La produzione di acciaio ha iniziato a diminuire in tutto il mondo
A
partire dalla seconda metà del 2015, la produzione mondiale di acciaio
ha iniziato a diminuire decisamente arrestandosi alla fine dell’anno a
1.622 milioni di tonnellate, il 2,8% in meno rispetto al 2014. Era dal
2009 che non si registrava un calo produttivo su scala planetaria in
questo comparto che è in assoluto il più importante dell’industria
capitalistica. La produzione è scesa in Asia del 2,3% con un calo in
Corea del Sud del 2,6%, del 5% in Giappone e del 2,3% in Cina; solamente
l’India nel 2015 ha fabbricato più acciaio che nel 2014: quasi 90
milioni di tonnellate a fine anno con un aumento del 2,6% sull’anno
precedente. Nell’area NAFTA (USA, Canada e Messico) il calo della
produzione è stato addirittura dell’8,6% con un meno 10,5% negli Stati
Uniti. In Europa sono stati prodotti 166 milioni di tonnellate con un
calo dell’1,8%: Germania 42,7 milioni (-0,6%), Italia 22 milioni
(-7,1%), Francia 15 milioni (-7,1%), Spagna 14,9 milioni (+4,4%),
Inghilterra 10,9 milioni (-10,4%)... E i dati relativi al primo
trimestre del 2016 indicano che la tendenza alla discesa della
produzione prosegue: -3,6% a livello mondiale...
Nei primi mesi di
quest’anno hanno iniziato a moltiplicarsi le chiusure di impianti
siderurgici, per ora ancora solamente di quelli meno produttivi ed
obsoleti, e il rinvio o la cancellazione di programmi di espansione nel
comparto dell’acciaio e nell’industria estrattiva ad esso correlata.
Proprio perché si verificano in quello che è il comparto fondamentale
della produzione industriale su base capitalistica, tutti questi fatti
indicano chiaramente l’esaurimento dell’ultimo ciclo di accumulazione
che era ancora consentito al capitale prima che le specifiche
contraddizioni che caratterizzano il suo sviluppo storico raggiungessero
la massima ampiezza e la massima profondità.
Il grafico che segue
indica quanto l’industria siderurgica abbia beneficiato della
congiuntura favorevole che si è materializzata all’inizio del nuovo
secolo, in termini di capitalizzazione (percentuale degli investimenti
in capitale fisso nel comparto dell’acciaio sul totale dei fixed
assests) e di profitti (rapporto tra entrate e vendite). Dopo il 2009 la
quota di beni capitali riferita all’industria dell’acciaio inizia però a
registrare un rapido declino...
...Il
modo di produzione capitalistico si è diffuso a tutto il pianeta, il
capitale ha conquistato nuovi mercati nei quali investire sottoponendo
al lavoro salariato centinaia di milioni di nuovi operai ma, nello
stesso tempo, questa enorme espansione è stata un potentissimo fattore
di accelerazione di tutte le contraddizioni che sovradeterminano questo
modo di produzione. Nel volgere di solamente una decina di anni, è stata
portata al grado estremo la composizione tecnica, materiale, del
capitale produttivo, ossia il rapporto tra la massa dei mezzi di
produzione utilizzati, che non producono plusvalore, e la quantità di
lavoro necessaria per il loro impiego, unica fonte del plusvalore. E
questo è avvenuto tanto nelle fabbriche delle nazioni a capitalismo
maturo quanto in quelle delle nazioni della vecchia e nuova periferia.
Per tentare di ricavare ulteriore tempo di pluslavoro, e quindi
ulteriore plusvalore, il capitale ha ovunque divorato, ormai fino
all’osso, il tempo di lavoro necessario agli operai per riprodurre il
proprio salario. Per far fronte al nuovo e immenso fabbisogno di materie
prime energetiche, industriali e alimentari richieste dal nuovo ciclo
espansivo, ha dovuto estrarle a profondità sempre maggiori, coltivarle
sempre più su terreni inadatti, facendo lievitare i costi della loro
produzione fino a un punto per lui stesso assolutamente insostenibile.
Tutto questo si manifesta come caduta inarrestabile del saggio di
profitto, il motore della produzione capitalistica... (CONTINUA)
Nessun commento:
Posta un commento