lunedì 6 luglio 2020

pc 6 luglio - DALLA PRESENTAZIONE DEL DOSSIER "L'IMPERO MITTAL" - LA RELAZIONE DEL PROF. DI MARCO - prima parte

Il 26 giugno vi è stata la presentazione nazionale, prevalentemente per via telematica, del Dossier "L'Impero Mittal".
Pubblichiamo oggi la prima parte della relazione del Prof. Di Marco, prevalentemente centrata sul rapporto grande industria/mercato mondiale e Stato

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"Prenderò qualche spunto dal dossier “L'impero Mittal” e cercherò di sviluppare e precisare in una prospettiva sistematica qualcosa che ne veniva fuori e che mi sembra interessante dal punto di vista teorico, cioè della riconduzione a certe categorie marxiane fondamentali.
In una vicenda come questa di una grande industria, anche la pratica politica più immediata si presenta densa di una categorizzazione più generale, più universale.
Il primo punto da cui vorrei partire è un punto che si evince con molta nettezza dal dossier: come comincia Mittal la sua attività? Prelevando aziende in crisi; la sua grande intuizione imprenditoriale è quella di comprare le aziende in crisi quando la domanda di acciaio cala e, a partire da ciò, procedere alla ristrutturazione o eventualmente rivenderle.
Che cosa ci suggerisce questo modo di fare di Mittal? Che egli procede precisamente in una maniera classica, come ogni capitalista, ogni rappresentante del capitale, procede nella crisi così come Marx ed Engels l'avevano descritto nella pagina del Manifesto.
Le crisi che cosa sono? Sono certo il terreno possibile di un rovesciamento rivoluzionario o di insurrezioni che lo preparano, ma anche un opportunità per il capitale, quando viene il ciclo di ripresa, di riaprire nuovi mercati a partire dalla invendibilità delle merci che determina la famosa crisi di sovrapproduzione che, come sempre, è sovrapproduzione rispetto ai limiti del modo di produzione capitalistico - Altro è se noi invece misuriamo la sovrapproduzione rispetto alla scala dei bisogni umani, cosa che può venire soltanto in una forma di società comunista.

