martedì 28 giugno 2016

pc 28 giugno - Sulle elezioni a Napoli abbiamo già scritto - sul documento elettorale di Je so' pazzo abbiamo già pubblicato una critica - bisogna continuare. Per riprendere la discussione ripartiamo dall'intervento di Jsp all'assemblea post elettorale, nei prossimi giorni commentiamo


Abbiamo deciso di pubblicare, per chi non abbia avuto modo di seguire l’assemblea o vedere i video, una sintesi del nostro intervento all’assemblea “per il potere popolare” che si è tenuta sabato 25 giugno all’Ex OPG, assemblea alla quale hanno partecipato circa 400 persone.
Si tratta di poche e semplici parole, che però tentano di chiarire cosa stiamo tentando di fare, quale sia la posta in gioco nel “controllo popolare”, cosa può succedere a Napoli, cercando allo stesso tempo di indicare un piano di lavoro che vada ben oltre Napoli.
Ringraziamo ancora una volta tutti quelli che sono venuti, e tutti i venticinque intervenuti… E, come al solito, commenti, critiche, consigli, sono ben accetti!

Grazie a tutte e tutti per essere venuti qui oggi!
Prima di iniziare, vorremmo chiedervi un momento di attenzione. Vorremmo ricordare un nostro concittadino, un ragazzo come noi, un lavoratore di Scampia, morto proprio il 25 giugno di due anni fa. Il suo nome è Ciro Esposito. Ciro fu gravemente ferito a Roma, per l’odio di un fascista e per
oscure manovre di cui ancora si sa poco. La sua famiglia però ha saputo reagire, ha saputo trasformare il dolore in forza, ha avviato progetti sociali con l’associazione “Ciro Vive”, è stata parte del rinnovamento di questa città. La mamma Antonella, il papà Gianni, per noi sono degli esempi. Mentre loro sono a Scampia a ricordare Ciro, noi vogliamo che gli arrivi tutto il nostro calore, tutto il nostro affetto, tutto il nostro abbraccio!  

Volevamo iniziare spiegando il perché di quest’assemblea. Ma in effetti crediamo che tutta questa partecipazione rappresenti già una risposta. Quest’assemblea non ce la siamo inventata noi, si è imposta da sola. Era un’esigenza diffusa. Noi avevamo detto: non ci fermiamo, non ci limitiamo a sostenere un sindaco, e così è stato. Non solo per noi, ma per tutti.
Che qui a Napoli stia succedendo qualcosa è evidente. Non è affatto scontato che dopo due mesi di campagna elettorale, un sabato di fine giugno la gente si vedesse. Evidentemente non ci basta. Non ci basta aver delegato una persona o un gruppo di persone ad amministrare la città e poi “ci vediamo fra cinque anni”. Le persone hanno voglia di parlare, pensano che finalmente ci sia qualcuno che le ascolti. Pensano che sia finito il tempo in cui le decisioni le subivano, e che ora vogliono impegnarsi in prima persona.

Persino queste elezioni non sono state come quelle del passato, perché nemmeno il controllo sui brogli è stato delegato. I cittadini, con o senza maglietta “controllo popolare”, si sono presentati di loro spontanea volontà per vedere, documentare, impedire. Perché se lo Stato dimostra di non voler intervenire, o di essere colluso con i poteri forti, che siano le mafie o i grandi interessi padronali, allora il popolo deve mobilitarsi perché i suoi diritti vengano rispettati.  

Ecco, detto molto banalmente, cos’è il potere popolare. È una cosa antichissima, perché “potere al popolo”, “controllo popolare”, sono cose che esprimono da sempre il senso stesso della democrazia, ma è una cosa per tanti aspetti nuovissima, perché nessuno l’ha mai messa davvero in pratica. Noi in questa città abbiamo l’occasione storica di farlo!

