pc 9 febbraio - I nuovi lager. L’incubo dei migranti nei campi di concentramento libici
Flore Murard-Yovanovitch
Scrittrice e giornalista
Li incontri nei
porti, i volti emaciati, i corpi denutriti e sull’orlo di spezzarsi,
come le loro anime. Sopravvissuti agli abusi dei campi di detenzione
libici, nei cui cortili ancora oggi, migliaia di migranti subsahariani
sono rinchiusi.
Picchiati, seviziati, lasciati morire di fame, di stenti e di malattie.
Gli uni accasati sugli altri, le gambe e
ginocchia raccolte, con i corpi divorati dalla scabbia per via
dell’estrema vicinanza in cui sono costretti a vivere. Le ferite aperte e
infette. Siffatti luoghi somigliano terribilmente ai lager (avrete
tutti visto le immagini dei servizi della BBC, di VICE e, delle Iene), ma nessuno si muove per fermare un genocidio a connotazione sempre più razziale.
Guardo quei piedi feriti, martoriati
cruentemente da armi da fuoco, bastoni e sbarre di metallo. Afferro le
ferite nell’anima. Alcuni dei migranti sono impazziti dagli abusi in
Libia, e sul porto i sanitari si muovono per i Tso, verso i reparti
psichiatrici. O quando qualcuno degli uomini è in gravi condizione di
denutrizione, viene condotto verso il Pronto Soccorso degli ospedali
siciliani.
È in corso un vero e proprio sterminio
di popoli subsahariani in Libia, tenuto nascosto per anni: esseri umani
uccisi, sequestrati, torturati lasciati morire di epidemie, abbandonati
al loro destino senza essere curati; addirittura vediamo sempre più
persone con fratture agli arti inferiori, perché gettati dai piani dei
palazzi, dove sono costretti ai lavori forzati, quando si ribellano o
non pagano i soldi richiesti. Tecniche di eliminazione che ha sempre più
una connotazione razziale, contro i migranti neri in Libia.
Dai campi di concentramento libici –
uso la parola a proposito – le testimonianze sono agghiaccianti. Ogni
tanto qualcuno sparisce. ”C’è chi riesce a pagare – racconta Adamo
somalo – la ‘cifra’ richiesta dai poliziotti e dalle guardie per
scappare, ma coloro che riescono ad andar via in questa maniera sono
pochi; gli altri si ammalano, e quando non li vedi più, sai che sono
spariti per sempre”.
Demba, 28 anni, gambiano: ”In carcere,
in Libia, ho visto morire un amico di tubercolosi, perché non l’hanno
soccorso e curato. Un giorno trascorso in Libia basta a trasformare un
uomo. Qua è l’inferno, non puoi camminare senza venire sequestrato,
picchiato o ucciso”.
E poi, sono da menzionare le decine di
donne somale e eritree stuprate da poliziotti e milizie libiche
(apprendiamo quei stupri collettivi da parte dai racconti dei loro
compagni di viaggio, perché è difficile che le donne violentate
raccontino le loro terribili esperienze subite in Libia). Sono stupri
invisibili, di cui nessuno parla, che riemergeranno solo se verranno
adeguatamente curate. Nemmeno il grandissimo documentario-denuncia di
Dagmawi Yimer, Come un uomo sulla terra,
era riuscito a suscitare indignazione nell’opinione pubblica italiana e
solidarietà verso queste donne, stuprate ad un passo da casa nostra, e a
questi uomini massacrati in campi sotto l’egida delle Nazione Unite e
con tasse dei cittadini italiani.
Le storie di abusi che ho avuto modo di
ascoltare, raccontano solo la punta dell’iceberg di tutta una serie di
abusi, sequestri, torture di massa perpetrate ai danni dei migranti,
soprattutto subsahariani, in Libia. È in corso uno sterminio che assume
sempre più una connotazione razziale: uomini abusati o uccisi, solo
perché neri.
Non a caso l’Ufficio Onu per il
Coordinamento degli Affari umanitari (OCHA), in un Rapporto sulla Libia
diffuso il 2 ottobre scorso, ha finalmente dichiarato:
“I circa 250.000 rifugiati, richiedenti asilo, presenti in Libia sono
quelli più bisognosi di protezione, dal momento che il loro status li
rende particolarmente vulnerabili ad abusi, emarginazione e
sfruttamento”.
Ma invece di organizzare corridoi
umanitari e assicurare la protezione internazionale a queste persone
ormai intrappolate in Libia, che non hanno alcuna possibilità di tornare
indietro verso i loro paesi di origine e che sono destinate ad essere
vittime di torture nei centri di detenzione, l’Ue accelera per converso
l’intervento militare e passa alla fase 2 di EuNavForMed contro i
presunti e cosiddetti scafisti, non esitando a bombardare i barconi in
cui i migranti affrontano il più difficile dei viaggi della speranza.
Intanto, la violazione massiccia dei diritti a cui i migranti sono
quotidianamente esposti, unita al serio rischio che costoro corrono di
rimanere uccisi in Libia, spiega il motivo perché in tanti preferiscono
imbarcarsi verso l’Europa per aver salva la pelle.
Se sopravvissuti alla trappola libica, e
se non scomparsi in mare, i migranti approderanno infine nei porti, nei
quali avrebbero bisogno di trovare un’accoglienza e una protezione
straordinarie. L’Ue, al contrario, organizza il loro rimpatrio.
Rimpatria sopravvissuti ai lager, verso i lager da cui sono fuggiti.
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