Quello che qui è molto importante, la prima cosa allora che vorrei sottolineare è il modo esemplare, con cui questo industriale al suo esordio si comporta come rappresentante di una legge classica del capitale. Ricordiamo che quando abbiamo a che fare con il capitale, abbiamo a che fare con un
rapporto sociale che è sì agito dai singoli capitalisti ma che si presenta come un rapporto sociale complessivo, generale, separato dai suoi stessi attori.
Mittal, come Bill Gates, come chiunque altro capitalista, rappresenta il capitale ma non è immediatamente capitale. Questa è una caratteristica del modo di produzione capitalistico, la sua impersonalità che si rappresenta in figure determinate. Certo, la storia personale funziona per l'attore come una risorsa, può funzionare per noi come uno strumento che ci facilita la comprensione, ma noi dobbiamo mettere in luce la figura sociale che Mittal rappresenta, che, conformemente al modo di produzione capitalistico, rappresenta una figura universale.
E allora, se l'esordio di Mitttal, che avviene negli anni 90, ci esibisce in maniera chiara la legge di movimento della crisi del capitale, noi ora dobbiamo andare a individuare in maniera più specifica su quale crisi Mittal interviene, perché questo caratterizza più da vicino il significato di tutta la sua operazione.
Siamo quindi nel passaggio tra il ventesimo e il ventunesimo secolo; e quale passaggio si consuma? Come si presenta il capitalismo alla fine del secolo? Nel passaggio dalla forma che l'aveva caratterizzato durante tre quarti del secolo ventesimo, e cioè l'intreccio profondo tra la grande industria capitalistica e gli Stati, i grandi Stati nazionali, a un’altra.
La questione del nesso tra grande industria e Stato è questione caratterizzante, soprattutto a partire dagli anni 30, a partire dalla risposta che il grande capitale dà anche al grande ciclo di lotte operaie che c'erano state negli anni Venti e che attraverseranno sostanzialmente tutta la fase centrale del secolo ventesimo.
Quindi, l’industria pesante diventa il nerbo del processo di industrializzazione, del grande processo di transizione dall'agricoltura all'industria. Che cosa crea il passaggio alla grande industria, e quindi spiega il ruolo dello Stato? La concentrazione e centralizzazione dei mezzi di produzione. Che cosa fa la grande industria? Crea il mercato mondiale.
Ecco qui il Manifesto: “il passaggio dalla manifattura alla grande industria crea il mercato mondiale la cui potenzialità è data immediatamente nel concetto stesso di capitale, quindi il nesso circolare, l'azione reciproca di grande industria e mercato mondiale”. E nel discorso sulla questione del libero scambio Marx ci fa vedere molto bene questo passaggio. Marx lo disse all'Associazione Democratica di Bruxelles nel gennaio del 1848. Nella disputa tra protezionismo e libero mercato, diceva, alla fine vince il libero mercato perché anche il protezionismo - osservazione preziosa perché riguarda anche la contemporaneità -  è un metodo per introdurre la grande industria in un paese, ma la grande industria crea il mercato mondiale. E allora vedete come l'industria di Stato, lo dico nel senso più lato del termine, produce la sua antitesi: mediante lo Stato si va oltre lo Stato e si va dentro il mercato mondiale.
Questo è il primo momento che caratterizza tutto quanto il Novecento. Il secondo punto di grande tendenza e che sulla base di questa trasformazione che riguarda la produzione tradizionale, immediatamente materiale, di valori d'uso durevoli, il capitale comincia a sussumere sempre più ampie sfere di produzione, anche la sfera che chiamiamo immateriale, la sfera del lavoro intellettuale. Cioè, dopo avere aggredito completamente la base di ogni divisione del lavoro, comincia ad aggredire anche il lavoro intellettuale, che è “materiale” al pari del lavoro materiale in senso stretto. È la rivoluzione informatica che ci sarà negli anni 90. Ma essa è la conseguenza del circolo che si crea tra grande industria e mercato mondiale.
E allora, come si presenta la multinazionale? Si presenta come una forma più elevata dello Stato quanto a centralizzazione dei mezzi di produzione, cioè la stessa centralizzazione statale dei mezzi di produzione tentata nelle sfere dell’industria pesante produce il mercato mondiale, come grande industria, e produce un livello più elevato di centralizzazione.
Faccio un esempio: si dice oggi “nazionalizzare, ri-nazionalizzare le autostrade”, ma la Atlantia possiede un livello di centralizzazione dei mezzi di produzione, dei mezzi di costruzione del tutto superiore rispetto alla fase in cui lo Stato nazionalizzava le diverse società locali e regionali di energia elettrica. E per Stato qui intendo non l'idea dello Stato, che sarebbe la sovrastruttura, ma tutto l'apparato amministrativo con la sua base economica nel sistema di tassazione. Questo intendo per intervento dello Stato, non l’intervento della mistica entità che sta al di sopra della società, come vogliono, ahimé, anche molti nostri cari compagni “nazionalizzatori”.
Qui per un movimento dialettico l'intervento dello Stato nell'economia, forma il mercato mondiale e la forma multinazionale come forma più avanzata di centralizzazione dei capitali. Questo è il nodo. Questo passaggio Marx ed Engels nel Manifesto lo avevano spiegato con molta chiarezza, quando dicono: “con grande dispiacere dei reazionari, la borghesia nella sua funzione rivoluzionaria rompe tutti quanti legami nazionali, tribali, locali ecc.”, e nel capoverso successivo aggiungono: lo Stato è una centralizzazione dei mezzi di amministrazione, cioè lo Stato qui assume tutto un altro significato rispetto a quello che la nazione assume; lo Stato porta verso l'universale ma, poiché è un universale solo ideale, perché la materialità del rapporto sta nella società civile, lo Stato come universale non ce la fa, cede subito di nuovo il posto alla società borghese, e cioè: la centralizzazione che lo Stato può fare solo idealmente diventa realtà dentro la società borghese.

