La cassintegrazione è lungi
dall’essere stata pagata a tutti coloro che ne hanno diritto. La
cassintegrazione Covid copre solo il 58% e quindi è un netto taglio
dei salari di operai e lavoratori che fronteggiano peraltro l’aumento
dei prezzi dei generi di prima necessità e la generale mancanza di
reddito da disoccupazione e precarietà nelle famiglie.
Negli ultimi provvedimenti si torna a
parlare, poi, di “salario minimo orario”. Ma al di là del fatto
che esso è visto al ribasso di fronte alla richiesta semplice di
garantire un salario di 9 euro l’ora nette alla gran massa di
lavoratori e precari che prende molto di meno, il modo come se ne
parla dimostra che non c’è nessuna reale volontà al di là delle
parole.
Così rappresenta la posizione del
governo la stampa del 6 luglio: “La proposta, compatibilmente
con gli obiettivi di finanza pubblica è quella di una graduale
introduzione di un salario minimo orario, collegata alla
contrattazione collettiva nazionale; verrà portata
avanti attraverso il coinvolgimento delle parti sociali e
delle istituzioni interessate,
fissando una soglia minima di retribuzione oraria inderogabile”.
Questo è quello
che il governo intende realmente fare.
Ma certo non è
pressato dal movimento di lotta dei lavoratori. I sindacati
confederali sappiamo che concordano con la posizione del governo,
anzi pensano di diventarne alla fine gli unici beneficiari. Ma questa
rivendicazione non è portata avanti con determinazione, come aspetto
della più generale battaglia per il salario garantito, neanche dal
sindacalismo di base.
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