario riconoscere che è difficile ferire gravemente un agente di polizia quando indossa l’equipaggiamento protettivo, a differenza dei manifestanti che non ne indossano. Nel frattempo, il potente getto d’acqua ci ha chiaramente colpito e nessuno incolpa il poliziotto che ha sparato il colpo per “aver accettato che avrebbe potuto ferire gravemente questa donna anziana”...

...Ci sono stati molti tentativi di fermare il G20 con blocchi non violenti, anch’io ho partecipato a questa strategia e una persona accanto a me è finita con un occhio nero mentre un altro poliziotto mi prendeva a calci mentre eravamo seduti. Ho notato che era meno pericoloso usare questa tattica se c’erano telecamere che riprendevano la scena. I poliziotti sembrano molto sensibili alla loro immagine e si astengono dal mostrare la loro violenza sotto i riflettori, ma non esitano, una volta che appare un po’ d’ombra, a dispiegare la loro oscurità...

...Per concludere: la stampa tedesca ha sottolineato spesso l’impatto economico delle manifestazioni. Per tutto il G20 di Amburgo ho sentito dire che si tratta di circa 10 milioni di euro di danni. Vi dimostrerò che una persona che mangia sano e fa qualche danno durante una manifestazione costa alla società meno di un cliente abituale di McDonald’s.

Un articolo uscito sul giornale “Liberation” ha stimato che il costo del cibo spazzatura per la salute in Francia è di 55 miliardi di euro per l’anno 2019. Ci dovrebbero essere 5.500 dimostrazioni ogni anno con 10 milioni di euro di danni per eguagliare l’impatto economico del cibo spazzatura. Sapendo che le mobilitazioni sono state distribuite in 4 giorni, non è possibile realizzarne più di 92 in un anno. A meno che non ci si permetta di immaginare più eventi contemporaneamente. Sarebbe quindi necessario che 59 eventi come quello del G20 di Amburgo si svolgano contemporaneamente, ripetendosi ininterrottamente per un anno, in modo che il danno economico sia pari a quello del cibo spazzatura in Francia. Non ho trovato cifre per la Germania, ma credo che sia più o meno la stessa cosa. Arrotondando, possiamo dire che il cibo spazzatura costa 100 miliardi di euro all’anno in Germania e in Francia. Quindi 300 miliardi di euro dai tempi G20 di Amburgo, non è più saggio portare in tribunale i giganti del cibo che avvelenano il nostro mangiare e le nostre vite?...

Loic, Amburgo, il 17 giugno 2020.
G20hamburgprocessorepressione

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