Vedete, a questo primo livello, chi è Mittal? È uno che ha una multinazionale presente in tutto il mondo, che agisce come capitalista globale, cioè agisce come rappresentante del mercato mondiale e Marx nei grundrisse aveva scritto: la tendenza a creare il mercato mondiale è data immediatamente nel concetto stesso di capitale.
Dalla lettura del dossier, che in buona parte documenta gli sviluppi nel primo decennio del 2000, emerge subito Mittal come capace di rappresentare il mercato mondiale e, badate, rappresentarlo: quindi recitare nel “teatro” il ruolo di figura sociale del capitale anche se si presenta come l'indiano che fa la festa vegana alla figlia che ha casa ricca di marmi a Londra, che possiede un’isola ecc.
Marx ce lo specifica in maniera precisa: a noi non interessa se il capitalista si presenta come asceta o come ricco. Uno può macerarsi come un monaco ma, dice Marx, rimane un rappresentante del capitale. Mittal può spendere quello che vuole per fare le feste ma se il plusvalore non viene convertito in forma congrua, il capitale tutto andrebbe a carte 48, e non sarebbe Mittal. E infatti Marx dice che nella trasformazione del plusvalore in capitale, una parte del plusvalore il capitalista lo crea non per proprio consumo ma per reinvestire. Qui il capitale è ascetico, predica il risparmio, predica la rinuncia per reinvestire il capitale.
Mi permetto di dirlo per mettervi in guardia da una ipervalutazione della lettura delle dimensioni personali che pure nel dossier vengono descritte e sono interessanti. Cioè occorre spiegare bene agli operai che se la festa che Mittal dà è in assoluto un eccesso, nella misura in cui non osta la trasformazione del resto del plusvalore in capitale, Mittal è ascetico dal punto di vista del capitale. Sembra un paradosso ma concettualmente la cosa è così.
Mi direte che una cosa di dettaglio su cui mi sto soffermando troppo, ma ci indugio perché questo elemento, contestualizzato in un discorso, potrebbe dare quasi l'impressione che siano i rapporti di distribuzione ad essere prevalenti su quelli di produzione e voi capirete che, in un clima di populismo, di clamore sulla riduzione di stipendi dei parlamentari, di tassazioni progressive che dovrebbero essere “espropriazioni”, vale la pena di sottolineare questo aspetto, riportandolo a questo punto teorico.
Il punto che ho trattato finora è Mittal come capitalista mondiale, capace di rappresentare questa tendenza del capitale.

