giovedì 9 febbraio 2017

pc 9 febbraio - I nuovi lager. L’incubo dei migranti nei campi di concentramento libici


Scrittrice e giornalista

Li incontri nei porti, i volti emaciati, i corpi denutriti e sull’orlo di spezzarsi, come le loro anime. Sopravvissuti agli abusi dei campi di detenzione libici, nei cui cortili ancora oggi, migliaia di migranti subsahariani sono rinchiusi.


Picchiati, seviziati, lasciati morire di fame, di stenti e di malattie.

Gli uni accasati sugli altri, le gambe e ginocchia raccolte, con i corpi divorati dalla scabbia per via dell’estrema vicinanza in cui sono costretti a vivere. Le ferite aperte e infette. Siffatti luoghi somigliano terribilmente ai lager (avrete tutti visto le immagini dei servizi della BBC, di VICE e, delle Iene), ma nessuno si muove per fermare un genocidio a connotazione sempre più razziale.

Guardo quei piedi feriti, martoriati cruentemente da armi da fuoco, bastoni e sbarre di metallo. Afferro le ferite nell’anima. Alcuni dei migranti sono impazziti dagli abusi in Libia, e sul porto i sanitari si muovono per i Tso, verso i reparti psichiatrici. O quando qualcuno degli uomini è in gravi condizione di denutrizione, viene condotto verso il Pronto Soccorso degli ospedali siciliani.

È in corso un vero e proprio sterminio di popoli subsahariani in Libia, tenuto nascosto per anni: esseri umani uccisi, sequestrati, torturati lasciati morire di epidemie, abbandonati al loro destino senza essere curati; addirittura vediamo sempre più persone con fratture agli arti inferiori, perché gettati dai piani dei palazzi, dove sono costretti ai lavori forzati, quando si ribellano o non pagano i soldi richiesti. Tecniche di eliminazione che ha sempre più una connotazione razziale, contro i migranti neri in Libia.

Dai campi di concentramento libici – uso la parola a proposito – le testimonianze sono agghiaccianti. Ogni tanto qualcuno sparisce. ”C’è chi riesce a pagare – racconta Adamo somalo – la ‘cifra’ richiesta dai poliziotti e dalle guardie per scappare, ma coloro che riescono ad andar via in questa maniera sono pochi; gli altri si ammalano, e quando non li vedi più, sai che sono spariti per sempre”.

Demba, 28 anni, gambiano: ”In carcere, in Libia, ho visto morire un amico di tubercolosi, perché non l’hanno soccorso e curato. Un giorno trascorso in Libia basta a trasformare un uomo. Qua è l’inferno, non puoi camminare senza venire sequestrato, picchiato o ucciso”.

E poi, sono da menzionare le decine di donne somale e eritree stuprate da poliziotti e milizie libiche (apprendiamo quei stupri collettivi da parte dai racconti dei loro compagni di viaggio, perché è difficile che le donne violentate raccontino le loro terribili esperienze subite in Libia). Sono stupri invisibili, di cui nessuno parla, che riemergeranno solo se verranno adeguatamente curate. Nemmeno il grandissimo documentario-denuncia di Dagmawi Yimer, Come un uomo sulla terra, era riuscito a suscitare indignazione nell’opinione pubblica italiana e solidarietà verso queste donne, stuprate ad un passo da casa nostra, e a questi uomini massacrati in campi sotto l’egida delle Nazione Unite e con tasse dei cittadini italiani.

Le storie di abusi che ho avuto modo di ascoltare, raccontano solo la punta dell’iceberg di tutta una serie di abusi, sequestri, torture di massa perpetrate ai danni dei migranti, soprattutto subsahariani, in Libia. È in corso uno sterminio che assume sempre più una connotazione razziale: uomini abusati o uccisi, solo perché neri.

Non a caso l’Ufficio Onu per il Coordinamento degli Affari umanitari (OCHA), in un Rapporto sulla Libia diffuso il 2 ottobre scorso, ha finalmente dichiarato: “I circa 250.000 rifugiati, richiedenti asilo, presenti in Libia sono quelli più bisognosi di protezione, dal momento che il loro status li rende particolarmente vulnerabili ad abusi, emarginazione e sfruttamento”.

Ma invece di organizzare corridoi umanitari e assicurare la protezione internazionale a queste persone ormai intrappolate in Libia, che non hanno alcuna possibilità di tornare indietro verso i loro paesi di origine e che sono destinate ad essere vittime di torture nei centri di detenzione, l’Ue accelera per converso l’intervento militare e passa alla fase 2 di EuNavForMed contro i presunti e cosiddetti scafisti, non esitando a bombardare i barconi in cui i migranti affrontano il più difficile dei viaggi della speranza. Intanto, la violazione massiccia dei diritti a cui i migranti sono quotidianamente esposti, unita al serio rischio che costoro corrono di rimanere uccisi in Libia, spiega il motivo perché in tanti preferiscono imbarcarsi verso l’Europa per aver salva la pelle.

Se sopravvissuti alla trappola libica, e se non scomparsi in mare, i migranti approderanno infine nei porti, nei quali avrebbero bisogno di trovare un’accoglienza e una protezione straordinarie. L’Ue, al contrario, organizza il loro rimpatrio. Rimpatria sopravvissuti ai lager, verso i lager da cui sono fuggiti.

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