Dal punto di vista dell’imperialismo italiano il governo Conte/Di Maio è stato una vera sciagura in Libia.
Proletari comunisti aveva già radiografato la crisi dell’imperialismo italiano in Libia in un precedente articolo, all’epoca del governo Salvini/Di Maio e della conferenza internazionale tenutasi a Palermo. Ma rispetto a quel periodo la situazione ora è al limite del dramma.
Le frasi di Di Maio “non esiste una soluzione militare”, quando il nuovo assetto dipende proprio dal fatto che in Libia una soluzione militare è in corso, è come fare dello spirito ad un funerale.
L’intervento della Turchia ha cambiato radicalmente lo stato delle cose proprio per l’imperialismo italiano. Come scrive ‘Panorama Difesa’, la Turchia ha annunciato di essere pronta ad iniziare proprie attività petrolifere in un’area che fino ad oggi era per lo più territorio di caccia dell’Eni. Ha ottenuto già dal governo di Tripoli licenza per sette lotti, su cui inizieranno a breve trivellazioni per la ricerca di petroli. Queste operazioni trivellazioni avvengono nella nuova zona economica esclusiva “Zee”, definita tra il governo di accordo nazionale di Al Serraj ed Ankara. “Per la Turchia è una vera concessione per estrarre gas e petrolio in un enorme area che va dalla costa libica alla costa turca, ignorando i diritti della Grecia nella zona delle isole di Creta e del Dodecanneso.
Ankara ha ottenuto inoltre contratti per la ricostruzione delle infrastrutture distrutte o danneggiate per la guerra in corso col generale Haftar, nonché una serie di appalti per la costruzione di nuovi impianti energetici. E le aziende turche stanno già costruendo due centrali elettriche.
Si tratta tutti di interessi e appalti che erano in orbita ENI, che già ebbe un colpo nel 2011 dalla campagna d’Africa dei francesi.
La Turchia sta agendo con la tecnica del blitz capitalizzando immediatamente l’intervento militare. Si è presa la base aerea di Al-Watya, e sta già realizzando una propria base navale a Misurata.
Erdogan ha già annunciato che la presenza turca è destinata a rimanere per sempre e a fare della Libia sotto il suo controllo un avamposto importante del mediterraneo centrale. Chiaramente l’obiettivo comprende l’appropriazione dei giacimenti offshore della Tripolitania che, per essere realmente acquisita, occorrerà una sconfitta finale di Haftar che comunque è ben lungi dall’essere immediata.
Chiaramente la Turchia non potrà pretendere di occupare l’intera Libia senza uno scontro con i padrini effettivi dell’esercito in rotta di Haftar, Egitto, Francia e soprattutto Russia.
L’imperialismo italiano con la grottesca figura di Di Maio ha cercato in tutte le maniere di ricucire con la Turchia per avere il permesso di difendere la presenza dell’Eni e dell’Italia nell’area. Ma senza l’intervento militare diretto, che in questo caso il governo non può permettersi, la situazione non può certo cambiare.
Ma non c’è solo la crisi italiana, c’è la crisi europea e l’intervento crescente degli Stati Uniti.
Washington, preoccupata per il trasferimento dei caccia russa dalla Siria alla base di Al Khadim in Cirenaica, è evidente che non sarebbe contraria a dare una mano all’Italia, dato che comunque la Turchia anche in altri scenari ha dimostrato agli Usa di non essere più quell’alleato fedele e affidabile di un tempo.
La UE e la Nato cercano di rafforzare la loro presenza con la missione “Irini”, una missione navale che nelle intenzione affermate avrebbe lo scopo di interrompere il flusso d’armi verso la Libia, ma in realtà ha lo scopo di difendere gli interessi dei paesi imperisalisti nell’area. Il comando della missione “Irini” è affidato all’Italia e questo finora è fattore di debolezza dell’intervento non di forza sia dell’Italia che dell’Europa. Alla missione “Irini” partecipa anche la Francia come carta di riserva nel caso il sostegno ad Haftar collassasse del tutto.
Sempre più la Libia e il suo pantano è una guerra imperialista per interposta persona, è un focolaio generale dell’incendio che attraversa il mediterraneo.
Le masse libiche nelle mani dei signori della guerra al soldo dell’imperialismo e delle multinazionali del petrolio sono carne da macello e fanno parte del primo girone del “carne da macello” rispetto al girone infernale dei migranti – di cui non ci occupiamo in questa nota.
Nel nostro paese, a parte l’interesse sulla questione migranti, è ormai da un bel po' di tempo che manca un movimento di lotta contro la guerra e l’intervento imperialista italiano.
I comunisti internazionalisti degni di questo nome devono in seno ai movimenti di lotta di cui fanno parte condurre un’informazione per portare le avanguardie operaie e i movimenti a prendere posizione, anche a partire dalla denuncia del ruolo dell’imperialismo italiano.
Pandemia e crisi portano i governi dei paesi imperialisti in Europa e in Italia ad una profonda difficoltà nel condurre la loro politica; ma certamente l’apparato economico-industriale e i grandi interessi delle multinazionali, oggi rappresentati nell’area essenzialmente dall’Eni e dalla Leonardo/Fincantieri, non tarderanno a imporre nell’agenda quello che sta avvenendo nell’area del mediterraneo che costeggia le nostre coste.
Libia non vuol dire solo ‘Libia’. Libia vuol dire ciò che avviene in tutto il nord Africa, la questione Mali/Sahel da un lato (su cui ci occuperemo nei dettagli in un prossimo articolo), la questione tunisina, di cui ci stiamo occupando con le corrispondenze dirette che ci vengono dai nostri compagni e dalle forze comuniste in Tunisia. Tunisia peraltro scelta dagli Usa come potenziale base di appoggio militare per l’intervento diretto in Libia.
proletari comunisti/PCm
7 luglio 2020
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