Diciamo “storica” perché il Sud è sempre stato rappresentato come il luogo di una distanza fra le istituzioni e il popolo. Noi non eravamo cittadini, ma sudditi. Perché ci hanno costruito come sudditi. Il “controllo popolare” rompe proprio questo meccanismo, e rompe pure ogni populismo, perché attiva le intelligenze collettive, le mette insieme. Molti dicono che bisogna mettere il “demos” nella democrazia. È giusto: il demos non è il popolo come tutti unitario, il popolo dei nazionalismi, quello che si spellava le mani a Palazzo Venezia quando parlava il duce. Il demos sono i molti, la maggioranza, la parte bassa della società, quella che non ha parte, quella che lavora e produce ricchezza, ma non comanda mai. Perché per noi il “popolo” non è qualcosa. Se la vediamo da Roma o dal Nord, questa è una piccola rivoluzione: proprio al Sud, un’amministrazione che serve il popolo, in tutti i sensi!

Questo vogliamo dire al sindaco, agli amministratori. Voi avete vinto una tornata elettorale. Ma volete vincere davvero? Volete conquistare gli strati più bassi di questa città, le periferie, quelli che sono sempre stati ingannati, quelli che sono sempre stati rassegnati? Volete davvero cambiare le condizioni di vita del popolo napoletano, dare esecuzione alla volontà popolare quando si manifesta, dare gli strumenti perché le persone possano essere costantemente aggiornate, possano controllarvi, consigliarvi?

Perché questo oggi è il punto. Le persone sanno benissimo cosa vogliono. Spesso sanno anche come. Basta ascoltarli, stare nelle loro corde, e i napoletani sono pronti a dare tutto, idee, braccia. Ci mettono un po’ a fidarsi, perché sono stati sempre ingannati, ma quando lo fanno non lo fanno a metà!

Questa è la sfida che abbiamo davanti: bisogna davvero trasformare questa città, in profondità. Bisogna dare lavoro, un lavoro sano, diritti, rivoluzionare il trasporto pubblico, opporsi alla dismissione della sanità, dare ai cittadini quelle possibilità che in altri posti sarebbe scontato avere... Noi vogliamo vincere davvero.

Certo, non siamo fuori dal mondo, lo sappiamo che i margini sono stretti. Ma dentro quei margini si deve fare di tutto, togliendo ogni euro dagli sprechi, dalle spese di rappresentanza, dai grandi eventi senza senso, e destinandolo alle classi più basse. Anche per questo noi oggi presentiamo un programma post-elettorale. Perché ci piace essere concreti.

In campagna elettorale non si è parlato molto di contenuti, invece ora è tempo di entrare nel merito. Questo programma post-elettorale non è qualcosa che abbiamo scritto in una stanzetta, non è la soluzione a tutti i mali della città, non affronta tutte le questioni. Sono solo alcuni punti che le persone che abbiamo incontrato nelle lotte ci hanno posto. Cose che si possono fare subito e a costo zero, e che vanno nel senso di suscitare la partecipazione. Sono cose che cambiano immediatamente la vita quotidiana delle persone, che l’abituano a ragionare in un’altra maniera. È una specie di programma dei “cento giorni”: raggiunti questi punti passiamo ad altri, poi ad altri, e così via. Finché fra 5 anni non ci staremo raccontando un’altra Napoli.

Certo, lo sappiamo, i margini sono stretti. Però i margini sono fatti per essere allargati.

Anche per questo non possiamo limitarci a Napoli. Non possiamo farci assediare. Dobbiamo uscire, estendere il modello Napoli a tutta l’Italia. Perché c’è una forte domanda in questo senso. E per tutta l’Italia c’è un esercito in potenza, ci sono delle bande di idealisti e di combattenti – e queste non sono affatto brutte parole! – che aspettano solo un’organizzazione.

Noi due anni fa abbiamo scritto un libro, lo abbiamo presentato in 80 città, fra centri sociali, associazioni, comitati. Ci siamo resi conto del potenziale che c’è in giro: queste persone erano ancora quelle che ci credono, che lottano tutti i giorni, per le quali la politica non sono gli arrivismi, le poltrone e i tornaconti. Ecco, quei tanti compagni giovani o meno, sicuramente onesti, sono le persone a cui dobbiamo parlare…

Bisogna federare queste forze, non fare i soliti patetici cartelli elettorali, ma partire dalla base, dalla pratiche, dall’esempio, dal contagio di esperienze positive. Queste elezioni ci dicono che quando la sinistra si presenta come ceto politico, come parassiti, come persone che mai hanno fatto una lotta o hanno dato concretamente una mano al popolo, come gente pronta al compromesso, perde miseramente. Quando si presenta come realmente alternativa al liberismo e ai suoi partiti, con la credibilità di chi fa le cose, di chi sa ascoltare, che sia un sindaco o un centro sociale, la cosa funziona!

