“Ciao tutti, saluti rossi”.
Lettere di prigionieri dall’incubo dei carceri speciali
07 febbraio
2017
In libreria “Visto censura”,
progetto di Bebert edizioni sulla corrispondenza dei prigionieri politici degli
anni 70 e 80. Un libro sul carcere, sugli “speciali”, dall’Asinara, a
Palmi fino a Voghera
di Ercole Olmi
La mia radio in questo carcere non me l’hanno
consegnata perché ha la modulazione di frequenza, se trovate un transistor
senza FM mi fate un favore. Ciao tutti Per il comunismo fino in fondo, Loris
[Loris Tonino Paroli, Carcere di Viterbo, 18.04.1976]
“Dopo il 1974 l’illegalità diffusa e
insurrezionale aumenta a macchia d’olio, grazie al contributo
decisivo dell’area dell’Autonomia Operaia che, in parte, convoglia le energie dei gruppi extraparlamentari in dissoluzione. In questa fase, l’esperienza della violenza nella lotta politica si situa spesso sul crinale tra estemporaneità e pianificazione. A provarlo è la miriade di gruppuscoli armati che nascono, fluttuano, si sciolgono o entrano nelle organizzazioni maggiori, principalmente Brigate Rosse o Prima Linea, la quale si distingue per una visione ideologica e una pratica della lotta armata più movimentiste e libertarie. Se, quindi, le statistiche parlano di un numero di sigle che varia tra le 78 e le 125, sembra più prudente attestarsi su un totale di 24 organizzazioni maggiori effettivamente attive tra il 1969 ed il 1989, come individuato dal Progetto memoria. I numeri della partecipazione rimangono impressionanti, nonostante i risultati discordanti che caratterizzano i vari studi e l’assenza di elaborazioni ufficiali: si passa dai 1138 inquisiti individuati da Della Porta a fenomeno in corso, ai 4087 del Progetto memoria mentre altre stime arrivano fino a 20000 inquisiti e 6000 “.
decisivo dell’area dell’Autonomia Operaia che, in parte, convoglia le energie dei gruppi extraparlamentari in dissoluzione. In questa fase, l’esperienza della violenza nella lotta politica si situa spesso sul crinale tra estemporaneità e pianificazione. A provarlo è la miriade di gruppuscoli armati che nascono, fluttuano, si sciolgono o entrano nelle organizzazioni maggiori, principalmente Brigate Rosse o Prima Linea, la quale si distingue per una visione ideologica e una pratica della lotta armata più movimentiste e libertarie. Se, quindi, le statistiche parlano di un numero di sigle che varia tra le 78 e le 125, sembra più prudente attestarsi su un totale di 24 organizzazioni maggiori effettivamente attive tra il 1969 ed il 1989, come individuato dal Progetto memoria. I numeri della partecipazione rimangono impressionanti, nonostante i risultati discordanti che caratterizzano i vari studi e l’assenza di elaborazioni ufficiali: si passa dai 1138 inquisiti individuati da Della Porta a fenomeno in corso, ai 4087 del Progetto memoria mentre altre stime arrivano fino a 20000 inquisiti e 6000 “.
