pc 3 gennaio - Per il dibattito, Almaviva
Siamo
avviliti e schifati per il modo in cui giornali e telegiornali stanno
vendendo la nostra storia all’opinione pubblica. Quasi non crediamo sia
possibile che l’unica versione servita al popolo italiano sia quella
dell’azienda, del Governo o al massimo delle dirigenze sindacali. 1666 lavoratori vanno a casa dopo anni di lavoro e mesi di battaglie e la loro voce non viene praticamente ascoltata.
Perché
non sono i mesi di sacrifici, di contratti di solidarietà, di salario
perso a forza di scioperi, gli anni di lavoro che vanno in fumo con una
semplice lettera di licenziamento. Non è questo il nostro principale
dolore in questo momento. Sono queste inaccettabili menzogne a ferirci davvero, quelle che vorrebbero tramutare la vittima in colpevole.
Quelle che vorrebbero far ricadere la
colpa di questo licenziamento di massa sugli stessi che lo subiscono e
non su un’azienda che l’ha sempre voluto, che da anni usa questa
minaccia per intascare soldi e commesse pubbliche, che da anni vessa i
propri dipendenti e li mette gli uni contro gli altri. Un’azienda che
mentre chiude le sedi di Roma e Napoli dove i lavoratori sono più
anziani e le costano di più perché hanno ancora dei diritti, non si fa
scrupolo di delocalizzare in Romania e chiedere ore di straordinario
nelle sedi di Milano e Rende.
Perché
la vera notizia di oggi doveva essere quella per cui in questo paese
pieno di ricatti, di paura, di un servilismo alimentato da piccole
promesse e illusioni, qualcuno, nonostante il prezzo, ha provato a dire
NO: No a un accordo che altro non era che l’ennesimo attacco alla
nostra dignità di lavoratori ed ai nostri diritti conquistati in anni di
lavoro. Questa la proposta “indecente” avanzata da azienda e
Governo, proposta che prevedeva la rinuncia agli scatti di anzianità
maturati, controllo individuale e cassa integrazione. Tutte condizioni
che se accettate avrebbero decurtato stipendi già miseri, reso ancora
più insopportabile la nostra vita lavorativa e reso noi lavoratori
ancora più vessati ed umiliati. Tutte proposte, guarda caso, avanzate
dall’associazione padronale di categoria (ASSTELL) per il rinnovo del
contratto nazionale dei dipendenti delle telecomunicazioni.
La pezza che ha provato a metterci il Governo consisteva soltanto in una proroga della trattativa di altri tre mesi.
Uno stillicidio pagato con le tasche dei contribuenti in forma di cassa
integrazione, per imporre poi lo stesso taglio del costo del lavoro e
il controllo individuale che avevamo dichiarato inaccettabile e quindi
concludere il tutto comunque con i licenziamenti. E per far passare
questa schifezza, che nei titoli dei giornali era già “salvataggio”
ancor prima che la trattativa si concludesse, hanno fatto una forzatura
inaccettabile: quella di separare le vertenze di Napoli e Roma, che
finora avevano corso insieme, per metterle l’una contro l’altra.
E ora vorrebbero mascherarsi dietro i
formalismi procedurali e con questi assolvere ancora una volta dalle sue
responsabilità un’azienda da sempre arrogante e spietata!
La verità è che Almaviva voleva il plebiscito e non l’ha ottenuto.
Perché è vero che la paura si è fatta strada, assecondata dalle
dirigenze sindacali che, anziché rafforzare quelli che resistevano,
l’hanno pure alimentata con raccolte firme e un referendum che non aveva
nulla di democratico, che chiamava libero un voto svolto sotto ricatto.
Per una volta però questo non è bastato. Perché nonostante questo, in
quel referendum, il 44% dei lavoratori ha comunque detto NO. Noi
capiamo i nostri colleghi del SI, quelli disposti alla fine ad accettare
e non gli facciamo una colpa delle loro decisioni. I colpevoli dei
ricatti non solo quelli che cedono, ma quelli che li architettano.
Capiamo adesso la loro delusione, molto di più quanto non lo facciano
quelli che li hanno provati a sfruttare contro di noi, che si sono
gettati come sciacalli sulle incertezze e difficoltà di noi tutti, le
difficoltà che chiunque proverebbe di fronte a una lettera di
licenziamento. Perché nonostante le nostre scelte diverse noi siamo e ci
sentiamo nella stessa condizione.
Però nonostante gli enormi sacrifici
che questa comporta, rivendichiamo con orgoglio di aver messo un punto,
un freno all’arroganza di chi chiama “responsabilità” accettare di
essere servi pur di lavorare. Perché a tutto c’è un limite, ancora
siamo uomini e non ancora schiavi, nonostante le politiche di questi
governanti che ora voglio apparire salvatori ci stiano portano in questa
condizione.
Per
questo hanno provato a infamarci, perché abbiamo dimostrato che la loro
arroganza non può tutto. E questo non lo riescono proprio a tollerare. Perché
ci tengono ad apparire più forti di quanto siano e hanno il terrore che
anziché farci la guerra tra noi per le briciole che ci concedono
potremmo cominciare a unirci e lottare.
Per noi, infatti, la lotta non si conclude qui.
Lavoratori e lavoratrici Almaviva contro lo sfruttamento
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