...mentre cresce il profitto dei padroni dell'industria della lavorazione della carne che continuano nell'impunità più assoluta a tenere aperte le aziende.
Come si fa a dire che «i protocolli sarebbero stati regolarmente rispettati» di fronte al contagio di 68 operai?
Deve partire la lotta operaia per la sicurezza nei macelli, si deve imporre la chiusura e sanificare le aziende, contro lo sfruttamento degli operai delle false cooperative in particolare immigrati, sottopagati e ammassati in ambienti ristretti, nella catena di montaggio, negli ambienti refrigerati, con i pesanti ritmi di lavoro che si sono accentuati durante il lockdown
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Il focolaio COVID di Mantova e l’incubo del contagio nei salumifici della Bassa
E’ cominciato tutto al salumificio Gardani di Viadana, nella riva sinistra del Po, solo afa, pianura e le gaggie sugli orli del fiume: 11 contagiati. Subito dopo, secondo focolaio al Macello Ghinzelli, ancora Viadana: 41 su 450 dipendenti. Poi Macello Martelli, a Dosolo: altri 5. Salumificio Rosa, di nuovo Viadana: 6. L’altro ieri, Macello dei fratelli Montagnini: 5. Le prime quattro strutture continuano a funzionare regolarmente.
La provincia di Mantova supera quella di Milano per numero di nuovi contagi da COVID-19, che sono 17 (ieri erano 13) contro i 16 nuovi casi del capoluogo lombardo. Il motivo sono i nuovi focolai che si sono sviluppati nell’ultima settimana tra macelli e salumifici.
Il focolaio COVID-19 di Mantova e l’incubo del contagio nei salumifici della Bassa
Negli ultimi 15 giorni grazie a 1500 tamponi sono stati diagnosticati 54 nuovi casi, più altri quattro a
Cremona e una dozzina a persone non residenti in Lombardia. Quasi tutti sono asintomatici o paucisintomatici (con pochissimi sintomi), solo due persone al momento sono ricoverate ma in situazioni non preoccupanti. I casi sono ricollegabili alla zona di Viadana (dove tra il 26 giugno e il 3 luglio sono state fatte 23 nuove diagnosi) e la vicina Dosolo, tra sei macelli e salumifici. Il totale, spiega oggi La Stampa, ammonta a 68 contagi fra i lavoratori di due salumifici e tre macelli, dipendenti diretti o reclutati da cooperative, molti dei quali extracomunitari, riproducendo pari pari l’incubo che aveva spaventato la Germania appena finito il lockdown, quando oltre 1200 infettati erano apparsi all’improvviso fra gli uomini che faticano con i maiali – qualche volta torturandoli – quasi tutti emigrati dall’Est Europeo rientrati dopo la quarantena, senza averne osservato le rigide imposizioni.
Cremona e una dozzina a persone non residenti in Lombardia. Quasi tutti sono asintomatici o paucisintomatici (con pochissimi sintomi), solo due persone al momento sono ricoverate ma in situazioni non preoccupanti. I casi sono ricollegabili alla zona di Viadana (dove tra il 26 giugno e il 3 luglio sono state fatte 23 nuove diagnosi) e la vicina Dosolo, tra sei macelli e salumifici. Il totale, spiega oggi La Stampa, ammonta a 68 contagi fra i lavoratori di due salumifici e tre macelli, dipendenti diretti o reclutati da cooperative, molti dei quali extracomunitari, riproducendo pari pari l’incubo che aveva spaventato la Germania appena finito il lockdown, quando oltre 1200 infettati erano apparsi all’improvviso fra gli uomini che faticano con i maiali – qualche volta torturandoli – quasi tutti emigrati dall’Est Europeo rientrati dopo la quarantena, senza averne osservato le rigide imposizioni.
E’ ancora presto per affermare che si è ripetuto pure da noi lo stesso perverso meccanismo. Ma il sospetto c’è. Per adesso le autorità sanitarie si sono limitate a far sapere che in tutti i 5 luoghi colpiti dal Covid, «i protocolli sarebbero stati regolarmente rispettati». E’ cominciato tutto al salumificio Gardani di Viadana, nella riva sinistra del Po, solo afa, pianura e le gaggie sugli orli del fiume: 11 contagiati. Subito dopo, secondo focolaio al Macello Ghinzelli, ancora Viadana: 41 su 450 dipendenti. Poi Macello Martelli, a Dosolo: altri 5. Salumificio Rosa, di nuovo Viadana: 6. L’altro ieri, Macello dei fratelli Montagnini: 5.