E’ quello che scrive Lorenzo De Sabbata, nella sua
“Breve storia della lotta armata in Italia”, pubblicata in Visto censura. Lettere di
prigionieri politici in Italia (1975-1986), in uscita il 10 febbraio per la collana Niandra di
Bébert Edizioni, raccoglie la corrispondenza inedita di prigionieri politici,
in prevalenza aderenti alle Brigate Rosse. Sette documenti e 79 lettere da una
molteplicità di voci, alcune delle quali testimoniano più di vent’anni di
detenzione. Pensato come uno strumento di pensiero critico, ma anche e
soprattutto come un libro sul carcere, sugli “speciali” (Asinara, Palmi e
Voghera) e sulle condizioni detentive di quel momento storico, Visto censura si
pone l’obiettivo di analizzare un periodo che si è spesso voluto semplificare,
trascurando le sfumature e procedendo a tentoni tra dietrologia e gossip
giornalistico. La complessità storica, le norme giuridiche e la condizione del
corpo delle donne in carcere racchiusa nelle lettere richiedevano di essere
approfondite. Per questo il libro è introdotto da tre saggi concepiti come
necessario strumento di lettura. Lorenzo De Sabbata (dottorando presso il
Centre deRecherche Historique de l’École des Hautes Études en Sciences Sociales
di Parigi) si è occupato di una contestualizzazione storica del fenomeno della
lotta armata. Simone Santorso (docente di Criminologia presso l’Università di
Hull,UK) ha descritto l’evoluzione del sistema carcerario con un focus sulle
carceri speciali. Giulia Fabini (dottore di ricerca in Law and Society presso
l’Università degli Studi di Milano e collaboratrice in Criminologia presso
l’Università di Bologna) ha esplorato la sfaccettata e finora poco indagata
questione del corpo della donna detenuta:
“Con la repressione contro la lotta armata in Italia
di fatto si operò il trasferimento forzato dalla società libera al dentro
carcerario di una effervescenza politica organizzata e ancora attiva: centinaia
e centinaia di soggetti politicizzati che, dall’interno, non smisero di mettere
in atto lotte, rivendicazioni e produzioni teoriche che da quel momento ebbero
ad oggetto proprio il carcerario. In particolare per le donne detenute la
carcerazione delle “politiche” ha un valore storico di alto rilievo, in quanto
alla fine degli anni Sessanta si ha per la prima volta l’entrata di un gran
numero di soggetti politicizzati nel circuito della detenzione femminile1 e la
creazione dei primi collettivi di donne recluse. È anche la prima volta in cui
si produce l’incontro tra “politiche” e “comuni”, con tutte le difficoltà del
caso, ma anche con le possibilità di cambiamento e di contagio che da questo
momento si mettono in atto2 . Saranno le donne della lotta armata le prime a
mettere in crisi il sistema di detenzione femminile fino ad allora basato su un
modello “familiare” di gestione della detenuta, dove il reato compiuto da una
donna era visto soprattutto come atto di amoralità e colei che lo commetteva
poteva essere “riabilitata” sempre, soprattutto attraverso la preghiera come
atto di disciplina e pentimento imposto dalle suore3 . Le lettere delle
detenute politiche dal carcere costituiscono un’importante finestra sulle
problematiche specifiche della condizione della donna detenuta e sono anche una
testimonianza dell’inizio di una resistenza al particolare tipo di violenza
proprio di queste strutture”.
Continuiamo a leggere De Sabbata:
“Parallelamente, la controffensiva dello Stato aumenta
di vigore e l’“emergenza antiterrorismo” si articola da un punto di vista
penitenziario, legislativo e giudiziario: la creazione delle carceri speciali
di massima sicurezza e la progressiva applicazione dell’articolo 90 si
coniugano con l’approvazione, nel 1980, della cosiddetta “legge Cossiga” che
introduce sconti di pena per i collaboratori di giustizia e aggravanti
specifiche per i condannati, in una “sostanziale restrizione dei diritti
individuali e delle garanzie costituzionali anche sul piano processuale”.