Tuttavia, la tendenza del capitale a creare il mercato mondiale, che il capitale sia capitale nel mercato mondiale e che quindi la multinazionale superi gli Stati, non significa affatto che a ciò corrisponda uno Stato mondiale. Anzi, per il capitale sarebbe impensabile, impossibile, uno stato mondiale, per altro, come diceva Lenin uno stato mondiale sarebbe il socialismo quindi non sarebbe più uno Stato.
Appartiene esattamente al carattere antagonistico della produzione capitalistica, cioè quello di essere diviso in classi, che il suo universalismo, dice Marx nei grundrisse, rimanga solamente ideale. Il capitale tende al mercato mondiale, tende all'universale, tende a superare gli ostacoli ma il fatto che li abbia superati idealmente non significa che li abbia superati realmente anzi, continua Marx, urta in una serie continua di contraddizioni ogni volta superate ed ogni volta poste fino a che il capitale non riconosce in se stesso la contraddizione che porta al suo superamento attraverso se stesso.
La dialettica tra mercato mondiale e Stati, che si tratti di uno Stato continente come può essere la Cina o il Brasile o l'India o gli Stati Uniti, e uno stato come il Kazakistan o Bosnia-erzegovina, non cambia la contraddizione tra mercato mondiale la sua sovrastruttura politica che si dà in una pluralità di Stati.
Questo ci porta al secondo passaggio del mio ragionamento. In un passo dei Grundrisse Marx dice che cosa è lo Stato: il sistema fiscale. Il sistema delle imposte, con tutto il legame con il debito pubblico, costituisce il nerbo dello Stato. D'altronde se voi sfogliate l'economia politica di Ricardo, Ricardo, che già sa che esistono le classi, dice: le tre classi che contribuiscono all'imposta sono quelle del capitale, della rendita Fondiaria, del lavoro salariato, da cui la famosa frase: senza tassazione non c'è rappresentanza.
Vedete che il sistema fiscale è uno dei punti assolutamente cruciali e subito l'altro snodo per comprendere Mittal, questo intreccio tra l'imprenditore mondiale, rappresentante del mercato mondiale e i vari Stati. In tutto il dossier è continuamente ricordato in tutti i passaggi. In Romania, Kazakistan Bosnia-erzegovina, Stati Uniti ecc. c'è tutta una descrizione molto importante dell'intreccio tra questo imprenditore multinazionale e il sistema fiscale. È un punto importantissimo perché è qui che andiamo a capire la radice di tutti i conflitti ambientali. È la citazione vivente del progetto marxiano, del nesso tra Stato, sistema fiscale e mercato mondiale.
Tutto il sistema delle agevolazioni fiscali hanno la loro radice in questo.
È evidente che se Mittal si mette a pagare le tasse, i costi ambientali li potrebbe avere dallo Stato, anche come riflusso delle tasse che ha pagato, ma questo va a urtare sull’esigenza di ogni capitalista di ridurre i costi di produzione ed ecco tutto il gioco del braccio di ferro tra la multinazionale, l'imprenditore globale e il sistema fiscale statale.
E qui, attenzione, le cose non stanno come sostiene per esempio l'operaismo, “l’impero oltre gli Stati”, come se lo Stato fosse un residuo del passato. Vedete che il sistema fiscale, con la sua base economica, ci fa vedere con assoluta chiarezza come esso è estremamente funzionale al mercato mondiale, con le sue contraddizioni ma anche con i suoi nessi. Quindi il nesso struttura-sovrastruttura a cui va pensato così. Cioè va pensato come nesso tra la società civile che diviene società civile mondiale, quindi diventa mercato mondiale, e la sovrastruttura statuale che mediante il sistema fiscale si intreccia fortemente con il funzionamento del capitale, come mercato mondiale.
Se il capitale creasse un unico Stato, si negherebbe come capitale, cioè come rapporto antagonistico. Che cos'è lo Stato? È lo strumento di una classe per opprimerne un'altra.
Vedete che anche quindi il problema del potere giudiziario, il problema delle inchieste, riguardano il funzionamento del sistema fiscale, il pagare le tasse, il non pagare le tasse; anche l'inquinamento ambientale, nella misura in cui tutto il problema nella posizione di Mittal rispetto all'ambiente si intreccia profondamente con il caratteristico risparmio capitalistico dei costi di produzione, con il problema fiscale, con il problema della tassazione, con i costi derivanti dalla tassazione.
Ecco perché Mittal non guarda in faccia a nessuno, e qui incontriamo il problema India.
A me sembra, dalla lettura del dossier, che egli è interessato all'India non perché sia il suo Stato di provenienza, anche se personalmente porta le stigmate nel comportamento individuale del sistema indiano, le caste ecc., ma perchè la “sua“ India è possibilità di investimento, rappresenta un'opportunità, dice il dossier, per l'industria Siderurgica, perché c'è un ampia popolazione, un basso consumo pro capite attuale, una domanda di acciaio in ascesa. I fattori chiave che attraevano la missione del gruppo in India erano i buoni prezzi, il vantaggio competitivo derivante da una forza lavoro qualificata, i ricchi giacimenti minerari, il sostegno politico a favore della Mittal Steel - sostegno politico che anche altri, sotto il ricatto dell'industriale che porta occupazione ecc., danno a Mittal.
Chi si muove per ottenere che egli investa, come riporta il dossier? Il ministro del Commercio Nat, che scrive all'Unione Europea per caldeggiare l'acquisizione di Arcelor, il primo ministro Singh, che discute con l'allora presidente francese che premeva perché l'acquisizione non andasse avanti, dato che avrebbe messo in discussione i posti di lavoro in Europa. Ma ancora più chiara la cosa emerge a proposito del rapporto con l'Inghilterra nel famoso affare Blair: Blair interviene sul Governo rumeno affinché esso agevoli la trattativa della LNM di Mittal per acquisire l'industria rumena; e Blair interviene perché Mittal aveva finanziato la campagna elettorale del partito laburista. Vedete come è classico, vedete qui che avviene un rovesciamento paradossale, vedete l'ironia della storia, un tempo era l'Inghilterra, l'industria inglese che dominava sull'India, adesso, attenzione, non è l'India che domina sull'Inghilterra, è Mittal che tiene in mano l’India e l'Inghilterra.
Questa è la novità del discorso ed è cruciale questo punto. Ogni discorso su nazionalizzazione o non nazionalizzazione dell'Ilva deve tenere presente questa premessa, sennò veramente si ragiona come se esistesse Babbo Natale.
Vedete che è qui ci troviamo di nuovo dinanzi al nesso mercato mondiale-Stato. Un esempio chiarissimo è la vicenda Cleveland, dove con tutta tranquillità Mittal fa il suo comodo rispetto all'ambiente dinanzi alle leggi come quelle dell'Ohio particolarmente restrittive, e teniamo presente che lì ci troviamo dinanzi a un punto chiave, specie in quel periodo, dell'economia mondiale: di fronte a Cleveland c’è Detroit, c'è tutto un ciclo della produzione e riproduzione capitalistica e non c'è protezionismo che tenga.

Altro punto. Mittal non guarda in faccia ai sindacati di qualsiasi genere, dovunque si trovino, anche il più opportunista dei sindacati. Perché, da capitalista classico, vuole arrivare lì dove vogliono arrivare tutti i capitalisti classici, alla contrattazione individuale, cioè allo scambio semplice tra possessore di forza lavoro e possessore di denaro come capitale e quindi non è la situazione degli anni de “l'imperialismo”, la creazioni di aristocrazia operaia, è proprio il capitale che si presenta nella sua più classica delle figure. Sono di quei cicli per cui si ritorna al punto di partenza, che è la forma merce come punto di partenza e punto di arrivo"
(Successivamente verrà pubblicata la seconda parte)

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