E poi dobbiamo parlare a tutti i napoletani e i meridionali che sono dovuti emigrare negli anni. Pensate a quanti sono. Immaginate cosa hanno dovuto subire in questi anni, i pregiudizi, gli insulti…
Vi diamo solo un piccolo esempio. Dopo le elezioni ci ha chiamato un nostro amico, uno che è dovuto andare a lavorare in provincia di Modena. Uno che ha sempre visto di cattivo occhio la politica istituzionale. Ci ha detto: “uagliù dite a Gigino che se non si caca sotto io sono la prima tessera del suo partito a Modena. Gliela apro io la sede!”.

Ecco, questo è lo spirito che c’è in molti compagni. E se in Italia – com’è evidente a tutti! – non si parla di quello che è successo, se ci censurano, è perché hanno paura che questo virus si diffonda. Ecco, se l’Italia non parla di Napoli, noi dobbiamo portare Napoli in Italia! Come siamo emigrati per portare le nostre braccia, dobbiamo farci un giro per portare il nostro cuore, il nostro entusiasmo, la nostra piccola esperienza. Dobbiamo fare una specie di spedizione dei Mille al contrario. Ma non per colonizzare o dominare qualcuno, come fa Renzi quando viene qui a commissariare, ma per decidere finalmente insieme, per alleare tutti gli sfruttati d’Italia fra loro…

Il loro sistema sta crollando. Renzi è una bolla speculativa, alla prima seria difficoltà può esplodere. La lotta per il Referendum di ottobre può essere la prima battaglia nazionale su cui farli cadere. Noi ci impegneremo in tutti i modi per far vincere il NO. Perché far vincere il NO vuol dire mettere un argine all’arroganza di Renzi, all’attacco delle classi dominanti, alle riforme che ci stanno distruggendo, alla blindatura della democrazia.

Ma attenzione: se vince il NO il governo potrebbe cadere, e a quel punto partire un’ondata democratica. E se il popolo si mobilita, non possiamo stare a guardare una partita fra Renzi, Salvini e Grillo, una campagna elettorale in cui nessuno parlerà di redistribuzione della ricchezza, di libertà sindacale, di investimenti nel pubblico per dare lavoro, di piano per il Mezzogiorno, di accoglienza ai rifugiati, di fine delle guerre e delle spese militari… A quel punto dobbiamo scendere nelle piazze, far sentire la nostra voce, con ogni mezzo necessario!

Per concludere, vi chiediamo di riflettere su una cosa molto importante.
Stiamo vivendo tempi incredibili. È una situazione molto confusa, complicata. Quello che era dato per certo e tranquillo, non è più così. Abbiamo visto cosa è successo l’anno scorso in Grecia. Quello che è successo ieri con il referendum sulla Brexit. Quello che ogni giorno succede con i campi di concentramento alle porte dell’Europa, milioni di persone che si stanno muovendo e che muoiono ai nostri confini…
Un giorno quest’epoca sarà studiata sui libri di storia come l’epoca in cui si è giocata una gigantesca partita fra civiltà e barbarie. Siamo infatti in una situazione estrema: da un lato un capitalismo feroce, che è disposto a tutto, la salita dell’estrema destra, la guerra fra poveri. Da un altro, pensiamo alle elezioni spagnole di domani, alle piazze francesi, anche a noi qui a Napoli, dei popoli che si svegliano e chiedono più diritti, più democrazia, il cambiamento di questo sistema.

Noi da che lato ci mettiamo? Che vogliamo dalle nostre vite? Come ce l’immaginiamo fra venti anni? Ognuno di noi se lo deve chiedere, non si può stare a guardare, non si può vivacchiare. La battaglia è cominciata, e sarà difficile: per conquistare i popoli, e per resistere contemporaneamente agli attacchi dei nostri nemici, ci servirà molta umiltà, molta intelligenza, molta pazienza. Molta determinazione. Ci servirà anche molta unità, la capacità di trovare dei punti in comune e affrontare insieme le difficoltà.

Non sarà facile, ma noi siamo pazzi e siamo convinti di potercela fare!

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