Questo clima plumbeo spinge alcuni gruppi di prigionieri politici a rifiutare
la dicotomia pentitismo/continuazione della lotta, riconoscendosi in un’idea di
“desistenza”, che coniughi distacco dalla violenza e rifiuto della
collaborazione”. «Gli anni compresi tra il 1975 e il 1987 sono stati di
particolare rilevanza, sia per le trasformazioni del sistema
penal-penitenziario, sia per la repressione dei movimenti e delle
organizzazioni armate. In tale arco temporale si assiste ad un ampliamento del
potere coercitivo delle polizie nella gestione dell’ordine pubblico, facendo
leva ancora una volta sulla dichiarazione dello stato di emergenza e sul
principio di eccezione; tale processo dà avvio ad una radicale e profonda
trasformazione del sistema carcerario italiano, alternando coercizione e violenza
fisica a meccanismi di disciplinamento “morbidi”», si legge nel saggio
di Simone Santorso rispetto al periodo che vide la promulgazione della
famigerata Legge Reale (che prevedeva la possibilità di eseguire arresti
preventivi, con un fermo di 96 ore in carcere, anche solo quando esistesse il
“pericolo” di fuga o il sospetto che l’indagato potesse fare uso di violenza di
varia natura. Mentre l’articolo 14 ampliò i casi in cui la polizia poteva
legittimamente ricorrere all’uso di armi da fuoco. Di fatto all’agente era
consentito sparare non solo quando “costretto dalla necessità di respingere una
violenza o di vincere una resistenza all’autorità”, ma più ampiamente “per
impedire delitti di strage, naufragio, disastro aviatorio, disastro
ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata, sequestro di persona”),
l’istituzione delle carceri speciali, gestite dal Generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa (gergalmente definito “circuito dei camosci”), e i cosiddetti
decreti Cossiga.
Ricorda Santorso: «Tra il 18 e il 26 luglio
1977, sospese le traduzioni ordinarie, più di un migliaio di detenuti furono
prelevati dalle carceri da centinaia di carabinieri e trasportati in cinque
istituti di massima sicurezza, cioè le case di reclusione di Cuneo,
Fossombrone, Trani, Favignana e Asinara. L’anno successivo a queste strutture
si aggiunsero Novara e Termini Imerese, la casa circondariale di Nuoro (Badu ’e
Carros), la diramazione Agrippa della casa di reclusione di Pianosa e
successivamente Palmi e Ascoli Piceno, oltre alle carceri speciali femminili di
Messina, Latina e Pisa7 . Alla fine del 1980 le persone rinchiuse nel circuito
dei camosci erano circa 35008. La lista stilata dal Generale Dalla Chiesa
prevedeva non solo detenuti politici, sia di sinistra che neofascisti, ma anche
appartenenti alla criminalità organizzata, oltre a individui ritenuti
particolarmente pericolosi, sia in relazione ai delitti loro attribuiti, sia in
relazione al comportamento carcerario. Di fatto la creazione delle carceri di
massima sicurezza (dette anche “speciali”) non fu disposta solamente per i
detenuti politici, tuttavia nella prassi essi divennero il gruppo di reclusi
più numeroso (…) La necessità di “pacificare” le carceri reprimendo e fermando
le forme e i meccanismi di politicizzazione dei detenuti (scioperi,
occupazioni, rivolte ecc.) e riducendo gli episodi di evasioni, marcò l’inizio
di una nuova fase del sistema carcerario italiano. Innanzitutto le carceri
speciali si caratterizzavano per la loro struttura: avevano un doppio muro di
cinta, doppie sbarre alle finestre, celle prevalentemente singole o con un
massimo di due-tre reclusi per stanza e un numero equivalente di agenti e
detenuti. La rigidità delle strutture indubbiamente condizionò la vivibilità
degli ambienti, all’elemento architettonico furono aggiunti sistemi di
sorveglianza particolarmente intensi che ad esempio prevedevano la visibilità
del detenuto 24 ore su 24, oltre a forme di sorveglianza esterna organizzate in
ronde gestite dall’Arma dei Carabinieri».
Il lavoro di ricerca è stato curato dalla
redazione di Bébert Edizioni: dalla lettura delle lettere provenienti da fondi
privati, passando per la riscrittura, fino alla catalogazione e al riordino
all’interno delle quattro sezioni di questo volume: Affettività, Carcere,
Politica e Documenti, anche questi ultimi inediti. Per facilitare la lettura,
il libro è infine corredato di un piccolo Glossario contenente le principali
organizzazioni politiche, il lessico giuridico e carcerario presenti nel testo.
