Da circa 100 anni in Italia l'orario di lavoro è rimasto sempre di 8 ore al giorno.
Eppure in questi 100 anni la produttività è nettamente aumentata, l'introduzione di macchinari ha notevolmente ridotto il tempo di produzione delle merci; quindi, se prima ci volevano, poniamo, 4 ore per fare un'auto, oggi ce ne vuole 1, o, il che è lo stesso, in 4 ore fai oggi 4 di auto, mentre prima ne facevi 1 (chiaramente sono numeri puramente semplificativi).
Che significa questo per gli operai? Teoricamente, in un altro sistema di produzione non in funzione del profitto, a riduzione del tempo per produrre una merce, dovrebbe corrispondere una riduzione dell'orario di lavoro proporzionata - pur tenendo conto dell'aumento della produzione di merci in generale e tenendo conto il fondo sociale di riserva da incrementare.
Invece l'orario di lavoro in 100 anni dell'operaio è rimasto sempre uguale. Questo vuol dire semplicemente che si è allungata, e di molto, la parte di pluslavoro che l'operaio fa gratis per il capitalista, mentre si è ridotta la parte di tempo di lavoro necessario (quella che l'operaio lavora per ricostruire la sua forza-lavoro, il suo salario).
Vuol dire che questo aumento della produttività si è risolto tutto e solo a vantaggio del capitalista, e a svantaggio per l'operaio che ha visto aumentare lo sfruttamento e che prende un salario relativamente molto più basso di prima.
E' legittimo, allora, porre all'OdG la lotta per la riduzione dell'orario di lavoro?
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