Le prime quattro strutture continuano a funzionare regolarmente. Solo l’ultima ha temporaneamente interrotto l’attività. Tre di questi posti sono nella zona industriale di Gerbolina, quasi attaccati fra di loro, uno dietro l’altro, come capannoni dalla produzione intensiva, a raffigurare il mito di una società che non si ferma mai. Anche il coronavirus non si ferma mai. E ora, il timore è che questa sia solo la punta dell’iceberg.
Le autorità hanno appena disposto di estendere lo screening a tutti i macelli della zona. Sono stati ordinati altri mille tamponi che verranno effettuati a partire da oggi.
I macelli di Viadana e il Coronavirus
L’ultimo cluster in ordine di tempo, segnalato dall’Ats (Agenzia tutela salute) Valpadana, ha riguardato il salumificio Fratelli Montagnini di Viadana, dove ieri le squadre Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) sono intervenute per sottoporre a tampone 26 dipendenti, dopo che uno di loro era stato ricoverato in ospedale con febbre alta. Cinque sono risultati positivi, tra cui 3 lavoratori di una cooperativa. L’Ats ha predisposto ieri la chiusura dell’attività e oggi è stata effettuata la sanificazione. Sono così saliti mano a mano a 68 i lavoratori (non tutti residenti nel Mantovano), in gran parte asintomatici o con pochi sintomi, risultati contagiati in cinque macelli e salumifici tra Viadana e Dosolo, di cui due ricoverati in ospedale in condizioni che non sarebbero gravi. I tecnici della Ats hanno controllato il rispetto dei protocolli di sicurezza nelle aziende e al momento non risulterebbero violazioni. Il prefetto di Mantova Carolina Bellantoni, dopo una riunione del comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, ha chiesto alle forze dell’ordine di intensificare l’attività di vigilanza e di controllo sulle misure di isolamento, invitando i sindaci ad attivare i presidi necessari per assistere le persone in quarantena.
In Germania la vicenda dei focolai da Covid-19 ha provocato un forte dibattito sulle condizioni di lavoro nei grandi macelli, in particolare dopo che sono risultati positivi al coronavirus oltre 1400 dipendenti dell’azienda Toennies in Nord-Reno Vestfalia, dal far temporaneamente schizzare in altro l’indice di contagio. Delle condizioni dei lavoratori in Germania aveva parlato qualche giorno fa Repubblica:
Lì a Rheda-Wiedenbrück, dove si è registrata la nuova fiammata di Covid-19, il re delle carni Tönnies gestisce il più grande macello d’Europa, dove si ammazzano «fino a 30mila animali al giorno». E dove i lavoratori vengono «sfruttati fino all’osso». Anzitutto c’è il problema di dove vivono: «Dormono in molti in un’unica stanza e si dividono spesso un solo bagno o una sola cucina in 50 o 60. In queste condizioni, distanziamento e igiene non esistono». Il secondo problema è il trasporto. «Questi schiavi salariati, non hanno auto proprie. Le imprese di subappalto che li impiegano, li portano nei bus, in sei o in otto». Anche lì il distanziamento è zero. Idem negli stabilimenti, dove le misure di sicurezza sono un’utopia come dimostra un video dell’8 aprile: nella mensa i lavoratori mangiavano uno addosso all’altro.
La cosa che sconvolge è l’impunità dei signori della carne.
«È un’industria temuta, potentissima. E se dovessero essere applicate le norme di legge, dovrebbe chiudere. Lavorano nell’illegalità e nello sfruttamento alla luce del sole. E non assumono tedeschi, ma solo stranieri. Perché temono infiltrati. Ma anche per razzismo. Quando uno dei nostri ha fatto domanda in un mattatoto gli hanno risposto: “perché si candida? Lei è tedesco!”. Oppure gli hanno detto “si lavora con sostanze chimiche molto pesanti, glielo sconsigliamo”. E non credo lo dicano ai rumeni. Peraltro, questi lavoratori vengono truffati. A Dueren abbiamo denunciato che il capo del reparto, aveva tutti i cartellini dei lavoratori e li timbrava lui per nascondere gli orari veri, molto più lunghi. Alla fine del mese ai lavoratori davano 700 euro. E sa cos’è successo dopo la denuncia? Niente».
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