Il progetto è quello di dare voce alla complessità e
alle contraddizioni di un’esperienza storica, creando un archivio di narrazioni
e documenti che ne svelano la dimensione personale e umana. Per questo è stato
scelto che a parlare fossero direttamente i protagonisti, che attraversano
scioperi della fame, rivolte, riflessioni politiche, rapporti affettivi dentro
e fuori dal carcere. Questo libro è nato anche grazie alla collaborazione con
Vincenzo Solli, animatore della rivista Soffione Bora (Lu) Cifero che, tra gli
anni ’70 e ’80, raccoglieva componimenti dei detenuti. Senza la sua
corrispondenza ostinata con i reclusi, Visto censura non sarebbe stato
possibile.
In anteprima una delle lettere contenute nel volume:
Ciao bella gente di periferia! Come va nel vostro
universo? Qui implode (come sempre) mentre esplode il mio cervello… oggi… in un
pomeriggio che sembra un inno alla vita. Così la ferita riprende a sanguinare
senza sosta ed io cerco di suturarla galoppando con la fantasia in spazi
ideali. Poco di nuovo sotto questo cielo… per fortuna che c’è l’altra metà che
ne compensa in parte il peso della sporca catena. Sono assetato di sole, e quel
figlio di puttana che progettò questo monumento all’infamia, fece in modo che
il nostro amato sole, mai batta sulla mia finestra e su quella di molta povera
gente. Hai ragione dolce G. i miei silenzi sono urli sussurrati. Tacendo a
volte si dice più che parlando. Sono le mie contraddizioni queste e non sempre
sono capace di trasmettere come vorrei. A volte, come nei segreti di un fanciullo,
mi rifugio nella mia tana… interiore poi squarcio il muro e penso a quanto
siamo stupidi (noi esseri intelligenti) noi che se avessimo più coscienza, ci
renderemmo conto di quanto breve è la vita che viviamo, e non parlo di una vita
qualunque, ma di quella che nel corso della nostra esistenza si può contare in
istanti, forse in ore… chissà…
Caro Vincè, tu/voi a modo vostro vivete un angolino di
comunismo… voi non siete isola e anche se lo foste, avete avuto la capacità di
gettare un ponte tra voi ed altri vicini e lontani. Sono contento che andiate a
trovare la [omissis] e ho confidato ciò che ho raccontato a voi sul periodo del
partigianato. Pensate che una volta la partigiana [omissis] fu catturata dai
nazisti e ovviamente subì un pesante interrogatorio. Per sua fortuna il comando
partigiano aveva un tenente tedesco prigioniero e così, dopo lo scambio, lei
tornò sulle montagne. E che dire di quella volta che era inseguita dai
fascisti, mentre operava un collegamento come staffetta con la brigata?! L’avevano
quasi acchiappata ma si salvò grazie ai covoni di fieno di una piccola capanna
e nonostante la perquisizione dei nemici (che le sfiorarono i capelli con un
piede) riuscì a trattenere il respiro, mentre teneva la pistola con l’ultima
pallottola vicino alla tempia. Cadere nelle loro mani significava tortura e
morte. Io amo molto questa donna e, credetemi, ne ho conosciute poche come lei,
di quella stoffa, alquanto rare. Ciao belli a presto con amore, Nuccio
[Agrippino Costa , Fossombrone, 26.01.1983]
Visto censura.
Lettere di prigionieri politici in Italia
(1975-1986) Bébert Edizioni
Venerdì 10 febbraio
via Paolo Fabbri 110, Bologna
Dalle ore 19 aperitivo
Ore 21 presentazione del libro con
i curatori (Bébert Edizioni) e Giulia Fabini, autrice del saggio
introduttivo “Corpo di donna e carceri speciali: non un discorso a margine”.
A seguire proiezione del documentario “Donne e uomini delle Brigate Rosse”
https://www.openddb.it/film/donne-e-uomini-delle-brigate-rosse/
A seguire proiezione del documentario “Donne e uomini delle Brigate Rosse”
https://www.openddb.it/film/donne-e-uomini-delle-brigate-rosse/
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